Il 29 novembre 1989, nella sua nativa Konjic, veniva sepolto Zuko Džumhur (1921-1989), scrittore di viaggi, pittore, caricaturista, scenografo teatrale e di cinema, costumista. Un ritratto della vita e dell’opera di questo brillante autore
Džumhur, la vita: il libro al servizio dell’uomo
Ecco, ascolto di nuovo il video in cui il regista Mirza Idrizović (1939-1997) parla dell’amico e collaboratore Zuko Džumhur. Idrizović - regista del film “Miris dunja” (Profumo di mele cotogne) e della fortunata serie televisiva di viaggi "Hodoljublja” con per protagonista proprio Zuko - all’inizio del video racconta che questo artista universale è nato a Konjic, ha frequentato le elementari e le medie a Belgrado, il liceo a Sarajevo e che ha studiato diritto e pittura a Belgrado.
Rileggo, per l'ennesima volta, varie memorie lasciate su Zuko. Alcune scritte da amici, persone a lui vicine. Altre, le più numerose, di quelli che credono di esserlo stati. Alcuni si domandano e lamentano il perché questo artista così versatile (universale) sia rimasto quasi sconosciuto in Europa.
C'è chi lo conosce. E chi lo conosce in particolare per la firma alla scenografia del “Profumo di mele cotogne” (candidato della Jugoslavia all’Oscar nel 1982) e per quella sua famosa caricatura (1950) dove Stalin, da una fotografia appesa al muro, detta Il Capitale a Karl Marx. In italiano è uscito sul n. 57 della rivista "Sagarana" un racconto di viaggio di Džumhur dal titolo “U dućanu vremeplov” (Nella bottega del tempo in navigazione), tradotto da Alice Parmeggiani.
Ma nella biografia di Zuko Džumhur, autore di una decina di libri di viaggi, 10.000 caricature, 35 scenografie teatrali, vi è un dettaglio particolare e rilevante. Si tratta della prefazione a “Nekrolog jedne čaršije” (Necrologia di un mercato - 1958), il suo primo libro. Quest'ultimo apre con una nota su Počitelj, città lungo la Neretva, e chiude con un viaggio ad Antiochia, lo zar Costantino e le stelle sopra il deserto. L’autore della prefazione al libro è Ivo Andrić.
Alcuni in passato ritenevano che la ragione di quell'unica prefazione mai scritta dal grande scrittore fosse da ricercare nell’amicizia con il padre di Zuko, Abduselam, muftì dell’esercito del Regno di Jugoslavia a Belgrado. Le riflessioni di Andrić su “Necrolog jedne čaršije” dissipano facilmente ogni dubbio del genere: “È giunta l’ora di dire la cosa più importante: questo libro è interamente al servizio dell’uomo, sia nel rappresentarlo in situazioni complesse dell’attualità che del passato, e per questo è vicino alle persone. Fa scorrere davanti ai nostri occhi un film veloce ed ampio sulle impressioni e le osservazioni delle persone, sulla loro indole e sui rapporti umani. Il suo autore non è semplicemente un uomo che ha visto quello che noi non abbiamo avuto modo di vedere e che lo vive e lo descrive come personale egoistica prerogativa. Lui è un vero scrittore di viaggio, di quelli che viaggiando e annotando non dimenticano mai chi sono e dove devono fare ritorno”.
Zuko, il bambino di un crocevia
Tutti i libri di viaggio di Zuko Džumhur sono accompagnati da disegni, accompagnati a loro volta da brevi annotazioni o citati. Spesso scritti sia in alfabeto latino che in cirillico. Così come, molto seriamente, si firmava: con il nome in un alfabeto e il cognome in un altro. All’inizio del viaggio letterario di Zuko, vediamo lo scrittore di viaggi che sembra voler abbracciare volentieri tutte le quattro parti del mondo: da Oslo fino a Fes, da Londra a Samarcanda.
“Balza fuori all’improvviso, sorridente, con i suoi jeans e il maglione di shetland sulle spalle, con la barba non troppo lunga, così a tutti sembrava un vecchio amico o zio. E poi scompariva in un mondo noto solo a lui (…) Ho capito una cosa sola: che dentro quello spiritoso e divinamente talentuoso saggio si sono felicemente incontrati l’est, l’ovest, il nord e il sud: Africa, Asia e Europa”, ha scritto Mirza Idrizović di Zuko, il bambino di Dorćol (il nome di questo vecchio quartiere di Belgrado dove Zuko ha vissuto proviene dalla parola turca dort - quattro, e jol - strada, in passato era infatti un crocevia di carovane).
Zuko, col passare degli anni, è sempre di più in Oriente. Alla ricerca del senso e dei segni dell’Est lui si muove da Sarajevo e la sua Baščaršija e dal belgradese Dorćol, fino a Istanbul, Shiraz, Kabul… Ogni volta che leggo un sacco di mezze verità e di conclusioni superficiali sull’Islam e l’Oriente, specialmente sull’Afghanistan e Kabul, mi viene in mente il suo “Lettere dall’Asia”. Forse però mi direbbe: “Perché ti preoccupi, hombre?".
