Tronchi di legno pregiato davanti a una segheria - Marta Abbà

Tronchi di legno pregiato davanti a una segheria - Marta Abbà  

Nonostante la moratoria del 2016, in Albania il disboscamento illegale prosegue, alimentato da corruzione, scarsa applicazione delle leggi e domanda europea, soprattutto dall’Italia. Le nuove regole UE, pensate per contrastare il fenomeno, rischiano però di spingere le piccole imprese verso le mafie del legname

15/04/2025 -  Marta Abbà Tropoja

Massacro. Chi ha visto coi propri occhi e dice qualcosa, parla di “massacro”, ma la maggior parte non parla, annuisce, comunica a sguardi, abbassa gli occhi. “Li abbiamo visti caricare sui loro camion una specie unica di faggio antico, un legno di prima qualità. Nessuna regola veniva rispettata, tagliavano tutto ciò che volevano”, racconta Ahmeti Mehmeti ingegnere forestale, da anni impegnato come consulente freelance anti-deforestazione.

Andi Bego, specialista locale della ong ambientalista PPNEA, completa la descrizione della supply chain: “Dopo aver disboscato illegalmente, incendiano l’area per cancellare ogni traccia. Le foreste in questa zona (Bishnica, a ovest di Pogradec) vengono usate anche per la legna da ardere, ma la maggior parte viene esportata nei paesi vicini”. Cita l’Italia e la Grecia, non ha prove, se non immagini ben impresse nella sua memoria: “Dopo il 2005 è iniziato un massiccio disboscamento illegale che continua ancora oggi, in crescendo e indisturbato”.

Di questa area remota, una delle poche in cui è rimasto ancora qualcosa, non ci sono dati. Quelli reperibili su scala nazionale danno ragione a Bego, le immagini da satellite anche, poi però dei tronchi sacrificati si perdono le tracce.

Il governo centrale e l’Unione Europea legiferano da lontano, dall’alto, e i loro divieti sorvolano inefficacemente le dinamiche locali, mostrando tutta la loro inconsapevole debolezza di fronte alla pressante richiesta di legno che continua a essere rivolta a questo paese.

Una moratoria bucata

Secondo l’INSTAT, dal 2018 al 2023 , l’Albania ha perso 320mila ettari di fondo forestale e pascoli (18%) di cui 82mila di “pura” foresta (7%). Nel 2023, per Global Forest Watch ne sono scomparsi 2.200, l’equivalente di 1,01 Mt di emissioni di CO₂, e questo è “solo” lo “sprint finale” di un “massacro” in corso da oltre 25 anni, nell’indifferenza generale, favorita dalla poca tracciabilità locale. 

Nel 2014 qualche momento di “celebrità” il fenomeno lo aveva ottenuto, grazie Balkan Investigative Reporting Network, che segnalava “1,3 milioni di metri cubi di alberi abbattuti illegalmente nel 2011”.

Ma era un’indagine sulla Romania, questo dato era marginale, come le aree in cui le foreste albanesi continuano tuttora a essere distrutte illegalmente. Tutti coloro che ci vivono (e si sono mostrati disponibili a commentare), lo confermano, tratteggiando un quadro di corruzione locale sorretto da strette collaborazioni con i funzionari incaricati della tutela del territorio, ma non ci sono né prove né arresti.

Nel silenzio ufficiale, resta a far da solista la percentuale di suolo ricoperto da alberi che diminuisce nel tempo, nonostante una moratoria dal 2016 (Legge 5/2016 dell’Albania ) ne vieti lo sfruttamento e proibisca fino al 2026 il commercio e l’esportazione dei prodotti legnosi.

Multe previste fino a 36mila euro, salvo tre eccezioni: il taglio per soddisfare il fabbisogno di legname da ardere delle comunità locali o per il rinnovo e la pulizia dei boschi, o in casi di cambio destinazione d’uso dei terreni interessati.

Fatta la legge, crollano gli investimenti nel settore forestale da parte del governo centrale: zero sia nel 2016 che nel 2017, secondo l'INSTAT , e 220.000 euro nel 2018 “per la ricostituzione delle foreste”. O sono finiti in strade per raggiungere quelle più remote?

Se inizialmente la legge sembrava dare risultati positivi, negli anni successivi i suoi limiti sono diventati evidenti. Basta leggerne attentamente il testo per capire quanto fosse prevedibile e perché. Mancano i codici doganali specifici dei prodotti di cui è vietato l’export e non viene posto alcun limite alla quantità di legname che è consentito prelevare “per soddisfare il fabbisogno di legna da ardere dei residenti" e non compare alcuna linea guida in termini di allocazione per persona.

