Prosegue il reportage di Giovanni Vale sui fiumi dei Balcani. Siamo ancora in Bosnia Erzegovina, questa volta ad esplorare il tratto centrale del fiume Neretva, con i suoi luoghi culturali, la sua storia naturalistica e il minaccioso sfruttamento energetico
(I fiumi sono oggi lo strumento migliore per raccontare i Balcani. Risorsa preziosa da salvaguardare, luogo di attenzione particolare da parte degli ambientalisti della regione, luogo di sconfinamento e avvicinamento. Ma anche cartina tornasole per stato di diritto e corruzione. Vai all'introduzione del reportage e alla puntata sulla Neretva superiore)
«La mia giornata inizia con un caffè lungo la Buna. Guardo il paesaggio attorno a me, gli uccelli che vengono a fare il bagno, ad incontrarsi… un quadro magico. Poi prendo il mio diario – una cosa insolita per uno di queste parti – e svuoto la testa. Scrivo le cose che devo fare ed elimino quelle completate la vigilia. È una sorta di pianificazione, ma è soprattutto un modo per liberare il cervello, per mantenere sempre la mente vergine». Seduto su una sedia a due passi dal fiume, Semir Milavić parla senza interruzioni. La Buna scorre a pochi metri da casa sua e in questa giornata d’inverno si è allargata fino ad inondargli il giardino. Ma la cosa non lo preoccupa.
Nato in Bosnia Erzegovina nel 1982, Semir ha trascorso in Francia gli anni della guerra ed è tornato a Blagaj, la sua città natale a una decina di chilometri a sud di Mostar, solo nel 2006. Da allora ristruttura gradualmente l’abitazione di famiglia, la celebre Casa Velagić (Velagićeva kuća), una residenza ottomana del 1776, oggi parzialmente convertita in museo. «Dormo praticamente sul fiume, ma la casa non è mai stata allagata», prosegue Semir, lo sguardo che vaga tra gli alberi e l’acqua che lambisce i muretti in pietra. La Buna sgorga a 300 metri da lì, all’interno di una grotta vicino alla quale è stato costruito nel Cinquecento un monastero derviscio (tekija). Nove chilometri più a valle, questo fiume venerato si getta nella Neretva.
La costruzione della Jugoslavia e il caso dei bunski kanali
Qualche giorno prima della mia chiacchierata con Semir Milavić, in un caffè dalle ampie vetrate di Mostar incontro Oliver Arapović. La pioggia cade sulla città e noi parliamo della Neretva centrale, ovvero di quel tratto che va da Konjic e Jablanica al confine con la Croazia e al delta. Oliver è un attivista di lunga data, impegnato per la protezione dell’ambiente e per il dialogo interetnico già dalla seconda metà degli anni Novanta. Dal 2005, è a capo dell’associazione ecologista “Majski cvijet”, che ultimamente si batte soprattutto per la difesa dei bunski kanali, l’area in cui la Buna si getta nella Neretva, creando un lungo canale, un “monumento naturale protetto” dal 1970, ma dove è prevista la costruzione di due mini centrali idroelettriche.
Prima di discutere di quest’ennesima oasi minacciata, chiedo ad Oliver, mappa della Neretva alla mano, di ripercorrere assieme il tratto centrale del fiume e la sua storia idroelettrica recente. «La prima diga ad essere stata costruita sulla Neretva è quella di Jablanica», inizia a raccontare l’ambientalista. Siamo nel 1947, la Seconda guerra mondiale è finita da poco e la neonata Jugoslavia socialista vuole gettare le basi energetiche del suo sviluppo. Il progetto è completato in due fasi, nel 1947–1955 e nel 1955–1958, dando vita ad una diga alta 85 metri, dietro alla quale viene a crearsi il lago artificiale di Jablanica, stretto e lungo perché segue il percorso del fiume che si espande all’interno di un’ampia vallata.
Costellato di ristoranti e centri di balneazione, il lago è oggi una destinazione turistica e di pesca. Al campeggio Miris Ljeta, situato sulla costa meridionale – sulla strada che da Sarajevo porta a Mostar e quindi al mare – è possibile noleggiare barchette e pedalò, oppure bere un caffè nella bella terrazza coperta che si apre sul lago. A nord, invece, Lisičići è il nome di un villaggio che fu completamente inondato dal lago negli anni Cinquanta e che è stato parzialmente ricostruito più a nord dalla tenacia degli abitanti sfollati che non hanno voluto abbandonare l’area. Nei periodi di secca, il vecchio cimitero emerge dalle acque a ricordare com’era il paesaggio prima della grande diga jugoslava.
