© PP Photos/Shutterstock

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Se l’Unione europea ha compiuto uno sforzo consistente per creare un piano di ripresa che prende in considerazione obiettivi di sostenibilità, alcuni stati membri - come Bulgaria ed Ungheria - sono rimasti indietro nell’attuazione di tali riforme

21/08/2024 -  Massimo Guglietta

Una recente analisi dei progressi del Piano nazionale europeo di Ripresa e Resilienza (PNRR), coordinata da Openpolis e in collaborazione con partner di Slovacchia, Grecia e Ungheria, nell’ambito dell’European Data Journalism Network, ha riscontrato che Bulgaria e Ungheria, in particolare, sono molto indietro nel raggiungimento delle tappe previste e degli obiettivi fissati per la transizione verde: mentre scriviamo, la Bulgaria ha completato soltanto il tre percento di quanto stabilito, mentre l'Ungheria è rimasta letteralmente al palo. Queste analisi mostrano quanto l'UE sia ancora lontana dal raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità.

Per contribuire allo sviluppo nel continente dopo la pandemia e aiutare a finanziare la ripresa dei suoi stati membri, nel 2021 l’Unione europea ha creato il piano NextGenerationEU . Al cuore del progetto c’è il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), comprendente obiettivi climatici e di sostenibilità per garantire che il piano di recupero dell’Unione europea sia in linea con il suo obiettivo di diventare il primo continente climaticamente neutro (a zero emissioni) entro il 2050.

Come dimostrato dai finanziamenti UE, un aspetto fondamentale di NextGenerationEU è preparare il continente a raggiungere questi obiettivi, con almeno il 30 percento del piano di ripresa e del budget allocati per lo sviluppo di progetti verdi e per affrontare il cambiamento del clima. Nel complesso, l’UE ha stanziato fondi per ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030, sostenere le transizioni verso l’energia pulita, rendere possibile lo sviluppo di mezzi di trasporto sostenibili.

Mentre il continente nel suo insieme condivide questi obiettivi generali, ogni singolo stato membro ha poi un proprio piano di ripresa e la libertà di scegliere dove investire, anche se vi sono criteri precisi e risultati specifici che ogni Paese deve raggiungere.

In ogni caso, la mancanza di progressi stupisce meno se si considerano la situazione politica e l’opposizione generale nei confronti della transizione verde sia in Bulgaria sia in Ungheria.

La Bulgaria ha vissuto anni di difficoltà politiche nei quali ha vissuto ben sei tornate elettorali, l'ultima lo scorso giungo, e si ritrova tutt'ora con un governo provvisorio. Questa incertezza politica, sommata a quello che sembra essere uno scetticismo generale nei confronti della transizione verde, ha condizionato il progresso del paese nel raggiungimento dei suoi obiettivi e nell’ottenimento dei finanziamenti per la ripresa.

Nel 2021, il dibattito nel paese sulla transizione verde ha iniziato a prendere forma: all’epoca la Bulgaria era l’economia con la più alta intensità di consumo di carbone nell’Ue, e circa la metà dell’elettricità del paese derivava dal carbone. La Bulgaria, lo stato membro più povero dell’Unione, dopo le pressioni della comunità europea, ha cercato di ridurre progressivamente l’uso del carbone e nel contempo di rassicurare i lavoratori del settore che i loro mezzi di sussistenza sarebbero stati tutelati.

Malgrado ciò sia accaduto tre anni fa, le proteste dei lavoratori del settore del carbone e dell’energia sono proseguite e, nell’aprile 2024, hanno indotto il parlamento bulgaro a posporre il voto sulla Climate Neutrality Roadmap che, se approvato, avrebbe sbloccato finanziamenti dall’Ue per 4,4 miliardi di euro. Nel periodo precedente alle elezioni europee del giugno 2024, Stanimir Georgiev, un minatore veterano e leader sindacale ha detto che “il Green Deal è una farsa che minaccia il nostro benessere e alimenta sentimenti antieuropei”.

Anche l’ex Primo ministro socialista Sergey Stanishev è intervenuto a proposito delle opinioni dei bulgari sull’accordo, dichiarando  quanto lo trovino “doloroso, qualcosa di inventato dalla burocrazia di Bruxelles che viene imposto loro e di cui sono le vittime”,  lasciando intendere che dovrebbe essere invece “un’occasione per modernizzare la nostra produzione, le economie e le innovazioni”. Comunque, tra incertezza politica e opinioni conflittuali sulla transizione sostenibile del Paese, la Bulgaria non è riuscita a fare progressi consistenti.

In Ungheria, gli atteggiamenti nei confronti della transizione verde e la situazione politica sono simili a quelli registrati in Bulgaria. Viktor Orban, il Primo ministro ungherese che all’inizio di luglio ha assunto la presidenza semestrale del Consiglio dell’Ue, per anni si è espresso contro l’azione climatica. Nel 2019, dopo più di un anno di discussioni a livello europeo, Orban ha posto il veto ai piani dell’UE volti a ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. In risposta all’obiettivo di ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030, Orban ha accusato i politici favorevoli al Green deal di “uccidere la classe media europea con il pacchetto legislativo ‘Pronti per il 55%’”.

Negli ultimi mesi, il leader ungherese ha capovolto questa posizione e adesso “parla a favore di rinnovabili e di azione climatica – ma spesso senza implementare un’adeguata serie di politiche correlate”. Questo cambiamento c’è stato perché dai sondaggi è emerso che un numero crescente di ungheresi pensa che la transizione verde sia importante.

Il leader ungherese esprime ancora critiche nei confronti dell’approccio e della strategia dell’Europa. In un recente articolo di opinione sul Financial Times, Orban, come i suoi colleghi in Bulgaria, ha espresso scetticismo per la transizione verde, scrivendo che si tratta di un esempio importante delle “fuorviate decisioni di Bruxelles che vanno contro le realtà dell’economia mondiale” e ha lasciato intendere che l’UE “sta imponendo i suoi obiettivi motivati dall’ideologia senza consultare le industrie”. Mentre insiste che l’Europa deve essere leader in questa transizione, è molto critico verso le normative che l’UE ha definito.

A causa di queste preoccupazioni da parte dei politici e di alcuni settori industriali, entrambi i paesi non sono riusciti a raggiungere le tappe previste e di conseguenza non hanno ricevuto parte dei fondi NextGenerationEU loro destinati. In ogni caso, se l’UE desidera seriamente arrivare a essere a zero emissioni entro il 2050, i governi di tutti i 27 stati membri devono accogliere e implementarne la visione e il progetto.

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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