Oltretutto, l’Albania non dispone di un sistema nazionale di tracciamento del legname né di un database unificato per tracciare il legno dal sito di raccolta alla vendita. Il “diavolo” si nasconde nei dettagli, generalmente, ma in loro assenza, perché nascondersi?

“Da fuori” sono poche le ong che puntano l’attenzione su questo piccolo paese che non incide sul PIL di nessun grande. “Da dentro” sono poche quelle locali che riescono sia a farsi ascoltare a livello internazionale che a coinvolgere persone a livello locale, rurale. A maggior ragione, quindi, perché nascondersi?

Assieme alla moratoria, il governo ha compiuto anche un aggiustamento istituzionale, trasferendo le responsabilità di gestione forestale dall’autorità centrale alle 61 municipali, 33 delle quali fino al 2023 non avevano alcun piano a riguardo, né personale e attrezzature di monitoraggio per eventualmente implementarne uno.

“Senza un forte quadro nazionale in loro supporto, tale decentralizzazione ha chiaramente aggravato il problema, invece di risolverlo” osserva infatti il Tirana Times in un recente articolo in cui racconta come la moratoria abbia semplicemente “spinto il disboscamento illegale in aree più remote.

I taglialegna hanno affinato i loro metodi per evitare il rilevamento (…) Invece di ristabilire l’ordine, ha messo il problema ancora più nell’ombra, rendendo l’applicazione ancora più difficile. Un divieto generale senza riforme istituzionali, incentivi economici alternativi e meccanismi di applicazione più forti non risolverà le cause profonde della deforestazione illegale”. 

Le si definisce tutte “foreste balcaniche”, ma come spesso accade per le persone, anche per  gli alberi il destino dipende da dove si nasce, con la differenza che questi ultimi non possono muoversi, se non a costo della propria vita.

Quando spuntano in Albania, trovano un quadro che rappresenta un unicum perché “è il solo Paese dell’area ad avere una moratoria e una parte molto significativa delle foreste (soprattutto quella più ricca) di proprietà pubblica, quindi tradizionalmente gestita attraverso piani di gestione - spiega Davide Pettenella, professore di Economia forestale all'Università di Padova, in passato anche consulente FAO nell’area balcanica - Questa combinazione favorisce la diffusione di casi di corruzione”.

EUTR, il velo europeo sopra le deforestazione albanese

Chi sperava che l’impegno contro la deforestazione della vicina Unione Europea potesse spingere a un miglioramento, se non a una svolta, si sbagliava. Sia l’attuale EUTR (European Timber Regulation), in vigore dal 2013, sia la sua versione evoluta, l’EUDR, (Regulation on Deforestation-free Products) con tanto di richiesta di geo-localizzazione di ogni tronco importato in UE, non sembrano aver intaccato l’efficacia del meccanismo di deforestazione nazionale.

Pettenella lo conferma, spiegando come anche quest’ultimo “non riuscirà a influire sulla corruzione perché affronta solo il tema dell'origine legale del legname tagliato in bosco mentre tale fenomeno riguarda tutta la catena di valore del legname, dalla foresta alla vendita del prodotto lavorato. E una parte significativa della corruzione avviene a valle delle attività di taglio, quando il legname viene controllato nei posti di blocco, misurato, venduto, esportato,… è evidente che se il legname derivante da pratiche corruttive, costa di meno del corretto prezzo di mercato, c'è un incentivo a tagliarne di più e, quindi, una maggior ‘pressione ‘ sui proprietari boschivi”. 

“Guardando le statistiche ufficiali, i dati sulla produzione di legno non corrispondono al consumo effettivo”, afferma ancora il Tirana Times, sottolineando l’entità di un’economia sommersa che rappresenta un “sollievo finanziario a breve termine nelle aree più remote dell’Albania”. Sono dinamiche nazionali, ma a nutrirle e nutrirsene è il mercato internazionale.

È sua la “pressione” di cui parla Pettenella e che, secondo diversi esperti, potrebbe spiegare fenomeni di triangolazione di documenti. Nulla di nuovo nel mondo dell’import-export che, nonostante moratoria e EUTR, continua a conviverci, anche perché “di fatto, l’esportazione di prodotti a base di legno precedentemente importati in Albania non è vietata e questo giustifica l’eventuale flusso commerciale verso l’Italia o altri Paesi esteri” spiega Angelo Mariano, esperto di due diligence, EUTR e EUDR di Conlegno. 