Passata la centrale idroelettrica di Jablanica, si incontra più a sud l’omonimo ponte, costruito e distrutto a scopi cinematografici nel 1969. Anch’esso racconta un aspetto importante della costruzione della Jugoslavia, in questo caso culturale più che energetica. L’infrastruttura, che giace penzolante, era infatti una replica del ponte ferroviario che fu fatto esplodere dai partigiani jugoslavi nel 1943, durante la celebre “battaglia della Neretva”, vinta contro i nazi-fascisti. Il film che raccontava quello scontro fu un colossal acclamato, con una locandina disegnata da Picasso e un budget enorme approvato dallo stesso Tito, grande appassionato di cinema. Oggi, vicino al ponte resta il museo e centro memoriale inaugurato nel 1978.
Una decina di chilometri separano il ponte ferroviario crollato dalla seconda centrale idroelettrica costruita lungo la Neretva: la HE Grabovica (dove la sigla sta per Hidroelektrana). Quest’impianto è entrato in funzione nel 1982 ed è dotato di una diga alta 60 metri. Nello stesso anno fu inaugurata anche la centrale successiva, la HE Salakovac, che dispone di una diga di 70 metri. Mancano ormai una quindicina di chilometri prima di arrivare a Mostar, ma c’è spazio per un’ultima infrastruttura energetica: HE Mostar sorge a 6 km a nord dell’omonima città e produce energia dal 1987. La sua diga è alta 44 metri. «La Neretva, come vedi, è già ben sfruttata dal punto di vista idroelettrico», commenta Oliver Arapović.
Chiedo all’attivista di raccontarmi ora l’ultimo fronte energetico della Neretva centrale, quello dei Bunski kanali. La storia che racconta Oliver potrebbe applicarsi a molti fiumi e torrenti della regione. Nel 2014, un’impresa che fino ad allora faceva tutt’altro («fabbricavano finestre») ottiene una concessione per la costruzione di due mini centrali idroelettriche, Buna 1 e Buna 2 (da 5MW l’una – contro i 180MW della HE Jablanica), proprio in quell’oasi naturale in cui vivono più di 20 specie endemiche, alcune delle quali a rischio di estinzione. «Il progetto prevede la cementificazione dell’area, con la profondità del canale che passerebbe dagli 8-14 metri attuali ad appena un metro. I pesci sparirebbero», spiega l’ambientalista.
Nel 2015, nonostante l’opposizione dei cittadini e il fatto che il progetto si trovasse in un’area naturale protetta, il Ministero federale per l’Ambiente e il Turismo autorizza l’operazione. Nella primavera del 2016, a pochi mesi dall’inizio previsto dei lavori, è lanciata una petizione online , mentre le associazioni studiano l’area e avviano una battaglia legale. «Il team legale di Majski cvijet è riuscito a provare le irregolarità e ad impugnare praticamente tutti i permessi ottenuti dall'investitore», afferma Oliver Arapović durante una conferenza stampa nel marzo 2022 . Il progetto è fermato, anche se non abbandonato dall’investitore. L’aria però è cambiata: nel 2022 il governo federale vota uno stop alle nuove mini centrali idroelettriche .
«Non dobbiamo dominare la natura»
Lascio il caffè dalle ampie vetrate nel parco Zrinjevac e m’incammino verso il fiume e la città vecchia di Mostar. A trent’anni dallo scoppio della guerra, la città ponte – che deve il suo nome proprio al suo ruolo di punto di attraversamento della Neretva – rimane divisa tra croati e bosgnacchi. Scuole, università, ospedali, aziende di gestione dell’acqua e dell’elettricità… tutto è organizzato in duplice forma da un lato e dall’altro del Bulevar che, parallelo al fiume, taglia in due la città. L’apice è raggiunto negli ultimi anni, quando i due partiti etno-nazionalisti, l’HDZ e l’SDA, non riescono a trovare un accordo per modificare la legge elettorale locale come richiesto dalla Corte costituzionale bosniaca. Risultato? Non si vota per 12 anni.
