Elezioni in Bulgaria, rischio stagnazione perenne
31 marzo 2023
Domenica 2 aprile gli elettori bulgari saranno chiamati alle urne per eleggere un nuovo parlamento. Un esercizio di democrazia che però sembra aver stancato la maggioranza dei cittadini, anche perché si tratta delle quinte elezioni anticipate nell'arco di appena due anni.
La fine della lunga egemonia al potere di Boyko Borisov e del suo partito GERB – durata un decennio e sfiancata da lunghe proteste di piazza e accuse di corruzione e gestione familistica del potere – non è sfociata in un nuovo modello di potere e consenso sociale, portando a parlamenti frammentati e governi effimeri.
Le ultime rilevazioni demoscopiche non lasciano spazio a molte speranze di cambiamento nemmeno stavolta: la coalizione intorno a GERB e quella intorno a Continuiamo il cambiamento, la formazione riformista emersa come principale alternativa a Borisov, si giocano la vittoria in un serrato testa a testa, e né l’una né l’altra sembrano in grado di ottenere una posizione dominante nella prossima assemblea nazionale.
La campagna elettorale è stata sottotono, con l’obiettivo principale di persuadere il “nucleo duro” dei partiti a recarsi ai seggi e votare. La maggioranza relativa, anche risicata, è comunque un risultato importante, perché dà il diritto di precedenza nell’ottenere un mandato esplorativo e cercare strade per mettere insieme un esecutivo. Convincere gli elettori, sempre più stanchi, non è però facile, e l’affluenza alle urne si prospetta ancora una volta bassa.
Solide speranze di entrare nel prossimo parlamento hanno anche due “vecchie guardie” della politica bulgara: il Partito socialista, che segna però una progressiva e forse irreversibile emorragia di voti, e il Movimento per le libertà e i diritti (DPS), tradizionale rappresentante della comunità turca.
In significativa ascesa invece il movimento nazionalista e filo-russo “Vazrazhdane” (Rinascita), che nel corso degli ultimi mesi ha raccolto buona parte del supporto dell’area politica nazional-patriottica, insieme a quello di tanti elettori disillusi.
A meno di sorprese dell’ultim’ora, quindi, la composizione del prossimo parlamento non sembra meglio predisposta a formare una maggioranza stabile di quello recentemente sciolto per decreto dal presidente Rumen Radev, che in questo lungo periodo di interregno ha assunto un ruolo sempre più centrale, tanto da provocare non pochi malumori nell’establishment politico e accuse di abusare dei poteri a lui concessi dalla costituzione.
Potrebbe forse nascere un governo tecnico, o forse un governo di minoranza (soluzione prospettata dall’ex premier e leader di Continuiamo il cambiamento Kiril Petkov) con l’obiettivo minimo di realizzare riforme in grado di far uscire il paese dal vicolo cieco politico e istituzionale in cui si è cacciato.
Il rischio però, è quello di un altro, ennesimo giro di giostra e un nuovo episodio della soap-opera elettorale, questa volta il prossimo autunno.