Non è un caso che Mariano citi l’Italia, questo paese spicca quasi da sempre come primo importatore di legno per l’Albania. Il giro d’affari nel settore legno tra i due ecosistemi economici per il primo è impercettibile (secondo i dati forniti da Assolegno, l'Albania è il 34esimo fornitore per il macrosistema legno italiano che, nel primo quadrimestre del 2024, ne ha importato in totale 1.579,02 milioni di euro dall’UE e 345,86 milioni di euro da fuori Europa), ma per l’Albania la fame di legno dell'Italia è vitale.

Secondo la World Bank, infatti, nel 2022 il suo export è trainato dalla domanda italiana che ne rappresenta il 61% delle quote, seguita da quella greca (15%). 

Questi dati fotografano la parte di commercio legale e complessivo di tutto il settore. Né la moratoria, né l’EUTR, proibiscono all’Albania di esportare prodotti realizzati con legno altrui e il costo mediamente basso della manodopera in questo Paese giustificherebbe tale dinamica. 

Se si vuole conoscere meglio cosa accade al prezioso faggio, di cui secondo i locali continuerebbero a sparire antichi e preziosi esemplari, su UN Comtrade database si trovano flussi di legno grezzo (Hs 440392) esportati fino al 2015, anche verso l’Italia, poi solo legno segato e tagliato (Hs 440792) che tuttora arriva in l’Italia, senza alcun cenno di flessione post moratoria e post EUTR. 

Flussi di legno ma controlli su carta

Nonostante lo stop della fuoriuscita legale di legno grezzo, il proseguimento di quella di faggio leggermente lavorato lascia spazio a sospetti di attuali triangolazioni e le parole di Pettenella e Mariano li alimentano, confermando l’inefficacia che i controlli previsti dall’EUTR (e l’EUDR) avrebbero su questo ipotetico mercato nero tra Albania e Italia. 

L’attenzione dei regolatori e delle forze dell’ordine incaricate si focalizza infatti quasi unicamente sui documenti di due diligence, in Italia li controllano i Carabinieri Forestali presso gli operatori che importano legno e prodotti legnosi, per accertarsi della loro provenienza legale.

Se hanno tutto in ordine e sono iscritti al Registro nazionale operatori EUTR, niente multe e probabilità solo estremamente remote di subire controlli diretti sul legno “straniero”. Il decreto attuativo del’EUTR approvato dal MIPAAF il 19/9/2014 ne prevede solo a campione e dopo due anni dall’avvenuto ingresso del prodotto in UE (a meno di richiesta esplicita e per robusti motivi) e così accade. Si lascia passare il tempo, si lascia spazio ai sospetti. 

Scorrendo con lo sguardo la lista di aziende italiane del settore che fanno affari con l’Albania, colpisce per robustezza e continuità l’esperienza di un’azienda con sede principale a Zogno (Bergamo): Minelli Group. 

Fondata nel 1937 come società del settore legno da ardere, questa realtà di origine familiare ora si dedica a prodotti in legno di alta qualità, come manici per pennelli, coltelli e spazzole, calci per fucili sportivi e ricreativi, spinette per mobili e componenti per giocattoli in legno. 

Nel 2014, in un convegno di Confindustria Bergamo, l’allora presidente del consiglio di amministrazione Adriano Minelli aveva parlato di una joint venture risalente al 2010 con Alhxef, ditta con sede a 20 chilometri da Tirana. Lo riferisce il Corriere della Sera di Bergamo nella cronaca locale, citandolo: “in Albania attingiamo direttamente alla fonte del legno di faggio, che in caso di prodotti di fascia low-cost viene lavorato sul posto”.

Siamo nel periodo pre-moratoria, tutto è lecito, ma in quello post moratoria, nel 2024, sempre su BergamoNews appare la conferma del business in Albania, assieme ai recenti trend di export, gran parte diretto negli USA dove c’è anche una sede, in Nord Carolina.

Sempre nel post-moratoria, ma nel lontano 2017, dai dati commerciali di Import Genius , emergono cinque spedizioni effettuate da Alxhef verso la Minelli USA, prevalentemente di pallet e legno grezzo di faggio, via Gioia Tauro. Se l’Albania non può più essere “fonte di faggio”, cosa rappresenta per Minelli Group? 

