La decisione dell’ormai ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko di introdurre emendamenti legislativi che vietano la negazione dei crimini di guerra e l’esaltazione dei criminali di guerra condannati ha suscitato reazioni opposte nelle due entità della BiH
Non accennano a placarsi le reazioni del mondo della politica locale alla decisione dell’ormai ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko di introdurre emendamenti legislativi che vietano la negazione dei crimini di guerra e l’esaltazione dei criminali di guerra condannati. Emendamenti che evidentemente non basteranno per cambiare sostanzialmente gli atteggiamenti che impediscono alla società bosniaco-erzegovese di superare le profonde divisioni etno-nazionali e le divergenze nell’interpretazione della guerra che perdurano ancora oggi, ventisei anni dopo la fine del conflitto.
Le modifiche introdotte lo scorso 23 luglio al Codice penale della Bosnia Erzegovina prevedono una pena di reclusione da sei mesi a cinque anni per chi esalta, nega, minimizza o cerca di giustificare pubblicamente crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra accertati con sentenze definitive, prendendo così di mira un gruppo di persone o un membro di tale gruppo per motivi di razza, colore, religione, ascendenza o appartenenza nazionale o etnica in modo da incitare alla violenza e all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.
Sono previste anche alcune circostanze aggravanti. Chi compie atti di cui sopra mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale, è punito con una pena di reclusione non inferiore ad un anno, mentre chi commette tali atti in modo da turbare la quiete e l’ordine pubblico o in modo offensivo o intimidatorio, è punito con una pena detentiva non inferiore a tre anni. La stessa pena è prevista per chi assegna un riconoscimento, premio o qualsiasi privilegio ad una persona condannata in secondo grado per genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, o intitola a tale persona vie, piazze, parchi, istituzioni o altri luoghi pubblici.
La decisione di Valentin Inzko di utilizzare, pochi giorni prima della scadenza del suo mandato durato 12 anni, le sue prerogative per imporre modifiche legislative, ha suscitato reazioni opposte: da un lato, nella Federazione BiH, l’iniziativa di Inzko è stata accolta positivamente, dall’altro, in Republika Srpska, ha suscitato forte disapprovazione, spingendo alcuni a invocare la dissoluzione del paese.
I poteri di Bonn
La figura dell’Alto rappresentante, responsabile della supervisione dell’implementazione dell’Accordo di Dayton, che pose fine alla guerra in Bosnia Erzegovina, fu istituita sulla base dell’Annesso 10 dell’Accordo. Nel 1997, nel corso di una riunione del Consiglio per l’implementazione della pace, all’Alto rappresentante furono conferiti maggiori poteri , compresa la possibilità di destituire i funzionari pubblici che violano gli Accordi di Dayton e di imporre provvedimenti legislativi ritenuti necessari qualora le autorità locali si dimostrassero riluttanti a farlo.
Spiegando i motivi che lo hanno spinto a imporre emendamenti legislativi, Inzko ha affermato che i cittadini della Bosnia Erzegovina stanno diventando vittime di “uno scontro verbale sull’interpretazione dell’ultima guerra”, uno scontro a cui, secondo Inzko, bisogna immediatamente porre fine. Inzko ha inoltre aggiunto di aver agito seguendo la sua coscienza, ritenendo di “non avere il diritto di concludere il suo mandato mentre i criminali di guerra continuano ad essere glorificati”.
Prima di assumere l’incarico di Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina nel 2009, Inzko è stato ambasciatore dell’Austria a Sarajevo (dal 1996 al 1999), poi ha lavorato presso l’ambasciata austriaca a Belgrado e presso l’ufficio dell’Osce nel Sangiaccato, ed è stato anche l’ambasciatore dell’Austria a Lubiana.
Lo scorso 1 agosto il tedesco Christian Schmidt ha preso il posto di Inzko come nuovo Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina. Schmidt è stato ministro dell’Agricoltura nel governo tedesco, membro del Bundestag, membro della commissione parlamentare per gli affari esteri e rapporteur per i Balcani occidentali. Una delle sue prime decisioni prese in veste di Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina è stata quella di appoggiare pubblicamente le modifiche legislative volute dal suo predecessore.
