La religione, la scuola, la politica. Riflessioni a margine di alcuni recenti avvenimenti della cronaca bosniaca, a poche settimane dalle iniziative che ricorderanno all'Europa e al mondo il ventesimo anniversario dell'inizio dell'assedio di Sarajevo e della guerra in Bosnia Erzegovina

16/03/2012 -  Andrea Oskari Rossini

Dopo essere stato minacciato di morte, il mese scorso, il ministro dell'Educazione del Cantone di Sarajevo si è dimesso. La colpa di Emir Suljagić è stata quella di proporre che il voto di religione non facesse media nelle scuole del Cantone, per non discriminare gli studenti che non si avvalevano dell'insegnamento. La sua iniziativa ha scatenato reazioni furibonde che, secondo diversi attivisti per i diritti umani, hanno preparato il terreno per le successive minacce. Uno dei suoi principali antagonisti è stato il potente capo della comunità islamica della Bosnia Erzegovina, il reis ulema Mustafa Cerić che, la settimana prossima, riceverà a Roma un importante premio per il suo impegno per la Pace.

Chi è Emir Suljagić

Emir Suljagić è uno dei (pochi) bosniaco musulmani sopravvissuti all'assedio e caduta di Srebrenica. Rifugiatosi nella cittadina della Bosnia orientale all'inizio della guerra, era diventato interprete dei caschi blu grazie al fatto di parlare inglese. È lui il ragazzino che si vede nei filmati del Tribunale dell'Aja mentre traduce l'incontro tra Mladić e il comandante degli olandesi, dopo la caduta della città. Su Srebrenica e sull'assedio, Suljagić ha scritto pagine di grandissima umanità. Il suo libro Cartolina dalla fossa, da poco uscito anche in Italia (Beit edizioni), è una sorta di diario della vita nell'enclave vista attraverso gli occhi di un adolescente. L'autore parla della ferocia dell'assedio, dei crimini commessi dall'esercito serbo bosniaco, del genocidio. Ma Suljagić non volta lo sguardo di fronte ai crimini commessi dai “suoi”, descrive lo sfruttamento, le malversazioni e la corruzione che regnavano in una città sottoposta all'arbitrio dei suoi capi militari e, soprattutto, racconta le angherie commesse dalle forze di pace, i caschi blu. La parte in cui descrive come un ufficiale olandese cancella con un tratto di pennarello il nome del fratello di Hasan Nuhanović (l'altro interprete) dalla lista dei lavoranti, di fatto condannandolo a morte (di questo si trattava), è un'accusa senza appello e, insieme, un incubo. Dopo la guerra, per diversi anni Suljagić ha seguito come giornalista i processi del Tribunale dell'Aja. Infine è entrato in politica, con i socialdemocratici, diventando ministro nel gennaio del 2011.

Avvertimenti mafiosi

“Lascia stare Allah e la sua religione, o la mano del fedele ti colpirà.” Questo è stato il messaggio che Suljagić ha trovato l'8 febbraio scorso nella sua cassetta delle lettere, chiuso in una busta. Nell'involucro c'era una pallottola calibro 7.32. Già una volta, l'anno scorso, la sua proposta di ridimensionare il peso della religione nelle scuole aveva suscitato dure reazioni, spingendolo alle dimissioni. I suoi colleghi del partito socialdemocratico però (SDP), alla guida del Cantone di Sarajevo, lo avevano sostenuto, convincendolo a restare. Stavolta è rimasto solo e, di fronte alla gravità delle minacce, ha deciso di mollare.

Le critiche nei suoi confronti erano arrivate soprattutto dal leader della comunità islamica bosniaca, il reis ulema Mustafa Cerić. A maggio dell'anno scorso, in un discorso particolarmente duro tenuto di fronte a 30.000 fedeli a Blagaj, Cerić si era scagliato contro le proposte del ministro avvisando che i musulmani sarebbero scesi in strada dando vita ad una “estate di Sarajevo”, con riferimento alle primavere arabe, aveva affermato che “le scuole sono nostre” e condannato “quelli che vogliono fare a Sarajevo quello che è stato fatto a Srebrenica”, cioè il genocidio. Nello stesso discorso Cerić aveva accusato Vera Jovanović, presidente del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della Bosnia Erzegovina, schieratasi dalla parte di Suljagić, di “odio” nei confronti dei musulmani.