Interpellata in merito, l’azienda ha spiegato di aver compiuto tale scelta “per il costo del lavoro molto inferiore, per poter quindi rimanere su alcuni mercati” e Alxhef è sempre stato un semplice “fornitore di elementi grezzi e semilavorati in faggio, trasformati in Italia in prodotti poi rivenduti sia in Europa che negli USA”.

Alla domanda sulla moratoria, il referente dell’azienda Marcello Minelli nega che l’Albania sia stata mai fonte di faggio: “Alxhef importava tronchi da fuori già prima del 2016, sappiamo che li acquista in Montenegro e Kosovo, ultimamente anche dalla Grecia”.

Il disallineamento di dichiarazioni suggerisce di percorrere a ritroso la supply chain, verso Alxhef. Fondata nel 2001, secondo i registri pubblici delle imprese albanesi questa azienda, dal 2015 al 2022, ha subito cinque interventi di sequestro o blocco per questioni amministrative ed è da sempre autorizzata a erogare anche “servizi di consulenza e/o professionali relativi a foreste e/o pascoli” del territorio albanese. E sembra se ne stia anche tuttora occupando.

Verso il villaggio di Vrane e Madhe - foto di Marta Abbà

I dolori senza eco delle aree remote

Nel 2023 ha iniziato a farlo per il Comune di Tropoja e la cosa non è piaciuta ai cittadini del minuscolo villaggio di Vrane e Madhe (all’interno del parco regionale di Nikaj – Mürtur) che, appena hanno visto taglialegna in azione nella loro foresta di faggi preziosi, hanno incolpato Alxhef e la loro municipalità di deforestazione illegale.

Tronchi freschi di taglio nella foresta del villaggio di Vrane e Madhe - Foto di Elona Elezi

 

L’unico a parlarne e a lasciare una traccia dell’episodio è Citizens.al, riportando scambi di accuse reciproche. Dai documenti ufficiali emerge che Alxhef, come unica partecipante, nel novembre 2022 si è aggiudicata un appalto da 4.560.000 leke (46.000 euro circa) per sei mesi con oggetto “acquisto legna da ardere” e l’anno dopo, replica con valore lievemente inferiore (4.370.000 leke, pari a circa 44.000 euro).

La tesoreria riporta transazioni a suo beneficio con date corrispondenti per “servizio riscaldamento” dalla municipalità di Tropoja e cita transazioni da altre municipalità sparse sul territorio tra cui Elbasan, Kukës e Pogradec.

Quelle reperite nei database nazionali sono attività legali e legalmente dichiarate, qualcuno ha deciso che sono lecite, ma la protesta accesa dei cittadini del piccolo villaggio fa tornare alla mente le crepe nella moratoria segnalata da Tirana Times rispetto alla totale assenza di linee guida in termini di allocazione per persona o alcun tipo di limite sulla quantità che può essere considerata un uso corretto per la "legna da ardere". C’è spazio per interpretare, e per abusarne. 

Pjetër Imeraj, amministratore di Lekbibaj (Tropoja)
Foto di Elona Elezi

Direttamente interpellato sulle attività di Alxhef, l’amministratore delegato Xhafer Fiora dichiara di “non accumulare legna da ardere: non abbiamo contatti o contratti con aziende che operano nel settore. Abbiamo sempre importato materiale da Montenegro, Bosnia, Croazia, Kosovo, Grecia, 90% di faggio”.

E a Tropoja? Fiora conferma di “aver rispettato il contratto, tagliando unicamente gli alberi caduti, asciutti o riportati nella lista di abbattimento concordata con il comune di Tropoja”, precisando che si tratta di “contratti chiusi”.

Interpellato in merito, il 21 marzo 2025, il comune di Tropoja ha invece confermato via email che "A L Xh E F Shpk" sta ancora operando nell'area, nega il rilascio di licenze per il taglio di legna da ardere e conferma di aver indetto gare d'appalto pubbliche per 8489 metri cubi di legno in totale, dal 2020 al 2024. “Mai avuto nessun reclamo né dal comune di Tropoja né dal Ministero dell'Ambiente” sottolinea poi Fiora, dimenticando quelli dei cittadini del villaggio citato da Citizens.al. 

Una volta raggiunti sul posto, però, a cinque ore di auto da Tirana, uscendo e rientrando in Albania per accorciare “via Kosovo”, nessuno dei protagonisti del reportage si fa trovare.