Le reazioni in Republika Srpska
Poche ore dopo la presentazione degli emendamenti introdotti da Inzko, Milorad Dodik, membro serbo della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina e leader dell’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), ha convocato una conferenza stampa straordinaria nel corso della quale ha ribadito la sua posizione sull’argomento, negando il genocidio di Srebrenica e annunciando che le istituzioni della Republika Srpska avrebbero reagito in risposta alla decisione di Inzko. Nei giorni successivi Dodik ha incontrato gli esponenti dell’opposizione, invitando tutte le forze politiche della Republika Srpska ad unirsi per difendere il popolo serbo.
Dodik ha anche lanciato una petizione contro gli emendamenti legislativi imposti da Inzko, tornando a parlare di una possibile secessione della Republika Srpska da Sarajevo.
Lo scorso 30 luglio il parlamento di Banja Luka ha approvato, con procedura d’urgenza, una legge di non attuazione della decisione di Inzko, nonché alcune modifiche al Codice penale che prevedono pene severe per chiunque offenda la reputazione della Republika Srpska. Chi denigra o vilipende la Republika Srpska, la sua bandiera, il suo stemma o il suo inno è punito con una pena detentiva da sei mesi a cinque anni se tale atto è compiuto associando alla Republika Srpska o ai popoli che vi vivono il termine “aggressione” o “genocidio”. Se invece tale reato viene compiuto da un dipendente pubblico, la pena prevista è della reclusione da due a dieci anni, mentre per chi lo compie allo scopo di cambiare l’ordinamento costituzionale della Republika Srpska o di mettere a repentaglio la sua integrità territoriale o l’indipendenza, è prevista una pena di reclusione da tre a quindici anni.
Dodik ha inoltre affermato di essere pronto a dimettersi dall’incarico di membro serbo della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, mentre gli esponenti dei principali partiti in Republika Srpska hanno annunciato l’intenzione di boicottare i lavori delle istituzioni centrali, cioè del parlamento e del consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina.
Mercoledì 4 agosto Dodik e alcuni rappresentanti del governo della Republika Srpska si sono recati a Belgrado per incontrare il presidente serbo Aleksandar Vučić. Al termine dell’incontro Vučić ha dichiarato che qualsiasi misura imposta è inaccettabile e che le decisioni politiche in Bosnia Erzegovina devono essere adottate con il consenso di tutti e tre i popoli costituenti.
Alla domanda se intendesse incontrare Christian Schmidt, Dodik ha risposto affermando di non riconoscere l’Alto rappresentante come autorità legittima e di considerare Schmidt solo come ex ministro del governo tedesco.
Nel corso della prima conferenza stampa tenuta dopo l’assunzione del nuovo incarico, Schmidt ha ribadito di appoggiare gli emendamenti voluti da Inzko, sottolineando che non c’è alcuna giustificazione per l’esaltazione dei criminali di guerra.
“Sono venuto qui perché mi sento responsabile, perché, come cittadino tedesco, sono consapevole del fatto che il mio paese ha contribuito a molte sciagure che nel secolo scorso hanno colpito questa regione“, ha dichiarato Schmidt.
La decisione di Inzko di imporre emendamenti legislativi che vietano la negazione dei crimini di guerra ha riportato alla ribalta la figura dell’Alto rappresentante e quindi le azioni di Schmidt sono subito finite sotto la lente dell’opinione pubblica. In realtà, i media hanno parlato molto della figura del nuovo alto rappresentante prima ancora che Schmidt giungesse a Sarajevo, e ora le analisi e le speculazioni sulle sue future mosse e incontri occupano sempre più spazio sui media bosniaco-erzegovesi che però, non avendo una posizione univoca sulle questioni identitarie e politiche etno-nazionali, spesso offrono interpretazioni diametralmente opposte della vicenda legata agli emendamenti legislativi voluto dall’ex Alto rappresentante.
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