Il bacino della Kura e dell'Araks abbraccia l'intero Caucaso del sud. Acque che raccontano delle comunità che vivono sulle loro sponde e dei conflitti delle terre che attraversano
(Pubblicato originariamente da Chai Khana )
I pescatori si svegliano presto a Sabirabad. Molto prima del sorgere del sole una piccola armata di uomini prende le acque, la loro pelle bruciata dal sole si fonde con la poca luce, le loro mani consunte a gettare reti su verso il cielo e poi giù verso il suqovuşan, la confluenza delle acque. Qui, nell'Azerbaijan meridionale, i due grandi fiumi del Caucaso, la Kura e l'Araks, divengono uno.
La gente del posto chiama la combinazione dei due “Madre Kur”, perché nutre la terra. Ma in tutto il Caucaso quel ruolo fecondo è spesso dimenticato.
I fiumi non conoscono confini, ciononostante, come ovunque nel mondo, gli uomini hanno tracciato frontiere lungo la Kura e l'Araks, hanno abusato delle loro acque, le hanno spesso contaminate, coinvolte in conflitti. Come risultato, non vi è alcuna cooperazione nella gestione di questo bacino idrografico ampio e transnazionale. Una situazione di cui nessuno beneficia.
Il bacino della Kura-Araks abbraccia l'intero sud del Caucaso e oltre ad essere una meraviglia da togliere il fiato è allo stesso tempo al servizio di milioni di persone che vivono lungo le sue rive. Entrambi i fiumi nascono in Turchia e fluiscono verso est. Più a settentrione, la Kura, scorre per 1515 chilometri attraverso la Georgia e poi in Azerbaijan dove confluisce con l'Araks prima di sfociare nel Mar Caspio.
L'Araks scorre per 1072 chilometri rappresentando un confine naturale per quasi tutta la sua lunghezza tra Turchia e Armenia e, poi, tra Armenia e Iran e tra Iran e Azerbaijan. Lungo la strada i due fiumi raccolgono centinaia di tributari che alimentano un bacino idrografico di circa 123.000 chilometri quadrati.
Quello lungo le loro sponde non è però un viaggio sempre placido. La competizione per l'acqua ha spesso alimentato conflitti e, in una regione attraversata dai conflitti come il Caucaso, il problema è ancora più acuto.
Durante i tempi sovietici la gestione delle acque dipendeva da politiche decise al Cremlino. Politiche assurdamente identiche nonostante la vastità del paese. Furono sottoscritti accordi bilaterali con la Turchia e l'Iran per garantire equo accesso alle acque dell'Araks. Negli anni '60 vennero adottati standard di qualità per le acque di superficie, ma non vennero stabilite linee guida o pratiche di gestione su come controllare le fonti di inquinamento o monitorare la qualità delle acque.
Quando nel 1991 l'URSS è collassata, i 15 paesi sorti dalle sue ceneri hanno ereditato questa mancanza di regolamentazione.
Affannati nel creare istituzioni statali dal nulla e gestire tutto, dai prefissi telefonici alle nuove monete, questi nuovi paesi hanno avuto poco tempo e pochi pensieri per la gestione delle acque. E troppo spesso le divisioni hanno interrotto la cooperazione.
Nei primi anni '90 brutali conflitti territoriali hanno segnato tutti e tre i paesi del Caucaso meridionale. Ed hanno anche coinvolto i fiumi Kura e Araks. Ad esempio lo scoppio del conflitto, nel 1991, in Nagorno Karabakh, ha impedito qualsiasi collaborazione nella gestione delle acque tra Armenia, Azerbaijan e l'alleato di quest'ultimo, la Turchia. I rifiuti dei centri collettivi dove venivano raccolti gli sfollati non hanno fatto che peggiorare la situazione.
Anche attualmente non vi è alcun accordo su una gestione transfrontaliera delle acque tra i paesi toccati dal bacino idrografico della Kura-Araks. Esistono solo un paio di accordi bilaterali.
Ogni paese, come sancito dalla normativa internazionale, ha un proprio codice nazionale delle acque, ma gli esperti sottolineano come l'inquinamento di questi due fiumi sia aumentato, in particolare a causa di acque reflue non trattate e rifiuti industriali da miniere, fabbriche e impianti di trasformazione. L'agricoltura pone un altro problema. In tutta la regione i canali di irrigazione sono altamente inefficienti e in Azerbaijan, ad esempio, colture come il cotone richiedono grandi quantità di acqua e pesticidi. Città assetate contribuiscono ulteriormente al declino dei livelli dell'acqua.
L'uso elevato dell'acqua significa che gli affluenti minori del bacino non raggiungono più la Kura, spariscono nelle pianure. Due enormi serbatoi, a Mingachevir e Shamkir, imprigionano le acque della Kura: il livello del fiume scende drasticamente dopo essere passato da Shamkir. Organizzazioni internazionali, dall'Unione europea alla NATO, dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite all'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, hanno cercato di colmare il vuoto lasciato dalla politica nella convinzione che la cooperazione tecnica sull'acqua avesse anche un potenziale di costruzione della pace. Hanno finanziato vari progetti per proteggere il bacino Kura-Araks, ma senza successo. I governi si accusano a vicenda per l'inquinamento.
Alcuni cittadini dei paesi toccati dal Kura-Araks, tuttavia, hanno manifestato la volontà di cooperare su questioni legate all'acqua. In un sondaggio del 2005, 30 tra dirigenti, ricercatori e funzionari delle risorse idriche hanno riconosciuto che questa cooperazione potrebbe, di fatto, portare alla pace nella regione e migliorare il benessere sociale. Ma senza modalità per trasformare quel riconoscimento in azione, il danno continua. In Azerbaijan, mentre il sole sorge sul suqovuşan, i pescatori tornano a casa. Intorno a loro, un soffice cotone punteggia la terra, risucchiando l'acqua preziosa di Madre Kur - o ciò che ne rimane, giù, nelle pianure.
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