Il più arrabbiato, ora si è dato alla politica: le elezioni sono prossime, e non vuole tornare sull’episodio. Nei dintorni dell’area diventata nel 2023 lo scenario delle accuse incrociate, si incontrano un furgoncino, con un gruppo di giovani che invitano a non proseguire tra i tronchi di faggio, “perché c’è un orso che vi mangia”, e Pjetër Imeraj, amministratore di Lekbibaj (Tropoja), che resta vago sulla questione. Tagli sì… massacro no… bisogni locali… decisioni di Tropoja. 

Rientrando verso la strada asfaltata, si incontrano due donne che confermano il massacro, abitano lì da sempre, e consigliano la strada migliore per allontanarsene, ma non per gli orsi: sta diventando buio. 

Cosa è accaduto e sta accadendo nelle foreste gestite dalla municipalità di Tropoja, lo rivelano i satelliti. Non possono attribuire responsabilità ma riescono a mostrare le aree massacrate e le nuove strade per mezzi pesanti comparse negli ultimi cinque anni. Ben dopo l’entrata in vigore della moratoria. 

Sorvolando il paese sempre tramite satellite, si nota subito che quanto a massacro, le aree più colpite sono quelle di Pogradec. In questa zona la copertura arborea totale persa dal 2017 al 2023 appare attorno ai 2485 ettari.

Meno ore da Tirana ma più ettari di foresta che sembrano essere scomparsi in piena moratoria. Si parla di aree di considerevole estensione, difficile pensarle tutte sacrificate unicamente per soddisfare il consumo locale di legna da ardere, ma difficile dimostrare che non sia così non essendoci un chiaro limite di quantità ufficialmente indicato. 

Stima delle aree con elevata deforestazione nell’area fra Librazhd e Pogradec dopo il 2016

I poligoni evidenziano le aree in cui si è registrata una perdita di foreste, in presenza di strade forestali. La superficie totale è di 2485 ha e considera aree che hanno subito un significativo disboscamento selettivo. Nella stessa zona, considerando solo le aree completamente deforestate, Global Forest Watch stima una estensione di 538 ha.

Fonti: Global Land Analysis and Discovery (GLAD) laboratory dell’Università del Maryland, in collaborazione con Global Forest Watch (GFW) e Earth Index

Credits immagine: ESA Copernicus Sentinel-2 / Earth Genome

 

Restano gli occhi del satellite e le parole di Shpëtim Lato, amministratore del piccolo villaggio di Velçanit, 40 km a sud di Librazhd. Raggiunto con una 4x4 guidata da un locale, Lato nel suo bar-sala riunione-centro civico accanto alla scuola, racconta.

“Il disboscamento illegale è continuato fino a due mesi fa. Ho segnalato questo fenomeno e ho incontrato persone al comune di Pogradec, ma mi hanno detto che non possono fare nulla perché i taglialegna illegali hanno forti connessioni politiche - afferma - ma devo ammettere che da quel momento non abbiamo più sentito il rumore delle motoseghe elettriche. Spero davvero che questo ‘silenzio’ duri”. 

Una segheria operativa a pochi km da Velçanit - Foto di Marta Abbà

A durare, e da troppo, è quello che avvolge il territorio albanese quando si prova a parlare di deforestazione illegale. Un silenzio che echeggia su scala internazionale e interroga l’Europa e il suo legiferare contro tale fenomeno.

Le dinamiche emerse visitando e scandagliando i database del paese, il puzzle incompleto ottenuto investigando l’esempio di business tra Albania e Italia, tra Minelli Group e Alxhef, non prova definitivamente alcuna responsabilità delle stesse, ma tante lacune senza risposta e la difficoltà ad averne di univoche e complete.

Nonostante ciò, la speranza è che non resti un esercizio di stile, né per chi scrive, né per chi legge, ma una spina nel fianco di chi governa e di chi lo elegge. Affinché le norme anti deforestazione non continuino a essere delle coperte troppo corte e superficiali sotto cui tutto continua come sempre, spostandosi in territori in cui denunciare illeciti non è facile e comodo.

Continua, ma un po’ più al buio, e questa inchiesta, vuole aprire uno spiraglio e chiede di continuare a far luce. 

 

Questo reportage è stato realizzato con il supporto di Journalismfund Europe   
In collaborazione con Elona Elezi , data reporting di Edward Boyda .


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