Zapis 1, 2019, 100x100cm, acrilico su tela © Vladimir Lalić

Zapis 1, 2019, 100x100cm, acrilico su tela © Vladimir Lalić

“Ho navigato per toccare le mattine, i giorni, le stagioni, alla ricerca di una mia luce”. Con la sua pittura, focalizzata prima sul nudo, poi sul suo dialogo con la natura, Ratko Lalić - scomparso nell'agosto 2023 - ha cercato di puntare dritto "all'energia primordiale dell'essere". Un'impressione

10/01/2025 -  Božidar Stanišić

Non scrivo questo articolo dedicato a Ratko Lalić spinto da motivazioni local-patriottiche né tanto meno da quelle – come si suol dire dalle mie parti – nazionali. Lo immagino come un piccolo omaggio ad uno dei pochi artisti serbi e jugoslavi che, dai primi agli ultimi passi mossi nel mondo della pittura, sono sempre rimasti fedeli al proprio credo. Un omaggio spezzettato, tutt’altro che cronologico. Un’impressione.

All’inaugurazione della grande retrospettiva (1972-2013) di Ratko Lalić alla galleria “Cvijeta Zuzorić” a Belgrado, c’era una voce spontanea, per nulla accademica. In sette, otto minuti – quanto è durato il suo discorso sulla pittura di Lalić – Đorđe Kadijević, regista, sceneggiatore e appassionato conoscitore d’arte, all’epoca ottantenne, ha tenuto una vera e propria lezione, non solo sul pittore (sette, otto minuti: sufficienti per le menti pensanti per comprendere la voce di un uomo intelligente e competente.)

Ha parlato di Lalić utilizzando un linguaggio essenziale: lo ha definito pittore per antonomasia, un pittore che, all’inizio della sua carriera, ha saputo seguire le correnti artistiche dominanti, senza mai rinunciare ai suoi grandi nudi femminili; capace di dipingere senza lasciarsi appesantire dall’eredità dei suoi predecessori, spiritualmente vicino a Cézanne (“il colore, da solo, può esprimere tutto”), tanto che nei dipinti di Lalić anche il nero è pregno di un’intensità cromatica dissimulata, nasconde le sfumature di rosso carminio.

Infine, Kadijević ha ricordato ai presenti che a cavallo tra il XX e il XXI secolo, quando molti hanno iniziato a considerare la pittura come un fenomeno anacronistico, in un mondo sommerso da video, installazioni e performance (a quel punto il vecchio saggio si è messo le mani nei capelli!), Lalić è rimasto saldo sulla sua strada. “La pittura non sarà mai fuori tempo!”.

Non ricordo esattamente quando, alla fine degli anni ’70 (o forse all’inizio degli anni ’80?), Lalić aveva costruito un atelier spazioso nel suo villaggio natale, nei pressi di Visoko, sulla riva del fiume Bosna. Ricordo però che quasi non passava giorno che mio padre Velimir non concludesse la sua passeggiata da pensionato nello studio di Ratko. Mia madre era preoccupata: “Forse lo disturbi, gli dai fastidio?”. “Per niente!”, rispondeva mio padre. (A quel tempo scriveva con entusiasmo delle mostre di Lalić.)

Successivamente, da studente, poi da giovane professore, andai più volte con mio padre a trovare Lalić. Sui cavalletti c’erano quadri in divenire, composizioni di dimensioni impressionanti, in cui piante, giardini, campi, stoppie, covoni, zolle, nidi, sassi e, ovviamente, uccelli raccontavano, nella loro lingua muta, la bellezza, ma anche la malinconia dell’esistenza.

Durante una di queste visite – qui la memoria non m’inganna, me lo hanno ricordato anche alcuni autori [1] dei testi raccolti nella monografia Ratko Lalić – slikar neprekinutog kontinuiteta [Ratko Lalić – pittore della continuità ininterrotta] – appoggiato ad un muro dello studio, vidi un nudo femminile sdraiato. Uno di quei dipinti – pensai in quel momento – la cui “bellezza” sinistramente ruvida, e di conseguenza discutibile, ci rende restii a portarcelo a casa. Come evidenziato anche da Kadijević nel 2013, i nudi femminili “robusti” del primo periodo dell’evoluzione artistica di Lalić sono una metafora della Natura, il preannuncio di un dialogo continuo tra pittore e mondo naturale.

