La Croazia e le pressioni della destra conservatrice: in migliaia in piazza contro la ratifica della Convezione di Istanbul, documento del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne
"Stop alla Convenzione di Istanbul, per una Croazia sovrana". Attorno a questo slogan, migliaia di persone hanno sfilato sabato a Zagabria contro l’eventuale ratificazione della Convenzione di Istanbul, il documento del Consiglio d'Europa (Coe) sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. In una manifestazione organizzata da diverse associazioni cattoliche e conservatrici e sostenuta dalla stessa
Chiesa cattolica croata, 5mila persone (secondo le stime della polizia) hanno esortato il governo di Andrej Plenković ad abbandonare il suo piano di ratifica del documento del Coe, accusato di essere portatore della cosiddetta "ideologia gender" e dunque pericoloso per le "famiglie tradizionali". Anche se il consiglio dei ministri croato ha già approvato la sua convalida, la Convenzione di Istanbul dovrà ora essere sottoposta al voto del Sabor, il parlamento croato, dove l’estrema destra e i gruppi ultra-cattolici sperano di avere una qualche influenza.
"Sono un uomo, non posso essere anche una donna"
Redatta nel 2011 e ratificata da allora da 29 paesi (tra cui i principali stati membri dell’Ue), la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale a fissare delle norme giuridiche vincolanti per prevenire la violenza contro le donne, proteggerne le vittime e punirne gli autori. In Italia, è stata ratificata nel 2014 con un voto unanime di entrambe le camere. Ma in Croazia, dopo settimane di martellante campagna, il testo è diventato sinonimo di tutt’altro. Il suo articolo 3, che definisce il concetto di "genere" - corrispondente a quell’insieme di "ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini" - è stato interpretato come un tentativo di rivoluzionare il sistema educativo croato, introducendo "un’ideologia esterna" nel paese e scardinando quella che i manifestanti considerano "la famiglia tradizionale".
"Vogliono che non si parli più di mamma e papà ma di genitore 1 e genitore 2", accusa Neda Macukić venuta dalla città dalmata di Imotski, appositamente per la protesta. "Innanzitutto, siamo un paese cattolico, siamo credenti e non vogliamo che venga introdotta l’ideologia gender - spiega Macukić - in seguito, la convenzione ci impone di spendere un miliardo di kune (134 milioni di euro circa, nda.) che non andranno in realtà alle donne vittime di violenza, ma alle ong! E questo è il problema principale, perché le donne non saranno aiutate". Inutile dire che nel testo della convenzione non si fa menzione di questa cifra. Le considerazioni dei manifestanti sono ancora più confuse. Un
cittadino zagabrese sulla cinquantina sostiene di essere contrario alla ratifica perché "io sono un uomo, non posso essere anche una donna", mentre la giovane Manda assicura che "i delitti contro le donne sono aumentati del 30% nei paesi che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul". Infine, anche Bruxelles e l’Unione europea sono anch’esse prese di mira, pur essendo il Consiglio d’Europa un’organizzazione a sé stante e con sede a Strasburgo.
Un messaggio politico al premier
Ma il corteo di sabato non è stato soltanto uno show di canti patriottici, crocifissi e latente omofobia. La maggior parte degli striscioni sventolati durante la manifestazione prendevano infatti di mira il Primo ministro croato, Andrej Plenković, tacciato di essere un "traditore" ed invitato ad "andarsene a Bruxelles" e a "lasciare l’Hdz". Al di là delle confuse invettive contro matrimoni gay, diritti LGBT e "ideologia gender", la protesta di sabato è stata dunque anche (e forse soprattutto) un evento politico, alimentato da quegli ambienti che il premier ha allontanato dal potere dopo aver preso le redini dell’Unione democratica croata (Hdz) nel luglio del 2016. Storici sostenitori dell’Hdz, la Chiesa, gli ambienti ultra-cattolici o quelli nazionalisti vicini ai veterani di guerra hanno vissuto con frustrazione la fine del governo Orešković nel 2016 e la successiva partenza di Tomislav Karamarko dalla presidenza dell’Hdz. La convenzione contro la violenza di genere è diventata così l’occasione per una tentata spallata a un esecutivo ritenuto troppo moderato e filo-europeo.
Tra i manifestanti, l’ex ministro della Cultura Zlatko Hasanbegović, espulso dall’Hdz proprio per volontà di Plenković, ha invocato la necessità di un ritorno alle urne. "Questa è la volontà del popolo croato contro questa semi-ideologia contraria alla famiglia e ai suoi valori", ha affermato Hasanbegović indicando il corteo al suo fianco. "Purtroppo il governo croato non cambierà idea, solo delle nuove elezioni possono far prendere una nuova direzione a questo paese", ha concluso l’ex ministro. Alla sfilata, hanno partecipato anche la fondatrice del movimento "Nel nome della della famiglia" Željka Markić, che nel 2013 ha promosso il referendum con il quale i matrimoni gay sono stati vietati per legge (con una modifica alla costituzione croata), o ancora Vice Batarelo, il presidente dell’associazione "Vigilare" che nel 2016 ha organizzato una grande marcia anti-abortista a Zagabria. L’ex ministro degli Esteri Davor Ivo Stier (Hdz) non ha preso parte all’evento ma nei giorni scorsi ha illustrato la sua contrarietà alla ratificazione del testo.
Inevitabile ratificazione
Nonostante la prova di forza dell’estrema destra croata e dei gruppi ultra-cattolici, il governo ha assicurato che tirerà dritto per la sua strada. "Siamo un paese responsabile, con politiche e istituzioni responsabili", ha affermato recentemente il premier Plenković, mentre sabato pomeriggio il presidente del parlamento croato e segretario generale dell’Hdz Gordan Jandroković ha tagliato corto, affermando che "ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma è importante che questo sia fatto in modo appropriato e con degli argomenti". Secondo il presidente del Sabor, la convenzione gode di un ampio sostegno all’interno della società croata e ha ricevuto anche l’appoggio della presidente Grabar-Kitarović. Inoltre, nella sua ratificazione sarà accompagnata da una "dichiarazione interpretativa" in cui "abbiamo detto chiaramente che non ci sono obblighi per la Croazia di includere qualsivoglia ideologia gender nei suoi sistemi legali ed educativi", ha precisato Jandroković. Con l’appoggio anche dell’opposizione, il testo del Coe sarà approvato senza difficoltà.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!