La paura nei confronti degli immigrati, soprattutto romeni, che attraversa l'Italia dopo gli ultimi casi di cronaca nera, l'esposizione mediatica e l'uso politico del "problema sicurezza". Riceviamo e volentieri pubblichiamo

25/02/2009 -  Anonymous User

Di Mihai Mircea Butcovan*
Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto il 17 febbraio 2009

Ancora una volta gli ultimi stupri di donne hanno riportato in primo piano, paradossalmente, invece del principio dell'inviolabilità del corpo e della mente delle donne, la questione della nazionalità dello stupratore. Di nuovo si pensa che la violenza sulle donne arrivi quasi esclusivamente con lo straniero, specialmente con il romeno, certamente meno «perbene» di quanto non sia lo stupratore italiano.

Ma urge una riflessione più ampia, prima di finire nelle solite semplificazioni che finora non hanno portato altro che dibattiti e provvedimenti emergenziali, raramente soluzioni concrete che possano invertire la tendenza a considerare la donna, quando non oggetto, comunque soggetto di diritti inferiori.

Perché il periodico «allarme stupri» è soltanto una parte di un più esteso «allarme sicurezza» a cui assistiamo da qualche anno nel Belpaese. Un «allarme sicurezza» che poi sembra giustificare spedizioni punitive e giustizia «fai da te», ma anche l'approvazione di misure restrittive della libertà delle persone in nome della libertà delle persone.

Ricevo in questi giorni molti messaggi di preoccupazione da parte di connazionali romeni. Hanno paura di... quelli che hanno paura e che «per paura», incendiano corpi, negozi, sentimenti e tutto quello che abbia a che fare con l'immigrazione. In questi giorni mi giungono anche molti messaggi di solidarietà. Arrivano da parte di alcuni connazionali italiani. Sono preoccupati per il futuro e per il crescendo dell'intensità di un vento razzista. E hanno loro stessi paura di quella gente che, ben ammaestrata da slogan politici e ben intontita dalla televisione, ha nuovamente paura dei romeni, dello straniero, dello sconosciuto. E forse anche del futuro.

L'efferatezza di certi delitti e di certe violenze non si discute. Ma dovremmo indignarci a prescindere dalla nazionalità dell'autore del reato. Anche quando lo stupratore arriva da cosiddette «famiglie perbene» italo-italiane. Anche quando la donna è molestata nelle case, nei luoghi di lavoro, nel linguaggio e nella «concessione di quote rosa». Mi risuonano ancora in mente le parole di una giovane italiana: «preferisco essere violentata da un italiano invece che da un marocchino».

Vedo in questi giorni alcuni cittadini italiani inclini a ronde di sicofanti, pronti a farsi giustizia da soli, propensi ai linciaggi in strada. Forse c'è la percezione di una giustizia che non funziona? In Italia non è poi così infrequente vedere altri cittadini impedire alla polizia di eseguire il mandato d'arresto nei confronti di mafiosi o criminali. Forse c'è la percezione di una giustizia che non deve funzionare?

Alimentato da molti leader politici si sta elettrizzando il clima nei confronti degli immigrati. E allora si usano, un tanto al chilo, parole come extracomunitari, clandestini, immigrati, stranieri, romeni, rom, per fare paura e per distrarre l'opinione pubblica. Ma un giorno non basteranno più tali parole per giustificare il degrado progressivo di questo paese.

Sono anni che traduciamo la Costituzione italiana nelle lingue degli immigrati. Vogliamo che la imparino prima o meglio dei cittadini con diritto di voto? E congediamo ancora, con diritto di voto, maturandi italiani verso le università senza aver mai parlato loro della «Legge» per eccellenza. Però molti cittadini chiedono al governo leggi per la sicurezza. E sono lì ad applaudire a leggi che, qualcuno li ha convinti, assicureranno loro... sicurezza.

Nel paese c'è un problema sicurezza? Questo è legato in modo indissolubile agli immigrati e ai romeni? Penso che anche Roberto Saviano abbia un «problema sicurezza». C'entrano gli immigrati? C'entrano i romeni? Anche certi giudici, tutori della legalità, che si chiamavano Falcone e Borsellino, avevano un problema sicurezza. Anche i loro agenti di scorta avevano un problema sicurezza. Senza paura sono saltati per aria insieme ai giudici che proteggevano. Non certo dagli immigrati.

Spesso anche i poliziotti o i carabinieri, nell'eseguire arresti o mandati di perquisizione si ritrovano con un problema sicurezza quando gruppi di cittadini vogliono salvare, questa volta dall'arresto, delinquenti recidivi. Hanno più di un problema di sicurezza i lavoratori e le lavoratrici senza tutele che s'infortunano o muoiono sul luogo di lavoro, quel lavoro che fonda la repubblica democratica e che scompare sempre più nelle fauci di una crisi annunciata.

E nel frattempo la paura dilaga. L'allarme produce paura nei cittadini che poi apprezzano nuove misure per la propria sicurezza. Senza rendersi conto che dentro a quelle misure, che sembrano fatte per «arginare l'invasione degli immigrati», si celano restrizioni della loro stessa libertà. Si dovrebbe, certo, ripartire dalla legalità, questo ci ricordavano i giudici di cui sopra, questo suggeriva anche Roberto Saviano. Ma alcuni loro connazionali non l'hanno presa bene.

Sono costretto ancora a ricordare che la responsabilità è individuale prima di essere collettiva, che non si può condannare un intero popolo, non si possono criminalizzare tutte le persone accomunate dal caso di essere nati in un luogo piuttosto che in un altro, in un paese di benessere piuttosto che di disagio profondo.

Eppure si terrorizza un paese intero con l'allarme sicurezza che deriverebbe dalla presenza di stranieri in Italia. Di questo «terrorismo psicologico» e di questo uso della comunicazione pubblica dovremmo avere paura.

Gli immigrati: quando sono vittime si dimentica la loro nazionalità, quando sono carnefici la loro provenienza viene enfatizzata in modo strumentale. Di questo modo di fare informazione dovremmo avere paura. E reagire con la conoscenza reciproca, che richiede sforzo, spazi editoriali, vetrine e finestre aperte sull'altro. A partire dalle finestre aperte sulla nostra storia. Per non essere costretti a subirla nuovamente, nei suoi aspetti più drammatici. E per non farci più la guerra. Di quest'ultima dovremmo invece avere paura.

Ma pure i miei connazionali romeni dovrebbero ricordare i momenti in cui alcuni di loro chiedevano a gran voce ai giornali italiani di specificare che certi cittadini romeni autori di reato erano «rom». Li avevo avvertiti: sarebbero stati poi vittime dello stesso modus operandi suggerito ai mass media italiani. Che cosa sarebbe successo il giorno in cui i delinquenti sarebbero stati «romeni doc»? Non abbiamo dovuto aspettare molto per scoprirlo.

Gli ultimi provvedimenti in chiave sicurezza minacciano, questo sì, i valori fondamentali della Costituzione italiana. Non l'abbiamo ancora applicata per intero. Si muore ancora, con o senza scorta, per difenderne i valori e già vogliamo cambiarla. Di quest'ultima prospettiva dovremmo avere molta paura.

*Mihai Mircea Butcovan, narratore e poeta, è nato nel 1969 a Oradea, in Transilvania, Romania. In Italia dal 1991, vive a Sesto San Giovanni e lavora a Milano come educatore professionale nell'ambito del recupero dei tossicodipendenti.


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