
Bandiera della Palestina durante una manifestazione © ChiccoDodiFC/Shutterstock
“La comunità accademica deve farsi sentire sulle questioni più pressanti del nostro tempo in uno spazio pubblico e mediatico segnato da ignoranza, faziosità e pregiudizi”. Così Gordan Jelenić, prorettore dell’Università di Fiume, recentemente multato per aver sventolato la bandiera palestinese
(Originariamente pubblicato da H-Alter , il 24 marzo 2025)
Gordan Jelenić, professore ordinario alla Facoltà di ingegneria civile e prorettore per le scienze e le arti dell’Università di Fiume, è ancora in attesa di una decisione sul ricorso presentato contro la decisione delle forze dell’ordine di fermarlo dopo la “Marcia notturna” dell’8 marzo e di multarlo per aver esposto la bandiera di uno stato straniero senza autorizzazione. Decisione a dir poco discutibile considerando che la Croazia non riconosce la Palestina come stato sovrano. Partendo dalla sue esperienza personale, il professor Jelenić in questa intervista allarga lo sguardo commentando la situazione dei diritti umani in Croazia e nel mondo.
Al termine della tradizionale marcia notturna tenutasi lo scorso 8 marzo a Fiume lei è stato fermato dalla polizia per aver sventolato la bandiera palestinese. Perché gli agenti non l’hanno fermata durante la manifestazione se ritenevano che, esponendo la bandiera palestinese, lei stesse compiendo un reato? Le hanno fornito qualche spiegazione?
No, non mi hanno detto nulla prima di arrivare alla stazione di polizia. Dato che la Repubblica di Croazia non riconosce la Palestina, ho subito chiesto spiegazioni sul divieto di esporre la bandiera di un paese straniero senza previa autorizzazione del ministero dell’Interno. Non mi hanno però fornito alcuna risposta, affermando che avrei ricevuto tutte le spiegazioni necessarie una volta giunti alla stazione di polizia. Tuttavia, anche alla stazione non mi hanno spiegato nulla, comunicandomi solo di aver avviato un’indagine contro di me.
Alcuni media hanno riportato la notizia che anche sua moglie è stata fermata…
In realtà mia moglie non è stata messa in stato di fermo, semplicemente non voleva lasciarmi da solo. Anche lei ha sostenuto fortemente non solo la marcia notturna in occasione della Giornata internazionale della donna, ma anche la dichiarazione di solidarietà con tutte le vittime dell’occupazione israeliana e del genocidio in Palestina. Mia moglie mi è rimasta sempre accanto, non sono riusciti a separarla da me nemmeno all’ingresso della stazione di polizia, anche se le hanno chiesto di aspettarmi fuori. My girl. Non ha però partecipato all’interrogatorio perché, come ci hanno spiegato, non c’era alcun motivo di interrogarla essendo stato io a sventolare la bandiera.
La polizia ha avviato un’indagine contro di lei, disponendo anche la confisca temporanea della bandiera da lei esposta e una multa di 200 euro. Lei ha annunciato di voler impugnare questa decisione. Ha già fatto ricorso?
Ho presentato ricorso con l’aiuto di uno studio legale. Ritengo che l’apertura delle indagini e la sanzione amministrativa siano discutibili per diversi motivi. Poter esprimere in modo pacifico la propria solidarietà ad un popolo marginalizzato, occupato, oppresso, senza diritti, vittima di genocidio, è una delle libertà fondamentali di cui vogliamo godere nella nostra società. Inoltre, l’articolo della legge sui reati contro l’ordine pubblico su cui si basa l’avvio dell’indagine prevede la possibilità di esporre una bandiera straniera su invito di un’organizzazione sociale e politica. E in questo caso sono stati gli organizzatori della marcia a invitare i partecipanti ad esprimere solidarietà al popolo palestinese. Com’è possibile considerare la Palestina uno stato sulla base di una legge croata se la Repubblica di Croazia non riconosce la Palestina come stato sovrano? È assurdo.
L’appello alla solidarietà con la popolazione palestinese, lanciato dagli organizzatori della marcia, non è stato sanzionato, solo il suo gesto, cioè il fatto di aver sventolato la bandiera palestinese. Come si spiega questa decisione?
Sembra che abbiano preso alla lettera l’articolo 26 della legge sui reati contro l'ordine pubblico vedendovi una base giuridica per pormi in stato di fermo e sanzionarmi, mentre non c’erano basi analoghe per fermare e sanzionare gli organizzatori dell’evento. Sono contento che le associazioni che hanno organizzato la manifestazione non siano state sanzionate per il loro nobile appello e godono della mia stima per aver sostenuto i palestinesi e condannato il genocidio perpetrato da Israele, ma anche per la loro lotta tenace per migliorare la posizione delle donne nella nostra società. Una lotta che deve essere sostenuta per sconfiggere quelle tendenze patriarcali e retrograde che, purtroppo, persistono nella nostra società, e non solo.
