Decisionismo, carisma, capacità di attirare l'attenzione dei media. Il nuovo premier bulgaro Boyko Borisov ha incentrato la sua azione politica sulla sua figura personale: una strategia che, secondo i sondaggi, sembra pagare, ma che nasconde numerosi punti d'ombra
Milleduecentotrentasette voti a favore, zero contrari, zero astenuti. Le mani dei delegati si muovono all'unisono, sollevando un cartoncino blu ornato di stelle. Accompagnato da applausi scroscianti, e forte di una maggioranza d'altra epoca politica, da domenica 10 gennaio il premier bulgaro Boyko Borisov è ufficialmente il nuovo presidente di GERB (Cittadini per uno Sviluppo Europeo della Bulgaria), sua creatura politica e oggi partito al governo a Sofia.
Il secondo congresso nazionale del partito ha sanzionato una leadership mai messa in discussione. Alla creazione di GERB, nel 2006, Borisov dovette rinunciare a formalizzarla a causa della singolare norma che, in Bulgaria, impedisce ad un sindaco (l'attuale premier guidava allora l'amministrazione della capitale Sofia) di essere anche presidente di partito. Il compito era così caduto sulle spalle di Tzetan Tzvetanov, attuale ministro degli Interni e "fido scudiero" di Borisov.
Dal congresso nessuno si aspettava grosse sorprese. Il voto sul nuovo leader era scontato: senza il carisma di Borisov il partito non avrebbe mai mosso i primi passi e non sarebbe mai diventato il movimento in grado di trionfare in tutte le competizioni elettorali degli ultimi anni, portando molti personaggi, prima sconosciuti o quasi, a governare il paese.
Nonostante tutto, però, ha fatto una certa impressione vedere tutte le decisioni votate dai più di 1200 delegati (elezione dei nuovi organi politici, elezione dei nuovi organi di controllo, modifiche allo statuto) passare col 100% dei consensi. Nessuno ha avuto nulla da aggiungere o da ridire. Gli sparuti interventi dalla sala, poi, sono tutti riassumibili in poche parole: "Grazie, presidente Borisov!"
Il partito non è stato riunito per discutere, ma per approvare. "Questo congresso dovevamo farlo, ma adesso tutti al lavoro", ha esclamato Borisov poco prima di sciogliere l'assemblea. "Vi ringrazio per essere stati così disciplinati, veloci e democratici", ha poi aggiunto. Una sequenza di aggettivi forse non ragionata, ma in qualche modo rivelatrice.
Riassumendo, il messaggio politico che emerge e viene ribadito è: "In questo partito comando io!". Un atteggiamento, una strategia politica e mediatica che in questi mesi Borisov ha applicato con coerenza anche all'azione del suo governo. Se GERB è diretta espressione del suo leader, l'esecutivo Borisov appare in larga parte espressione del suo premier. I risultati, per il momento, gli danno ragione: tutti i sondaggi d'opinione indicano che agli elettori bulgari piace il loro premier "decisionista", e il suo rating resta molto alto.
Da quando è primo ministro Boyko Borisov interviene su tutto, o quasi. "Borisov piace perché non ama i compromessi e prende sempre posizione", aveva dichiarato ad OBC poco dopo le elezioni l'analista Andrey Raichev. Ed effettivamente non c'è argomento, questione, problema, su cui il premier non faccia sentire la sua parola, anche a costo di entrare in conflitto con procedure e regolamenti.
Lo scorso novembre, ad esempio, Borisov si è presentato in parlamento per salvare la "rakiya", la forte grappa balcanica, dagli aumenti di imposta già votati in seconda lettura dai suoi deputati. Una mossa senza precedenti, che se da una parte ha gettato nel caos l'istituzione parlamentare, dall'altra ha garantito a Borisov la gratitudine degli amanti del bicchiere. I contadini di Kapatovo, villaggio non lontano da Sofia, per celebrare hanno deciso di battezzare la loro grappa "Borisovka".
