Jean-Claude Juncker e Boykko Borisov (foto EU2018BG Bulgarian Presidency)

Jean-Claude Juncker e Boykko Borisov (foto EU2018BG Bulgarian Presidency )

Dopo la pubblicazione del documento della Commissione europea che rilancia l'impegno dell'UE riguardo l'allargamento ai Balcani occidentali, nei giorni scorsi è stato il presidente Juncker a fare visita di persona alle capitali balcaniche

09/03/2018 -  Francesco Martino Sofia

(Quest'analisi viene pubblicata in contemporanea sul portale di OBCT e su Affari internazionali , rivista del centro di ricerca IAI)

“L'Unione e i suoi cittadini devono 'digerire' le 13 nuove adesioni degli ultimi dieci anni.[…] I Balcani occidentali dovranno mantenere una prospettiva europea, ma non vi saranno altri allargamenti nei prossimi cinque anni.”

Con queste parole, pronunciate nel luglio 2014, l'allora presidente in pectore della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, certificava l'avvenuta maturazione a Bruxelles della “fatica da allargamento”, lasciando i Balcani occidentali in una sorta di limbo geo-politico in cui la menzionata “prospettiva europea” assumeva contorni sempre più vaghi e lontani.

Quasi quattro anni più tardi, però, per iniziativa dello stesso Juncker, quella cornice è stata ribaltata. A inizio febbraio la Commissione, su evidente spinta del suo presidente, ha infatti presentato una nuova strategia per l'allargamento a sud-est, intitolata “Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell'UE per i Balcani occidentali".

Il documento ribadisce che integrare la regione è innanzitutto negli interessi strategici dell'Ue, e si spinge a porre il 2025 come data plausibile, anche se non certa, di nuovi ingressi nell'Unione, subordinati a un rinnovato impegno degli stati della regione a rafforzare lo stato di diritto, combattere corruzione e criminalità organizzata e soprattutto mettere fine alle numerose dispute bilaterali ancora irrisolte.

Per dare sostanza e credibilità alla nuova apertura ai Balcani occidentali, Juncker ha poi annunciato un'iniziativa politica di grande visibilità, che nessuno dei suoi predecessori aveva voluto o potuto intraprendere: un tour in tutte le capitali della regione, durato una settimana e terminato il 1 marzo in Bulgaria, paese che ha fatto dell'allargamento la priorità della sua attuale presidenza semestrale del Consiglio UE.

Nelle varie tappe del suo viaggio, Juncker non si è limitato a ribadire le linee principali della nuova strategia UE, ma in varie occasioni si è spinto ancora più avanti nelle sue aperture. A Tirana, ad esempio, è tornato sull'orizzonte del 2025 al termine del suo incontro col premier Edi Rama.

In conferenza stampa Juncker ha puntualizzato che, contrariamente a quanto delineato nella strategia, che menziona esplicitamente solo Serbia e Montenegro, la data del 2025 è la stella polare per tutti i paesi che aspirano ad un posto nell'UE: un traguardo che non è garantito, ma nemmeno precluso a nessuno. “Chi sarà pronto, potrà entrare”, il messaggio del presidente della Commissione, anche se al momento nessun candidato sembra vicino all'obiettivo.

Nella tappa conclusiva a Sofia, dove ha riunito tutti i leader dei Balcani occidentali insieme al Commissario ai negoziati all'Allargamento Johannes Hahn e al capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, Juncker ha scandito ancora una volta la sua ambasciata: “L'ingresso nell'UE non è un sogno, ma un obiettivo che può essere raggiunto”.

Dal punto di vista politico, la nuova strategia e il viaggio di Juncker rappresentano un visibile cambio di orizzonte per il sud-est Europa. La Commissione UE e il suo presidente, lasciandosi alle spalle le titubanze degli anni passati, riprendono con rinnovato slancio l'impegno che l'Unione aveva preso verso i Balcani occidentali nel summit di Salonicco (2003) è cioè la prospettiva di un futuro europeo per tutti.

A dare forza al nuovo paradigma, c'è soprattutto la volontà di Bruxelles di reagire a quella che viene percepita come una “rinnovata concorrenza geopolitica” nella regione, e che vede protagoniste potenze regionali e globali (Russia, Cina, Turchia), che in questi anni hanno aumentato sensibilmente la propria presenza nell'area.

Nell'immediato preoccupa soprattutto l'atteggiamento di Mosca, marcatamente più aggressiva dall'inizio della crisi in Ucraina (2014), ma anche il sensibile peggioramento dei rapporti con la Turchia di Erdoğan, precipitata in un clima di caccia alle streghe dopo il fallito golpe dell'estate 2016, così come la crescente presenza economica di Pechino, che vede nei Balcani l'approdo naturale in Europa del suo ambizioso progetto di una nuova “Via della Seta” (Belt and Road Initiative).

Per ridare energia alla prospettiva di allargamento, Bruxelles non si limita alle parole di incoraggiamento. Il 2 marzo il premier bulgaro Boyko Borisov, impegnato a trasformare il semestre di presidenza di Sofia in una sorta di leadership informale bulgara del processo di integrazione dei Balcani occidentali, ha annunciato la disponibilità della Commissione ad elargire prestiti fino ad un miliardo di euro per co-finanziare l'ammodernamento delle infrastrutture obsolete del sud-est Europa.

Al tempo stesso, però, le difficoltà e i dubbi non mancano. Nonostante le pacche sulle spalle e le manifestazioni di fiducia, tutte le dichiarazioni di Juncker durante il suo tour balcanico sono state segnate da una parola chiave: “eventualmente”. “Non sono qui per far vuote promesse”, ha detto chiaramente Juncker durante la sua tappa montenegrina, sottolineando così che i passi avanti dipenderanno soprattutto dall'impegno e dalla volontà dei politici dei Balcani.

La lista dei “compiti a casa” che ancora separa le aspirazioni dei Balcani occidentali dall'agognata integrazione nell'Ue è lunga e impegnativa. Risolvere le questioni bilaterali, soprattutto quella a prima vista irriducibile tra Serbia e Kosovo, resta una sfida aperta e tutt'altro che scontata, così come ottenere riforme e trasparenza dalle élite locali.

Nonostante le buone intenzioni, appare oggi difficile che tutti i paesi della regione possano giungere insieme alla meta: a meno di veri e propri miracoli, la distanza tra Serbia e Montenegro - che hanno già aperto vari capitoli negoziali -, Albania e Macedonia - che sperano di poter aprire i negoziati il prossimo giugno - e Bosnia Erzegovina e Kosovo – eterni ultimi della classe – non sembra poter essere colmata.

Le sfide non riguardano però solo i Balcani, ma anche l'Unione europea. Nella nuova strategia, la Commissione sottolinea con forza che, se vuole metabolizzare una nuova ondata di ingressi, l'Unione deve necessariamente riformare i propri meccanismi decisionali e renderli più efficaci “come, ad esempio, introducendo il voto a maggioranza qualificata anche in aree come politica estera e mercato comune”.

Integrare i Balcani occidentali in questo momento delicato e complesso resta quindi un obiettivo ambizioso e difficile: lo sforzo per realizzarlo, però, rappresenta al tempo stesso un'opportunità unica per riformare e trasformare la regione, ma anche per definire meglio quale e quanta UE vogliamo nel futuro.


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