Ventimila persone ritornano in piazza esattamente un anno dopo le proteste del giugno 2016. Il tema è sempre lo stesso: la riforma dei curricula scolastici
In un paese in cui le manifestazioni sono rare ed attirano solitamente soltanto piccoli gruppi, l’educazione pubblica ha portato in piazza a Zagabria, per il secondo anno consecutivo, decine di migliaia di persone.
Giovedì scorso, ad un anno esatto di distanza dal corteo del 1° giugno 2016, la Croazia è scesa nuovamente in strada per chiedere una riforma del sistema scolastico nazionale, accusato di non formare adeguatamente i giovani e di comprometterne il futuro.
Nell’estate del 2016, 40mila manifestanti avevano invaso il cuore della capitale croata, trg Ban Jelačić, così come le altre principali città del paese; la settimana scorsa, 20mila persone hanno seguito un corteo a Zagabria fino al parco antistante la stazione ferroviaria, luogo simbolico poiché “da qui i nostri ragazzi partono per l’estero”, come ha affermato uno degli organizzatori.
Un successo che pone la domanda: com’è possibile che un argomento così complesso (e nobile), come la riforma dei curricula scolastici, riesca ad attirare l’attenzione di un numero così alto di cittadini?
Gli inizi della protesta
Tutto è cominciato nella primavera del 2016, quando in un clima di crescente insofferenza da parte di una fetta della società croata nei confronti del governo conservatore di Tihomir Orešković, la riforma dell’educazione avviata nel 2014 dal precedente esecutivo socialdemocratico è diventata il simbolo di una battaglia più ampia.
Nel dettaglio, il ricercatore Boris Jokić che guidava il team di specialisti incaricato di mettere a punto i nuovi programmi e metodi di insegnamento per la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria (università compresa), si è lamentato pubblicamente nel maggio 2016 di ricevere “troppe pressioni politiche”.
Sul suo lavoro, che in due anni aveva coinvolto quasi 500 insegnanti ed esperti pedagogici di tutto il paese, il nuovo ministro dell’Educazione Predrag Šustar (HDZ) stava intervenendo direttamente, volendo integrare la squadra di Jokić con alcuni accademici di sua scelta e più vicini alle posizioni del partito, in particolare in tema di famiglia, etica e religione (Šustar è vicino al movimento “Nel nome della famiglia”, contrario al matrimonio per le coppie dello stesso sesso e favorevole ad una riforma restrittiva del diritto all’aborto).
Dottorato all’Università di Cambridge con una tesi proprio su “scienza e religione nell’educazione elementare in Croazia”, Boris Jokić ha allora rassegnato le sue dimissioni, diventando il rappresentante di quel cambiamento che, secondo molti croati, sarebbe reso impossibile nel paese proprio a causa di una parte della classe politica.
Due scuole di pensiero si affrontavano allora, una decisa a difendere “i valori tradizionali” della Croazia e quindi favorevole ad una scuola che fosse soprattutto trasmissione del patrimonio culturale nazionale, anche a rischio di diventare mnemonica; un’altra, desiderosa di costruire una società aperta, fondata sullo spirito critico e garante della libertà di pensiero dei suoi studenti, non più chiamati a ripetere a memoria, ma piuttosto a riflettere con la propria testa.
Questo secondo fronte riusciva a riunire oltre 300 ONG a Zagabria e in tutto il paese, portando, come si diceva, alla prima manifestazione, con diverse decine di migliaia di persone in piazza.
Una riforma di fatto ferma
Un anno più tardi, malgrado la fine prematura del governo Orešković, la riforma dei curricula scolastici non ha progredito. La maggiore autonomia promessa agli insegnanti, l’interattività da introdurre nelle classi, così come i corsi di
educazione sessuale e civica sono rimasti soltanto delle ipotesi.
Il nuovo ministro dell’Educazione, Pavo Barišić, ha ufficialmente portato avanti la riforma, ma date le dimissioni del team di Jokić nel 2016 (proprio per protestare contro le pressioni politiche), la nuova squadra incaricata di immaginare l’educazione pubblica croata è cambiata in senso conservatore.
Diversi membri - riporta il portale regionale Birn - sono stati scelti tra i sostenitori del partito ultra-conservatore Hrast o ancora del movimento tradizionalista “Nel nome della famiglia” (a cominciare da Jasminka Buljan Culej, che rimpiazza Boris Jokić), di fatto sabotando il lavoro dei predecessori.
Così, giovedì scorso, la manifestazione davanti alla stazione ferroviaria è iniziata ricordando proprio “che cosa abbiamo ottenuto da un anno a questa parte”, ovvero “niente”, come hanno scandito dal palco gli organizzatori dell’evento.
“La Croazia può fare di meglio” e “deve fare meglio”, sono stati i due slogan ripetuti dai 20mila manifestanti, a cui hanno fatto seguito le pronte dichiarazioni del Primo ministro Andrej Plenković, che ha assicurato che il suo governo desidera che i giovani croati possano sia studiare l’identità nazionale che sviluppare il proprio spirito critico.
Nel suo breve commento, il premier non è però intervenuto sul caso del ministro dell’Educazione Pavo Barišić, accusato di plagio fin dal suo insediamento e tornato nuovamente al centro delle polemiche, per aver proposto una legge che alleggerisce le pene per chi commette un plagio accademico.
Ai manifestanti che chiedevano giovedì le dimissioni di Barišić, Plenković non ha risposto, lasciando che ad intervenire fosse invece la vice-ministra Ljilja Vokić, che si è tuttavia limitata a dire che “per il momento, non sono le piazze a decidere delle dimissioni di un ministro”.
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