Dopo i primi due casi dell’8 marzo scorso, le autorità albanesi hanno messo in atto misure restrittive per contenere la diffusione di un contagio che rischia di far collassare il sistema sanitario nazionale. Dopo il violento sisma del novembre scorso, il paese non si può permettere un’altra crisi
Che la diffusione del nuovo coronavirus avrebbe toccato anche l’Albania è diventata una certezza non appena sono stati individuati i primi focolai in Lombardia e in Veneto. I 19 voli che collegano giornalmente i due paesi avrebbero fatto il resto.
L’altra certezza riguardava invece i limiti del sistema sanitario albanese. Nel paese si contano appena 200 macchine respiratorie, tra istituti pubblici e privati, mentre le strutture ospedaliere non sono attrezzate per rispondere adeguatamente ad un rischio pandemico.
I pochi casi confermati (al momento siamo a soli 64 contagi, tutti circoscritti nell’Albania centrale) fanno sperare che la diffusione si possa ancora tenere sotto controllo. Tuttavia, ci sono già due vittime e sono comunque speranze che i tempi di incubazione e trasmissione del COVID-19 potranno facilmente smentire. Secondo le autorità, infatti, l’ondata è prevista per i prossimi giorni.
La stretta sul modello italiano
Nelle due lunghe settimane che hanno preceduto il rilevamento dei primi due casi, sui media albanesi si sono sprecate teorie sulla qualità della 'razza' albanese, sulle peculiarità del clima e del terreno o comunque sull’immunità della popolazione locale, rinvigorita da precedenti epidemie o da condizioni igieniche precarie. Mito che sarebbe stato sfatato a breve, quando le autorità hanno dichiarato di avere individuato i primi casi di contagio da coronavirus in due uomini rientrati di recente dall’Italia.
Nei giorni successivi, l’Albania ha annullato tutti gli eventi pubblici, ha chiuso le scuole e le attività dei servizi di ristorazione, ha sospeso sia il trasporto pubblico che quello privato, ha cancellato tutti i collegamenti con l’Italia e chiuso con anticipo sugli altri paesi della regione tutti i valichi di confine terrestri. Chi entra dai paesi colpiti dal COVID-19 ha l’obbligo di isolamento di 14 giorni, pena 5 mila Euro di multa. Amministrazione pubblica e aziende sono tenute ad applicare lo smart working e i congedi retribuiti, mentre uscire di casa è permesso solo in due fasce orarie, quattro ore la mattina e due nel pomeriggio. Per i pensionati, invece, uscire è assolutamente proibito.
In una settimana, ancora prima della prevedibile ondata di contagi, il paese si è completamente isolato e fermato.
Perché aspettare tanto?
Sull’onda dell’Italia, l’Albania è stata tra i primi paesi d’Europa a scegliere la quarantena. L’escalation delle sanzioni è stata generalmente accolta positivamente dall’opinione pubblica, ma con poca determinazione dai cittadini. Diversi pazienti affetti non hanno rivelato di essere stati di recente nelle zone maggiormente colpite dal virus, molti altri continuano a non osservare regole e divieti.
Di certo non sono mancate le polemiche sui tempi d’azione. Vista la certezza che il virus avrebbe viaggiato attraverso due comunità in continuo spostamento tra i paesi, perché non chiudere per lo meno alcune tratte da subito?
"Nessun paese ha reagito prima di avere conferma dei primi casi", ha chiarito il premier socialista Edi Rama. Certo è che il presunto paziente zero è stato diagnosticato dieci giorni dopo il rientro del paese e sono in molti a sostenere che anticipare l’obbligo della quarantena avrebbe contribuito a limitare la diffusione del virus.
Confusione e protagonismi
Senza particolari sorprese, il premier Rama ha assunto un ruolo di guida nella gestione della crisi. A livello mediatico, ogni provvedimento è stato anticipato, abbozzato, rivisto e poi approvato sui suoi canali social. Post seriali, video messaggi e continue dirette su Facebook sono stati l’unico mezzo di informazione per i cittadini sui provvedimenti del governo. Una comunicazione a ciclo continuo che, sovrapposta alla severità delle multe e sanzioni e alla generale sfiducia nelle istituzioni, ha contribuito ad ampliare l’ansia e l’incertezza dei cittadini.
Inoltre, per diversi giorni, gli operatori di telefonia mobile hanno inviato SMS a tutti gli utenti e impostato un messaggio vocale su tutte le chiamate in uscita. Le parole e la voce sono quelle del premier. Il testo, più o meno, recita: "Sono Edi, lavati le mani, tieni aperte le finestre, non uscire di casa e diffida dei media".
L’ennesimo attacco alla stampa e una personalizzazione della battaglia comune rischia di essere controproducente e rende ancora più vaga la linea di separazione tra campagna di sensibilizzazione e strategia di promozione.
Un’altra ferita
L’Albania si trova oggi ad affrontare l’incubo contagio quando ancora deve fare i conti con il cosiddetto “processo di ricostruzione” annunciato in seguito al violento sisma del 26 novembre scorso. A inizio anno, il governo albanese aveva stimato danni intorno al miliardo di Euro, ovvero il 6.4% del Pil, nonché un calo dell’attività economica di 1.1 punto percentuale.
A febbraio la conferenza dei donatori, tenutasi a Bruxelles sotto l’egida della Commissione europea per aiutare il paese a ripartire, ha raggiunto quota 1.15 miliardi di Euro, andando oltre le più rosee attese del governo, anche se poi è stato chiarito che le donazioni ammontano soltanto a circa il 30% di quella somma. Il resto sono prestiti agevolati, seppure a condizioni favorevoli.
La ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma è stata però frenata dall’avvento di un pericolo che ora rischia di dilatare ulteriormente i già incerti tempi dei lavori, o comunque di distogliere l’attenzione da un processo che richiederà massima trasparenza e uno scrupoloso rispetto delle regole: grandi assenti di questi ultimi anni di governo.
Oltre ai limiti congeniti e procedurali di un processo che si preannuncia lungo e delicato, si affaccia ora un nuovo stallo economico e l’insofferenza dei cittadini albanesi, messi di nuovo alla prova a distanza di pochi mesi.
"Il terremoto ci ha lasciati fuori casa a oltranza, ora il virus ci ha chiusi dentro", lamentano molti cittadini che nel dramma del terremoto avevano ritrovato un senso di vicinanza e solidarietà di altri tempi. Il vuoto delle istituzioni e il terrore delle scosse continue erano stati attutiti solo da una ritrovata dimensione di comunità. Una vicinanza che dopo gli anni ’90 e soprattutto nelle grandi città sembrava definitivamente perduta.
Quel ritrovarsi a parlare e conoscersi nelle strade sotto casa dopo essersi ignorati per anni nei pianerottoli dei propri condomini era diventato il timido risvolto positivo di una catastrofe costata la vita a 51 persone e che ha messo in ginocchio l’economia del paese. Una dimensione speculare rispetto all’isolamento che invece impongono le regole necessarie a fermare il contagio, e che richiede oggi un modo diverso di stare insieme. Di sostenerci con la distanza.
Qualunque sarà la portata di questa nuova crisi ormai alle porte, per l’Albania è già evidente che da domani, si tratterà sia di “ricostruire” che di “risanare”.
Mentre oggi è ancora il momento di dimostrare se siamo in grado di ritrovarci uniti, davanti all’ennesima privazione.
Fotografie
Sono atmosfere rarefatte quelle che si respirano in centro a Tirana. Dove solitamente domina il traffico, risaltano, nel dramma, le fioriture primaverili. Il fotoracconto di Nensi Bogdani/Reporter.al.
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