Džumhur e Andrić
È stato uno dei rari amici di Andrić. Insieme facevano lunghe passeggiate a Kalemegdan. Nei suoi scritti sulla Spagna, Zuko dice che tutto ciò che scrive su quel paese sembrano balbuzie rispetto alla profonda conoscenza di Andrić del popolo spagnolo, della sua storia, arte e costumi. Si incontravano a Herceg-Novi, dove il premio nobel trascorreva una parte dell’anno. Dopo la morte di Andrić, l’amministrazione comunale offrì a Zuko di vivere nella casa del grande scrittore. Zuko rifiutò questa offerta subito: “Chi sono io per vivere nella casa di Andrić?”
Mi sono ricordato di Zuko anche quest’autunno, a Višegrad. Emir Kusturica vi ha costruito Andrić-Grad. Ho visitato la città ricostruita da Kusturica: il cinema, i bar, i negozi, i ristoranti. Presto, dicono, ci sarà anche un albergo. C’è la chiesa, e in mezzo alla piazza un monumento a Njegoš. Dicono che tutta la città si è animata da quando esiste questa zona. Ma di Andrić non ho né visto né sentito una sola traccia. Non so che diavolo o santo mi abbia fatto arrivare la voce di Zuko, rauca dal tabacco forte, ma morbida. “Perché, caro Emir, hai dato a questa città-non-città il nome di Andrić? A me sembra che tu non abbia letto tutti i suoi libri come Dio comanda, fino in fondo. Non è possibile che tu non conosca la sua modestia e prontezza a rinunciare alle cose terrene? Con molta fatica, caro Emir, l’hanno convinto ad accettare quella casa-monumento nella natia Travnik. E tu, l’hai costretto, da morto, ad accettare questo “miracolo” di città! Lui non era un tipo da mercato, né da trattoria, né da chiesa. L’unica cosa vera in questo giorno d’autunno, è questo Andrić di bronzo, all’ingresso. Non è Ivo che accoglie i visitatori, ma Ivo che a questa città ha voltato la schiena. Quando i vivi decidono cos’è giusto e buono, i morti tacciono ma la schiena, noto, la possono voltare. Perché, caro Emir, non hai dato un altro nome a questa costruzione?”.
“Il mio Džumhur”
È uno di quegli scrittori di viaggio che con facilità entrano nella mente di quel lettore che non compra i best seller. “Leggi quello che ha scritto su paesi, città e persone e capisci di più il vecchio Gogol: per arrivare alla semplicità non ci abbassiamo ma ci rialziamo”, dice un mio amico. I libri di Zuko sono l’antibiotico contro una malattia della nostra epoca, il cui nome è banalità. Durante i suoi viaggi, nella credenza che la parola sia il passo e gli occhi le finestre dello spirito, Zuko era in cerca di se stesso. E si ritrovava per lo più nella segreto della caducità di tutto e nel dubbio di aver scoperto veramente qualcosa.
“Comunque, alla fine, su di me e sulla filosofia della mia vita più di tutto ha avuto influenza la poesia di Miloš Crnjanski. Per esempio, il suo verso che ho ricordato quando ero all’ultimo anno di ginnasio, e che dice: ‘Il silenzio giungerà quando tutto questo appassirà, anche per me, anche per me … ‘ Io probabilmente da molto giovane (…) ho capito che la principale caratteristica della vita umana è la caducità. E che tutto dipende dal fatto che la gente si divide, probabilmente, fra quelli che capiscono la sostanza della caducità e quelli che non la capiscono. Molti sarebbero molto più umani e più felici se lo sapessero. Invece loro credono nell’eternità. Purtroppo, non c’è stato nessuno a insegnarglielo …” ha affermato Zuko in una delle sue ultime interviste.
P.S. Ecco un’altra cosa, più divertente, per finire queste poche righe sull’artista il cui funerale è coinciso con un dato storico: tutte le unità federali della ex Jugoslavia il 29 novembre 1989 per l’ultima volta hanno festeggiato insieme il Giorno della Repubblica. Nei suoi “Hodoljublja” televisivi, Zuko in modo brillante ha rappresentato i suoi pellegrinaggi in giro per il mondo negli anni settanta. Ma non ha mai avuto molta fiducia in questo mezzo di comunicazione. Di questo parla anche il testo di una cartolina, indirizzata a Olgica Džumhur, Vasina 14, Belgrado. “Cara Olgica, mentre tu ti atteggi da dama di casa, io faccio la scimmietta davanti alle telecamere…". Olgica? Era la scimmietta che Zuko ha portato da un suo viaggio in uno dei paesi asiatici.
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