A seguire, il ministro e la sua famiglia avevano cominciato a ricevere minacce e mail di maledizioni. L'episodio della pallottola è stato l'ultimo di una lunga serie. Nella lettera di dimissioni pubblicata sul portale del governo del Cantone, Suljagić ha scritto che “quelli che si nascondono dietro la religione per minacciare me e la mia famiglia usano [la religione] per mantenere il potere e i privilegi indebitamente accumulati”.

Dopo l'annuncio delle dimissioni, sui muri della capitale sono comparsi slogan a favore del ministro. Le scritte più ricorrenti, riportate dai giornali locali, erano “Siamo tutti Emir”, “La dignità invece delle poltrone”, “Attenzione alle pallottole”. Un grande striscione affermava che Suljagić non era il “ministro dell'oscurità”, come era stato definito da un noto quotidiano bosniaco, ma "il ministro degli insegnanti e dei loro allievi" (v. Oslobodjenje, 14 febbraio). A metà febbraio, a Sarajevo, alcune centinaia di persone, tra cui molti insegnanti, hanno partecipato ad una manifestazione a favore di Suljagić. Il ministro però non è tornato sui suoi passi. Secondo alcune indiscrezioni, anzi, avrebbe ormai lasciato il Paese.

Un premio a Cerić

Il prossimo 20 marzo, a Roma, il reis Cerić riceverà il premio della Fondazione Ducci per il suo impegno a favore della Pace e, in particolare, per la sua “promozione del dialogo tra le religioni e le culture”. Il premio verrà consegnato nel corso di una cerimonia in Campidoglio. Insieme a Cerić saranno premiati Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, e il professore André Azoulay, presidente della Fondazione Anna Lindh. In Bosnia Erzegovina diversi attivisti per i diritti umani, incluso il noto documentarista Refik Hodžić, hanno aderito ad una petizione avviata dal popolare attore Fedja Stukan per chiedere alla Fondazione di non attribuire quel premio all'attuale leader della comunità islamica bosniaca. Gli estensori della petizione, non solo alla luce della vicenda Suljagić, definiscono Cerić come “una persona che diffonde odio e intolleranza su base religiosa, e uno dei responsabili della radicalizzazione dei credenti in Bosnia Erzegovina”.

Il presidente della Fondazione, Paolo Ducci, ha tuttavia dichiarato ad Osservatorio che "le polemiche e le diatribe concernenti la situazione interna della Bosnia non sono rientrate, né devono rientrare, nelle valutazioni del Comitato scientifico [della Fondazione], che si è attenuto al contributo fornito dal Cerić a livello internazionale quale promotore del dialogo interreligioso ed interculturale". Il presidente Ducci ha poi ricordato i numerosi premi già attribuiti a Cerić in sede internazionale e la sua partecipazione a importanti iniziative quali l'International Commission for Peace Research e il World Council of Religions for Peace.

Tra poche settimane, all'inizio di aprile, verrà ricordato il ventennale dell'inizio dell'assedio di Sarajevo. Per il tempo di un week end, la Bosnia Erzegovina sarà nuovamente al centro dell'attenzione internazionale. Dalla fine della guerra ad oggi ci si è interrogati su quanto profonde fossero le ferite lasciate da quel conflitto. La versione privilegiata dai media internazionali è quella secondo cui le cause della guerra erano etniche, non le conseguenze. Venti anni dopo sembra piuttosto vero il contrario. Le dimissioni di Suljagić sono un pessimo segnale della perdurante incapacità della Bosnia di dotarsi di strutture pubbliche con caratteristiche di inclusività, non di divisione, per tutti i (diversi) cittadini di quello Stato. Il premio a Cerić, forse, un segnale della nostra perdurante incapacità di comprendere quanto le dinamiche interne di quel Paese siano importanti per il destino dell'Europa.


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