Come va interpretato “l’appello generale di un’organizzazione socio-politica” citato nella legge? Sembra un’eredità del sistema monopartitico. La legge prevede che qualsiasi partito in Croazia possa invitare ad esporre una bandiera straniera. Quando invece si tratta di una manifestazione organizzata dalla società civile, sventolare la bandiera di un paese straniero risulta illegale…
Ovviamente, la domanda è: cosa si intende per “organizzazione sociale e politica”. Per me, in assenza di una definizione chiara, questa espressione si riferisce agli organizzatori della manifestazione dell’8 marzo trattandosi di soggetti socialmente impegnati con una chiara posizione politica. Gli organizzatori hanno invitato alla marcia notturna anche chi è solidale con tutti quelli che lottano contro l’occupazione e il genocidio israeliano in Palestina.
In Jugoslavia esistevano organizzazioni socio-politiche chiaramente definite tali, ma l’aggettivo “socio-politico” in questo senso, per quanto ne sappia io, non viene più utilizzato nel lessico ufficiale in Croazia [sin dai primi anni Novanta], anche se dopo l’introduzione del sistema multipartitico per un breve periodo esisteva ancora il cosiddetto Consiglio socio-politico del parlamento di Zagabria.
Quindi, a mio avviso, l’espressione “organizzazioni socio-politiche” va interpretata a seconda del contesto, nel caso specifico tenendo conto dell’appello pubblico (quindi generale) degli organizzatori della marcia, che sono associazioni impegnate socialmente con una chiara posizione politica. La tendenza ad equiparare i partiti politici odierni alle organizzazioni socio-politiche mi sembra anacronistica.
In Croazia viene spesso esposta la bandiera ucraina per lo stesso motivo per cui lei ha sventolato la bandiera palestinese, cioè per esprimere sostegno ad un popolo i cui diritti, compreso il diritto più fondamentale, quello alla vita, vengono calpestati. Eppure, ad oggi nessuno è stato sanzionato per aver esposto la bandiera dell’Ucraina…
Sono contento che nessuno sia stato sanzionato per aver esposto la bandiera ucraina e ritengo che nessuno debba mai essere punito per aver sventolato una bandiera, a meno che non si tratti dei luoghi designati dalla legge per la bandiera nazionale. Questa è la mia opinione.
L’aspetto più deplorevole di questa vicenda è che sembra che sia proprio la bandiera palestinese ad essere oggetto di una persecuzione severa e, a mio parere, del tutto infondata. Dopo essere stato fermato dalla polizia sono venuto a conoscenza di altri casi di sanzioni amministrative contro le persone che hanno esposto una bandiera palestinese anche sui propri balconi e finestre. Ritengo scandalosa questa persecuzione di chi è pronto ad alzare la voce contro il male immenso subito dai palestinesi e la relativizzazione dei crimini israeliani, ma anche contro l’assenza di una reazione di empatia e umanità fondamentale.
Lei ha mai avuto problemi, nell’università dove insegna o nella sua comunità, per le sue opinioni sulle violazioni dei diritti umani?
No, non ho mai avuto problemi di questo tipo.
In Croazia alle manifestazioni pubbliche in difesa dei diritti umani solitamente partecipano quasi esclusivamente gli attivisti delle organizzazioni della società civile che si occupano dei diritti. È raro vedere tra i manifestanti un professore universitario. Quando e per quale motivo lei ha deciso di partecipare alle proteste per i diritti umani? Ritiene che questo impegno possa avere un effetto concreto?
Partecipo regolarmente alla marcia notturna in occasione della Giornata internazionale della donna a Fiume e continuerò a parteciparvi finché la posizione della donne nella nostra società non migliorerà.
Sottolineo che lo scorso 8 marzo mi sono presentato all’incontro con la bandiera palestinese rispondendo all’esplicito invito degli organizzatori di mostrare solidarietà alle vittime dell’occupazione e del genocidio in Palestina e a tutti quelli che si battono contro queste violenze che interessano in particolare i civili, le donne e i bambini. Non sono intervenuto all’evento e non l’ho promosso in alcun modo. Ho partecipato da semplice cittadino per sostenere la manifestazione e i suoi nobili obiettivi. Nell’autunno dello scorso anno però ero intervenuto alla Marcia per la Palestina a Zagabria in occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese.