Dopo aver abbandonato il tema del nudo, Lalić focalizza la sua pittura sulla Natura intesa come miracolo delle forze vivificanti, Natura e nient’altro, come se la figura umana (per non parlare del contesto della vita urbana!) fosse scomparsa dal campo visivo del pittore.

Osservava la natura con l’ossessione di un artista che riteneva, anche se, per quanto ne sappia io, non ha mai esplicitato tale idea, che per il mistero del mondo l’entità del suo creatore – Dio, Energia o Caos – fosse del tutto irrilevante. E che un artista, se era anche uomo, con tutti i suoi interrogativi interiori, dovesse inchinarsi umilmente alla Natura.

Non è un caso che Dragan Jovanović Danilov, poeta e saggista, abbia definito Lalić pittore di “un romanticismo dilatato, che aspira a romanticizzare nuovamente il mondo, riportandoci all’energia primordiale dell’essere”.

Anche il regista Živojin Pavlović è stato attratto dalla pittura di Lalić. “Le tele di Ratko Lalić non sembrano essere plasmate dallo spirito umano, bensì da quello della natura stessa. Anche per questa caratteristica la sua pittura si situa nel regno dell’amorfismo. In essa tutto è effimero – un filo d’erba, un ramo, una foglia ondeggiante, l’ombra di un albero adagiata su una zolla di terra, la luce pallida che illumina le pietre nude…”.

Nel suo saggio Spoznaja samog sebe [Conoscere se stessi], Lalić parla dell’infanzia vedendo in essa la fonte del suo “dialogo con la natura”, come lo definì nel 1988 il suo maestro, il pittore Stojan Ćelić.

Lalić racconta che da ragazzo, sulla riva del fiume, aveva costruito “una piccola arca di Noè, una barca di legno”. “Ho navigato per toccare le mattine, i giorni, le stagioni, alla ricerca di una mia luce”.

Successivamente, ormai anziano, affronta nuovamente il tema dell’esistenza, descrivendo il suo laboratorio pittorico: “Ogni giorno parlo davanti al cavalletto, nel piccolo cortile antistante al mio atelier alla Vecchia Fiera, a Orašac, dove ho un giardino e un orto, tra ricordi e immagini della mia terra natia, sulle rive del fiume Bosna, mentre passeggio per le strade di Belgrado […] La mia pittura è una lunga dichiarazione biografica visiva della natura. È nata da una mia inclinazione, fuori dalla realtà. L’uomo, sin dall’infanzia, porta con sé alcune immagini, vive con esse e da esse trae ed emana l’energia creativa. Amo la semplicità. Questa è la mia percezione del mondo, la mia estetica artistica”.

Per evitare di rovinare questo articolo commemorativo con una parola il cui significato spinse Lalić a lasciare Sarajevo e il suo atelier nei pressi di Visoko, mi limito a constatare che ha proseguito la sua attività artistica a Belgrado. Senza sosta. E che non era uno di quei pittori capaci di “imporsi” sul mercato e di farsi strada coi gomiti piuttosto che con il pennello, il cavalletto e la tavolozza.

Zapis 2, 2017.g, 140x140cm, acrilico su tela © Valdimir Lalić

Zapis 2, 2017.g, 140x140cm, acrilico su tela © Valdimir Lalić

Lo conferma il fatto che la notizia della morte di Lalić, sommariamente riportata dalla Radiotelevisione della Serbia e da un portale di Visoko, è stata ripresa solo dall’agenzia di stampa SRNA e dal quotidiano belgradese Večernje novosti. In qualsiasi altro paese, come sostiene un ammiratore dell’arte di Lalić, i media farebbero a gara nel pubblicare commenti, immagini e dichiarazioni del pittore sul suo credo artistico.