Già nella scelta dei suoi ministri, Borisov ha voluto mostrare chi è ad avere l'ultima parola. La proposta di affidare il ministero per i Bulgari all'Estero al professor Bozhidar Dimitrov, ex collaboratore dei servizi segreti comunisti, provocò reazioni critiche da parte dei partiti di destra, essenziali per assicurare appoggio esterno al suo governo di minoranza. "Per Dimitrov, garantisco io", ha sbottato infine Borisov e alla fine la sua candidatura è passata nonostante i mugugni.
La differenza tra Borisov e il suo predecessore, il socialista Sergey Stanishev, non poteva essere più grande. Minuto, faccia da primo della classe, studi universitari a Mosca, Stanishev ha vissuto i quattro anni del suo mandato da "alchimista", nel complesso gioco di continua moderazione, spesso condotta lontano dai riflettori, tra gli interessi (politici ed economici) della improbabile (e in gran parte malriuscita) coalizione tra socialisti, monarchici e turchi di cui si è trovato alla guida.
Borisov invece vive la sua stagione da assoluto protagonista. Origini umili, passato da pompiere e guardia del corpo, figura massiccia da lottatore, mascella volitiva, voce profonda, il nuovo premier riempie letteralmente lo spazio intorno a sé, non tollera concorrenti ingombranti e ha la capacità istintiva di attirare continuamente l'attenzione dei media, anche a costo di dichiarazioni a dir poco sorprendenti.
Al deputato socialista Kiril Dobrev che gli chiedeva di suoi rapporti con l'imprenditore Stoyan Sariyski, noto col soprannome di "Stanley", in relazione a presunti favori e irregolarità nelle gare d'appalto per la costruzione della metropolitana di Sofia, Borisov ha risposto spiazzando giornalisti e oppositori politici: "Era l'ex ragazzo di mia figlia. Una sera l'ho trovata in lacrime, e quindi l'ho dovuto picchiare per bene".
Nonostante l'indubbia capacità di dialogare con i media e di presentarsi come un politico capace di dettare l'agenda politica del paese, il decisionismo di Borisov appare però talvolta come più virtuale che reale. Molti i casi in cui, presa una decisione, il premier è tornato precipitosamente sui suoi passi, non sempre spiegando i motivi dell'improvviso cambiamento di rotta.
Uno dei casi più recenti riguarda la decisione di affidare a referendum popolare la sorte del notiziario in lingua turca sulla tv pubblica, annunciata e poi smentita nel giro di qualche giorno. Ma prima c'è stata anche la proposta, prima fatta e poi ritirata di impeachment nei confronti del presidente Parvanov e le numerose (e divergenti) posizioni prese sulla tassazione del gioco d'azzardo.
Molti punti interrogativi restano poi sulla scelta e gestione della squadra di governo. Tra le altre, poco chiare rimane la decisione di nominare due ministri già destinati, nei piani di Borisov, ad altri incarichi. Yordanka Fandakova, nominata ministro dell'Istruzione a luglio, a novembre è divenuta poi sindaco di Sofia dopo una scontata vittoria elettorale. Il suo sostituto, Sergey Ignatov, si è ritrovato ministro dalla sera alla mattina. "Ho appena ricevuto la proposta, e sono sorpreso almeno quanto voi. Ma a Borisov non si può dire di no", fu la sua prima dichiarazione ai giornalisti nella sua nuova veste.
In questi giorni, poi, tutti i riflettori sono puntati sull'attuale ministro degli Esteri, Rumyana Zheleva, candidata di Borisov a nuovo Commissario europeo alla Cooperazione e all'Aiuto umanitario. La Zheleva, durante l'audizione davanti al parlamento europeo, lo scorso 12 gennaio, è stata accusata di conflitto di interessi e di incompetenza.
Una sua bocciatura, data per molto probabile, rappresenterebbe un duro colpo per la Bulgaria a livello europeo, ma anche una sconfitta personale per lo stesso Borisov. Se le decisioni che contano vengono direttamente dal premier, è inevitabile che i successi, ma anche le sconfitte, vadano a pesare tutti sulle sue spalle.
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