Una donna guarda la città di Sarajevo dall'alto al tramonto © novak.elcic/Shutterstock

Sarajevo © novak.elcic/Shutterstock

A distanza di tre decenni dallo scoppio della guerra, la società bosniaco-erzegovese è ancora ben lontana dal riuscire a superare le divisioni e le retoriche guerrafondaie

08/04/2022 -  Elvira Jukić-Mujkić Sarajevo

In Bosnia Erzegovina l’inizio di aprile viene ricordato come il periodo in cui iniziò l’assedio di Sarajevo, e con esso una guerra protrattasi dalla primavera del 1992 fino alla fine del 1995 durante la quale persero la vita circa 105.000 persone, di cui 68.000 bosgnacchi, 23.000 serbi, 9.000 croati e 5.000 persone appartenenti ad altre nazionalità. A distanza di tre decenni dallo scoppio della guerra, la società bosniaco-erzegovese è ancora ben lontana dal riuscire a superare le divisioni e le retoriche guerrafondaie. Nell’anno in cui ricorrono i trent’anni dall’inizio del conflitto, le tensioni e i timori di una nuova guerra sembrano più profondi che mai.

La perdita di vite umane, il degrado sociale e morale e un basso tenore di vita sono solo alcune delle conseguenze del conflitto conclusosi ventisei anni fa che continuano a sconvolgere non solo l’esistenza dei cittadini bosniaco-erzegovesi che ricordano bene la guerra, ma anche quella delle generazioni nate dopo il conflitto. I sopravvissuti portano dentro di sé ferite profonde e spesso hanno un’idea della guerra in gran parte basata sull’esperienza personale. Allo stesso tempo, il costante dilagare del revisionismo storico e la tendenza a negare apertamente crimini di guerra comprovati rendono difficile per i cittadini bosniaco-erzegovesi compiere importanti passi in avanti verso la riconciliazione e la costruzione di un futuro più luminoso.

Negazione dei crimini

Il mancato impegno nell’accertare i fatti in modo da poter costruire una memoria collettiva di quanto accaduto durante quel periodo buio e non così lontano ha contribuito al costante deterioramento della situazione in Bosnia Erzegovina, tanto che oggi la situazione nel paese è peggiore rispetto ai primi decenni del dopoguerra quando c’era ancora qualche speranza di un futuro migliore.

Il punto critico è stato raggiunto nell’estate del 2021 quando i tentativi, sempre più frequenti e insistenti, di negare il genocidio e altri crimini commessi durante il conflitto degli anni Novanta e di offendere le vittime hanno spinto Valentin Inzko, ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, a introdurre alcune modifiche al Codice penale della BiH che vietano la negazione dei crimini di guerra e l’esaltazione dei criminali di guerra condannati. Una decisione che non ha fatto che far esplodere le tensioni presenti nella società bosniaco-erzegovese, tensioni che difficilmente potranno placarsi nel corso del 2022 – che peraltro è un anno di elezioni in BiH – considerata la profonda polarizzazione della società e il prevalere delle forze di destra sulla scena politica locale.

La strategia politica della leadership al potere nella Republika Srpska, guidata da Milorad Dodik, è basata sulle minacce separatiste e sulle azioni finalizzate a minare la statualità della Bosnia Erzegovina, negando la legittimità delle istituzioni centrali e violando i principi che garantiscono la sovranità e l’integrità territoriale della BiH, ostacolando così ogni tentativo di placare le crescenti tensioni all’interno della società. La tendenza a negare apertamente i crimini di guerra e ad esaltare chi li ha commessi contribuisce all’aggravarsi della situazione e rischia di mettere a repentaglio la pace raggiunta con gli Accordi di Dayton del 1995.

All’inizio di marzo, poche settimane prima del trentesimo anniversario dell’inizio dell’assedio di Sarajevo, su un muro che costeggia una strada nei pressi del confine amministrativo tra la città di Sarajevo e la città di Istočno Sarajevo (che segna anche il confine tra le due entità del paese) è stata di nuovo fissata una targa commemorativa  dedicata ai due battaglioni guidati dall’ex capo di Stato maggiore dell’esercito serbo-bosniaco Ratko Mladić, condannato all’ergastolo per genocidio e altri crimini di guerra commessi durante la guerra in Bosnia Erzegovina. Ad apporre la nuova targa in sostituzione di quella originale, recentemente imbrattata con vernice per poi essere distrutta, è stata l’Associazione dei combattenti di Istočno Sarajevo. Le autorità di Istočno Sarajevo si sono sempre rifiutate di rimuovere la controversa targa, evidentemente non vedendovi nulla di problematico.

Le interpretazioni discordanti del passato

La tendenza a glorificare le vittime appartenenti al proprio popolo e a sminuire quelle di altri gruppi etnici è presente in Bosnia Erzegovina sin dalla fine della guerra e non si è attenuata nemmeno dopo che è stato accertato il numero effettivo delle vittime. Ad alimentare le narrazioni discordanti sulla guerra sono soprattutto i politici che utilizzano tali discorsi come uno strumento adatto per portare avanti la propria agenda populista. Un vero confronto con quanto accaduto durante la guerra degli anni Novanta non è mai stato tra le priorità dei politici bosniaco-erzegovesi, compresi quelli che nei primi anni del dopoguerra non hanno fatto altro che parlare di pace e futuro.

La mancanza di un’adeguata conoscenza di quanto accaduto durante la guerra, l’incapacità di comprendere il passato e la confusione che regna tra le giovani generazioni sono strettamente legate ad un sistematico rifiuto di fare i conti con il passato e di costruire un discorso sulla guerra basato sui fatti anziché sulle impressioni soggettive delle persone appartenenti alle diverse parti coinvolte nel conflitto e dei loro rappresentanti politici.

Le giovani generazioni – che non hanno mai ricevuto un’istruzione adeguata che permetta loro di comprendere un periodo storico che non ricordano, ma che continua a incidere sulle loro vite – tendono a percepire la guerra degli anni Novanta partendo dalle esperienze dei loro familiari e dai contenuti diffusi sui social dove non è facile identificare fonti credibili e distinguere tra informazioni vere e false che compongono il puzzle del passato.

Tra i vari tentativi pericolosi di “risolvere i problemi legati all’insegnamento della recente storia della BiH, compresa la guerra del 1992-1995”, vi è anche la recente modifica del programma scolastico nel cantone di Tuzla dove il libro di testo della storia della Bosnia Erzegovina per l’ultima classe delle scuole medie è stato aggiornato, aggiungendo ulteriori capitoli in cui la guerra degli anni Novanta viene interpretata con un approccio unilaterale, e uno degli autori era un membro dell’esercito.

Oggi, a distanza di tre decenni dallo scoppio della guerra, la realtà della Bosnia Erzegovina – stando alle testimonianze di chi ha vissuto quella guerra – sembra molto simile a quella del 1992. Il conflitto in Ucraina ha risvegliato i ricordi delle guerre jugoslave, suscitando preoccupazione nell’intera regione. Il timore di una nuova guerra di certo non è circoscritto alla Bosnia Erzegovina, ma in questo paese, forse più che in qualsiasi altro posto nel mondo, il solo pensare alla possibilità di un nuovo conflitto fa rabbrividire.

Mentre l’Unione europea e la Nato continuano a promettere che sosteranno la Bosnia Erzegovina, le vittime e i sopravvissuti alla guerra degli anni Novanta si chiedono se tale sostegno arriverà in tempo e se riuscirà a fermare un’eventuale escalation di violenza.


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