Bisogna infatti aspettare il 2020 perché delle elezioni locali siano organizzate a Mostar, dopo quelle del 2008. E questo grazie all’intervento di una professoressa di filosofia, Irma Baralija, che nel 2019 decide di portare il caso davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo (CEDU), che nello stesso anno le dà ragione . Alle elezioni del 2020, HDZ e SDA arrivano comunque in prima e in seconda posizione (l’attuale sindaco appartiene al primo partito), ma la coalizione multietnica in cui milita anche Irma Baralija realizza un buon risultato, piazzandosi terza. La notizia è salutata come l’inizio di un cambiamento, ma due anni più tardi, i nazionalismi continuano a fare la parte del leone nell’attualità bosniaca.
Proprio mentre scrivo queste righe, le autorità croate inanellano le interferenze nella politica interna della Bosnia Erzegovina. I nazionalisti croato-bosniaci chiedono una nuova legge elettorale a livello nazionale in vista delle elezioni di quest’autunno (con maggiore rappresentanza su base etnica) e Zagabria li sostiene con forza. Il presidente croato Zoran Milanović si spinge fino a dire che «l’annuncio di una terza entità sarebbe estremo, ma io dovrò sostenerlo », facendo riferimento al sogno – tuttora covato in Croazia – di una nuova divisione interna della BiH. La città ponte andrebbe incontro a nuovi conflitti, finendo per essere ancora una volta presa di mira, come accadde nel 1993 quando lo Stari most venne distrutto dai militari croati.
Per lo scrittore e poeta bosniaco Marko Tomaš, residente a Mostar, «[i politici nazionalisti bosniaci, ndr.] parlano di interessi nazionali, ma si preoccupano solo di ricevere una percentuale sugli investimenti che autorizzano». Tomaš si riferisce, ancora una volta, alla Neretva, che vede sfruttata per ragioni che nulla hanno a che fare con la «nazione». «Nel delta sta aumentando la salinità e sempre più lontano dall’Adriatico, risalendo il fiume, si trovano calamari e pesci di mare», denuncia lo scrittore. «Si vede quanto poco gli interessa del territorio», prosegue Tomaš puntando il dito contro la classe politica bosniaca, mentre «si potrebbe investire sulla qualità della vita e del cibo prodotto da queste parti».
Questa strada – quella della valorizzazione del patrimonio locale in un modo sostenibile – è quella che ha scelto Semir Milavić a Blagaj. Mentre il sole tramonta sugli alberi spogli e sulla Buna che scorre impetuosa verso i Bunski Kanali e la Neretva, Semir prepara il caffè e racconta i tanti progetti a cui sta lavorando. C’è lo spazio museale all’interno della residenza di famiglia, le stanze che d’estate affitta ai viaggiatori, l’atelier di riciclaggio e di cucito e poi il miele, il succo di mela e gli altri prodotti tipici che realizza con amici e parenti. Persino per riscaldare la casa nei mesi invernali, Semir cerca di causare il minor danno possibile all’ambiente, recuperando i tronchi spezzati dal vento durante le sue passeggiate nei boschi.
«Ci sono due approcci quando ti muovi nella natura: se fai rumore, se ti imponi, noterai che gli animali scappano, ma se fai attenzione, se avanzi con delicatezza, noterai che gli animali non hanno paura e ci sarà sempre uno spettacolo a cui assistere», afferma Semir Milavić, che conclude «non dobbiamo dominare la natura. Oggi prendiamo molto e restituiamo molto poco al pianeta. Bisogna cambiare questo approccio». Fuori dalla porta in vetro, il cielo si è fatto ormai scuro e l’unico rumore che si sente è lo scrosciare continuo del fiume. Risaliamo i gradini in pietra che portano alla strada e, dopo aver salutato Semir che ci invita a tornare quest’estate con la bella stagione, risaliamo in auto alla volta del delta.
Passato il paese di Buna, ci immettiamo sulla statale che segue la Neretva in direzione del mare. Dietro ad una curva sbuca l’avamposto ottomano di Počitelj. È da queste parti che le associazioni di pescatori assicurano di catturare sempre più spesso specie marine , come ricordava Marko Tomaš. Siamo a 40km dall’Adriatico, ma d’estate la corrente della Neretva non è abbastanza forte per contrastare l’acqua del mare che risale. Qualche minuto più tardi siamo a Čapljina e al confine con la Croazia. Il limes politico corrisponde qui da secoli ad una frontiera geografica: ancora qualche chilometro e sarà possibile navigare sul fiume senza difficoltà. Ci aspetta il delta, l’ultima tappa del nostro viaggio lungo la Neretva.
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