Sono profondamente sconvolto dalla tragedia palestinese, sento il peso dell’enorme responsabilità europea per questa tragedia, responsabilità di cui i media parlano poco. Credo che la comunità accademica, oltre alla sua tradizionale missione di istruzione e ricerca, debba intervenire pubblicamente anche in merito a questioni sociali pressanti del nostro tempo, come per l’appunto la tragedia palestinese, questioni che nello spazio pubblico e mediatico vengono affrontate con ignoranza, faziosità e pregiudizi. È importante diffondere la consapevolezza del ruolo sociale dell’università proprio tra i nostri studenti, tra le giovani generazione a cui lasceremo questo mondo.
Come valuta la situazione dei diritti umani in Croazia?
È una domanda difficile e non mi sento qualificato per rispondere. In generale, penso che in Croazia percepiamo la democrazia in un’ottica troppo ristretta, limitandoci ad accettare le elezioni relativamente libere e gli standard più o meno soddisfacenti del rispetto della volontà dell’elettorato e di un passaggio pacifico del potere. Queste conquiste vanno preservate, ma sono ancora molto lontane dagli standard democratici a cui dovremmo aspirare. In Croazia ci sono pochi media di qualità immuni da ingerenze corporative e politiche. La coesione sociale e la consapevolezza della necessità di un impegno pubblico e personale allo sviluppo della società sono scarsamente sviluppate, mentre la cultura della resistenza civica alla politica ufficiale è praticamente inesistente.
Credo che una svolta in questi ambiti possa contribuire a migliorare la situazione dei diritti umani in generale. Se oggi si parla di indagini e sanzioni nei miei confronti è solo grazie al coraggio di una partecipante alla marcia dell’8 marzo che si è opposta agli agenti di polizia chiedendo perché stessero controllando i miei documenti, ha documentato la scena, accompagnando me e mia moglie alla stazione di polizia, per poi informare i media dell’intera vicenda. Un gesto di cittadinanza attiva, che rende la società migliore e più umana.
Attualmente, l’argomento di cui si parla di più nella nostra regione è l’ondata di proteste che scuote la Serbia da ormai quattro mesi, culminata nella manifestazione a Belgrado lo scorso 15 marzo a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone. Lei come commenta questa mobilitazione? Alcuni affermano che i croati non dovrebbero prestare troppa attenzione alle proteste in Serbia…
La Serbia si trova a fare i conti con problemi che forse si distinguono da quelli della società croata, però la cultura delle mobilitazioni di massa è fortemente radicata nella storia serba e contribuisce allo sviluppo del paese.
Anche in Croazia assistiamo a scandali di corruzione simili a quello che ha scatenato l’attuale ondata di malcontento in Serbia, eppure siamo riluttanti a ricorrere a metodi di pressione civica come quelli utilizzati dalla popolazione serba.
A mio avviso, quello che sta accadendo in Serbia e in altri paesi ex jugoslavi ci riguarda, eccome, anche perché condividiamo la stessa storia e la stessa cultura. Dobbiamo prestare particolare attenzione alle iniziative dei giovani e riconoscere i loro ideali e la dignità delle loro richieste.
Come commenta il nuovo attacco israeliano a Gaza nonostante il cessate il fuoco concordato e la tiepida reazione della comunità internazionale?
Questa tiepida reazione purtroppo non mi sorprende, così come non mi stupisce che, dopo una breve tregua tattica, il piano di espansione territoriale di Israele sia stato rilanciato per rendere Gaza inabitabile per i palestinesi sia in termini di sicurezza che infrastrutturali, compiendo i più terribili crimini contro i civili. Questo piano si applica anche agli altri territori palestinesi occupati, Gerusalemme Est e la Cisgiordania. Chi crede che il piano di Israele sia davvero quello di distruggere Hamas e liberare gli ostaggi, deve chiedersi perché Israele permetta, e perfino incoraggi militarmente, il terrore dei banditi israeliani armati contro i palestinesi in Cisgiordania, dove non ci sono né Hamas né ostaggi.
Sono preoccupato per le conseguenze che il nostro silenzio vergognoso sui crimini contro i palestinesi possa avere per i nostri giovani che nell’ultimo anno e mezzo hanno visto le immagini dei loro coetanei a Gaza uccisi, sepolti vivi, arti amputati senza anestesia, esposti alla fame, alla sete, al freddo, a malattie infettive che pensavamo di aver sconfitto molto tempo fa, privati del diritto all'istruzione e, con ogni probabilità, espulsi per sempre dalle loro case.
Come possiamo spiegare ai giovani i motivi per cui il nostro paese e la nostra Europa approvano tutto questo? Cosa possiamo fare per evitare che le loro giovani menti normalizzino queste dinamiche trasformandoli in eurosuprematisti, imperialisti e razzisti, cinici e insensibili? Sono inorridito nel sapere che assistiamo alla distruzione di un intero popolo chiudendo un occhio, se non addirittura giustificando quanto sta accadendo. La vergogna della nostra inazione ci accompagnerà per sempre.
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