Dicono che l’unico motivo per cui i media hanno dedicato una maggiore attenzione, seppur tardiva, all’opera di Lalić siano le parole di elogio pronunciate da Emir Kusturica (il regista ha dedicato a Lalić e alla sua arte una casa a Drvengrad e all’inizio del 2024, nell’ambito del festival Kustendorf, ha organizzato una retrospettiva della sue opere nella galleria “Petar Lubarda” a Višegrad.)

Tra quelli che sono rimasti sconvolti dalla sordità di Belgrado alla triste notizia, Milan Milinković, collezionista e conoscitore dell’arte di Lalić, si è sfogato affermando che non solo sono scomparsi tutti i grandi pittori che hanno segnato la vita artistica di Belgrado, ma “ormai non c’è quasi nessuno a cui riferire la notizia della morte di Lalić”.

Anziché concludere con questa considerazione tetra, vi propongo una riflessione di Lalić.

“Ho acquistato un terreno e sono diventato giardiniere. Così osservo da vicino i cicli della natura, aspettando la maturazione, proprio come Monet osservava e dipingeva la cattedrale in diversi momenti del giorno e delle stagioni. Dipingo, diceva Lubarda, come un contadino: preparo il terreno, lo aro e concimo, semino e aspetto i frutti. Anche la mia pittura nasce in questo contesto. La parola ‘contadino’ va pronunciata con rispetto, e non con cinismo, come accade dalle nostre parti. Qui quando si dice ‘contadino’ si pensa ad una persona primitiva, un uomo arretrato, stupido. Ecco perché siamo giunti a questo punto. I contadini invece sono saggi e perspicaci […] Come diceva Joan Miró, la forza entra dai piedi. Questo contatto con la terra costituisce un legame importante con la vita. Quando Miró arrivò in Francia dalla Spagna portò nella sua valigia diverse erbe, profumi, tocchi…”.

E un video che ripercorre la retrospettiva di Lalić tenutasi nel 2013 alla galleria “Cvijeta Zuzorić”.

Senza parole, solo musica e immagini.

[1] A cura di Sava Stepanov; editore Cicero, Belgrado, 2010.

 

Biografia

Ratko Lalić è nato il 6 febbraio 1944 a Dolipolje, nei pressi di Visoko. Ha frequentato la Scuola di Arti applicate a Sarajevo e poi l’Accademia di Belle Arti di Belgrado, dove nel 1975 ha completato anche gli studi post-laurea con il professor Stojan Ćelić. Ha insegnato disegno e pittura all’Accademia di Belle Arti di Sarajevo, poi a quella di Cetinje nel 1992, e dal 1994 ha lavorato presso la Facoltà di Arti applicate di Belgrado. Ha insegnato anche alla Facoltà di Belle Arti di Banja Luka.

Ha tenuto 73 mostre personali, partecipando a quasi 250 mostre collettive in tutta la ex Jugoslavia (Belgrado, Lubiana, Skopje, Sarajevo, Nikšić, Sombor, Zagabria, Mostar, Zrenjanin, Dubrovnik, Budva, Banja Luka, Novi Sad, Užice, Niš…) e all’estero (Polonia, Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Italia, Svezia, Francia, Egitto, India, Romania, Bulgaria, Germania).

Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il premio assegnato dal Fondo di Rista e Beta Vukanović della Facoltà di Belle Arti di Belgrado, il Premio d’ottobre della città di Belgrado per “l’impegno studentesco, artistico e scientifico”, il premio “6 aprile” istituito dalla città di Sarajevo, il riconoscimento per la pittura al Salone d’ottobre di Belgrado nel 1975, il premio assegnato dal Museo della città di Sarajevo alla mostra “Colleguim artisticum ‘81”, il riconoscimento per la pittura all’ottava mostra dell’Unione delle associazioni degli artisti figurativi della Jugoslavia (SULUJ) a Skopje. L’Università delle Arti di Belgrado gli ha conferito un riconoscimento per i suoi meriti straordinari e il suo contributo allo sviluppo della Facoltà di Arti applicate e dell’intero Ateneo.


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