I fiumi sono oggi lo strumento migliore per raccontare i Balcani. Risorsa preziosa da salvaguardare, luogo di attenzione particolare da parte degli ambientalisti della regione, luogo di sconfinamento e avvicinamento. Ma anche cartina tornasole per stato di diritto e corruzione. L'introduzione ad una serie di reportage sui fiumi dei Balcani
La mattina in cui partiamo alla scoperta del delta della Neretva, un vento gelido soffia sull’acqua e sulle terre emerse, costellate di alberi di mandarini. Šime, la nostra guida a bordo della lađa – un’imbarcazione tradizionale in legno lunga circa 8 metri – ha infilato i guanti e il berretto e, appena può, nasconde le mani nelle tasche del giubbotto. Anatre, storni, cormorani e chiurli sfrecciano nella luce pallida del sole invernale, mentre tra l’erba alta s’intravede di tanto in tanto una mandria di mucche al pascolo, anch’esse trasportate in barca in questo labirinto di canali.
Il delta è il punto di arrivo di un viaggio lungo 225 chilometri. La Neretva, nata tra le montagne di Zelengora e Lebršnik a sud di Sarajevo, arriva qui placida e stanca, dopo aver attraversato canyon e città storiche, superando dighe, ponti e centrali idroelettriche. A questo fiume iconico, amato e al tempo stesso minacciato, dedichiamo il primo capitolo di una serie di reportage sui corsi d’acqua dei Balcani. In questo primo episodio, racconteremo i paesaggi e le persone che gravitano attorno alla Neretva, così come le sfide – purtroppo sempre più pressanti – a cui fa fronte il fiume.
Perché una serie di reportage sui fiumi dei Balcani?
I fiumi sono oggi lo strumento migliore per raccontare i Balcani. Non solo giocano un ruolo cruciale in un’epoca in cui l’uomo è alle prese con il cambiamento climatico e l’acqua diventa un bene sempre più prezioso, ma, superando i confini degli stati, disinnescano anche le retoriche nazionaliste, spesso l’unico prisma con cui leggiamo questa regione. Per salvaguardare ad esempio il delta della Neretva, le autorità croate devono dialogare con quelle bosniache e, in Bosnia Erzegovina, entità e cantoni devono anch’essi sedersi attorno allo stesso tavolo, perché il fiume li coinvolge tutti.
I fiumi sono anche una cartina tornasole del livello di corruzione e dello stato di diritto. Negli ultimi dieci anni, centinaia di mini centrali idroelettriche (di una capacità inferiore a 10 MW) sono spuntate lungo i corsi d’acqua dei Balcani e altre migliaia sono previste o già in corso di costruzione. Ufficialmente, Sono finanziate dai governi (e in passato anche dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) con l’obiettivo di aumentare la percentuale di rinnovabili nel mix energetico di ogni paese, ma in realtà sono diventate un business molto conveniente per qualunque investitore, dato che gli stati s’impegnano per 15-20 anni a comprare l’elettricità prodotta ad un prezzo maggiorato.
Infine, i fiumi rappresentano il fronte in cui si sta registrando un grande cambiamento nei Balcani. Per anni le società di questa regione sono state accusate di reagire con troppa apatia al degradarsi della democrazia e delle condizioni economiche. L’emigrazione e la scarsa affluenza alle urne in occasione delle elezioni sembravano essere le manifestazioni più comuni del malcontento della popolazione, ma le cose stanno cambiando. Per proteggere i fiumi e più in generale l’ambiente, sono nati tanti movimenti di protesta che non esitano a collaborare tra di loro, anche a livello transnazionale.
Mentre i politici continuano a promuovere l’etnonazionalismo, agitando regolarmente lo spauracchio della guerra, nelle piazze i manifestanti chiedono giustizia ambientale, nuove leggi contro l’inquinamento e protezione delle risorse naturali. Indipendentemente dall’etnia e dal paese di provenienza, gli attivisti si incontrano e pianificano assieme la resistenza. Ecco che i fiumi verdi e azzurri del sud-est europeo – spesso gli ultimi del continente ad essere ancora incontaminati – sono diventati un campo di battaglia, un luogo politico in cui potrebbe iniziare il riscatto dei Balcani.
L’identità del fiume
Di ritorno nel delta della Neretva, Šime ormeggia la lađa vicino ad una piccola taverna chiusa durante i mesi invernali. Saliamo nella terrazza vuota, dove i tavoli di legno sono ammassati in un angolo in attesa della bella stagione, e ci affacciamo alla balaustra. Davanti a noi si stagliano le Alpi dinariche, che sembrano sorvegliare gli acquitrini silenziosi. «D’estate qui ci sono tante persone, si canta, si balla…», racconta Šime guardandosi intorno. Parliamo di anguille e rane, delle ricette locali e delle tradizioni legate al fiume. Da sempre, la Neretva detta i ritmi di questa regione e ne definisce l’identità.
«Fin da quando arrivano nei Balcani a partire dal VI secolo, le popolazioni slave s’insediano nelle valli create dai corsi d’acqua», spiega Emir Filipović, professore di Storia medievale all’Università di Sarajevo, «i fiumi, importantissimi per la vita di quelle comunità, finiscono per dare il proprio nome al territorio che li circonda e alle genti che vi abitano. L’esempio più noto è quello della Bosnia, che si chiama così per via dell’omonimo fiume che l’attraversa. La Neretva non fa eccezione: attorno a lei vivono a partire dal IX secolo i cosiddetti narentani, noti per la loro attività di pirateria in mare Adriatico».
Con il passare dei secoli, le identità evolvono ed emergono nuovi concetti come quelli di etnia e nazione. I narentani non esistono più, ma la geografia del sud-est europeo rimane legata ai suoi fiumi. Lungo la Neretva, il confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina passa tuttora vicino al punto in cui in epoca romana si trovava Narona, il porto fluviale diventato oggi museo archeologico, e in cui nel Medioevo c’era Gabela, un toponimo sopravvissuto fino ai nostri giorni che indicava la dogana tra i territori della Repubblica di Ragusa e quelli bosniaci e (a partire dal 1463) ottomani.
Perché quest’area era così importante? Perché attorno a Narona e Gabela, ovvero nei pressi dell’attuale città di Metković, la Neretva smetteva di essere navigabile. Risalendo le Alpi dinariche, l’ampio delta si restringeva, lasciando il posto ad un fiume meno profondo e più imprevedibile. Molto di tutto questo è vero ancora oggi, anche se il delta si è ristretto, tanto che i resti di Narona si trovano ormai a 4 km dal corso d’acqua. Come vedremo, la Neretva può ancora essere suddivisa in tre parti, seguendo quelle stesse caratteristiche naturali che la definivano nel Medioevo e nell’Antichità.
La Neretva in tre atti
La prima parte, che tratteremo nel prossimo articolo, è quella della Neretva settentrionale (Gornja Neretva), che dai vari luoghi di origine del fiume porta alla città di Konjic. Si tratta del tratto più inaccessibile, in cui il corso d’acqua attraversa canyon stretti e profondi (gli amanti del rafting e del kayaking scopriranno qui un paradiso) e figura tra i fiumi più freddi al mondo. Dal punto di vista politico, ci troviamo a cavallo tra la Republika Srpska e la Federacija BiH, le due entità che compongono la Bosnia Erzegovina, con i problemi di cooperazione a cui accennavamo prima.
La parte centrale (Srednja Neretva) inizia con un importante intervento dell’uomo sulla natura: la diga di Jablanica, costruita tra il 1947 e il 1955 creando un lungo lago artificiale, rappresenta la prima delle quattro centrali idroelettriche realizzate lungo la Neretva nella seconda metà del Novecento (e ci sono altri quattro grandi impianti sugli affluenti Rama e Trebišnjica). Dal punto di vista culturale, tra i luoghi da menzionare in quest’area spicca la città di Mostar, che deve il suo nome proprio al fatto di essere da secoli luogo di attraversamento del fiume con il suo bellissimo ponte (appunto “most” in bosniaco).
Infine, passato l’avamposto ottomano di Počitelj, si torna al confine di Gabela e Metković, da cui si diramano i canali che portano all’Adriatico: è la cosiddetta Donja Neretva. Se a monte, la grande sfida che affronta la Neretva è dettata dalle centrali idroelettriche, nel delta il problema principale è rappresentato dal mare, che risale pericolosamente il letto del fiume minacciando i terreni agricoli e modificando flora e fauna. Si tratta – lo vedremo – di questioni tra loro collegate, dato che «un fiume è una rete» come afferma Ulrich Eichelmann, CEO dell’ONG ambientalista River Watch.
Il viaggio che stiamo per intraprendere coinvolge dunque argomenti che a prima vista sembrerebbero indipendenti. Innanzitutto la storia, dalla Bosnia medievale alle guerre del Novecento, con le enigmatiche pietre tombali degli stećci, il monastero derviscio di Blagaj o ancora il ponte crollato di Jablanica. C’è poi la questione politica, della divisione del paese e della corruzione e i tanti progetti di centrali idroelettriche che pongono quesiti ambientali ed economici. Infine, la Neretva racconta un territorio e le sue tradizioni, dai campionati di tuffi a Mostar alle gare tra lađe nel delta, per citare solo alcuni esempi.
I fiumi sono di grande attualità nei Balcani. Sono il luogo in cui i grandi temi della transizione energetica e del cambiamento climatico si manifestano nella loro spietata concretezza. Che aspetto avrà in futuro il «cuore blu dell’Europa », questa regione così ricca dal punto di visto idrologico da essere per questo contesa? Davanti alla minaccia di perdere l’accesso ai propri corsi d’acqua, i cittadini dei Balcani si stanno organizzando e collaborano tra di loro. Ne nascerà un nuovo senso di appartenenza, una comunità unita dagli stessi obiettivi? Iniziamo a porci queste domande nel punto in cui la Neretva sgorga dalle montagne.
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