(© Christin Lola/Shutterstock)

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A Sirobuja, periferia di Spalato, si è tenuta una messa clandestina nel giorno della Pasqua cattolica, in barba a tutti i divieti imposti dall’epidemia di coronavirus. I giornalisti che hanno voluto documentare il fatto sono stati malmenati e insultati

15/04/2020 -  Giovanni Vale Zagabria

“Za dom spremni”, “Giornalisti vermi” e poi insulti, minacce e botte, tutto sul sagrato di una chiesa. Sono scene che non si vorrebbero mai vedere ma che sono purtroppo state registrate questa domenica nei pressi di Spalato, proprio nel giorno di Pasqua.

La storia è quella di don Josip Delaš, controverso parroco di Sirobuja, nella periferia spalatina. Contravvenendo al divieto imposto dalle autorità croate (che hanno bandito ogni assembramento pubblico di più di 5 persone per contenere la pandemia in corso), Delaš ha deciso domenica di officiare comunque una messa. Lo ha annunciato su Facebook e attorno alle 10 di mattina ha cominciato ad accogliere i primi fedeli in chiesa.

Non era la sua prima “messa clandestina”. Una settimana prima, per la domenica delle Palme, don Delaš aveva già tentato la stessa mossa, ma era stato fermato dalla polizia. Il giorno di Pasqua, invece, nessun agente si è fatto vivo a Sirobuja e quindi il prete ha potuto proseguire con il suo piano.

A metà mattina, però, oltre ai fedeli, sono arrivati anche alcuni giornalisti locali, anch’essi informatisi sui social network. E a questo punto, parroco e fedeli hanno dato il meglio di sé. Nella diretta Facebook girata da Živana Šušak Živković di Dalmatinski portal si vedono diverse persone entrare in chiesa e una di loro colpire con una manata il telefono della reporter che cade al suolo.

Un altro video, filmato da Ivana Sivro della Tv N1, mostra una scena simile: una persona al volante di un’automobile si avvicina alla giornalista, che sta riprendendo dalla sua auto, e colpisce la telecamera con un pugno.

Ci sono poi immagini di colluttazioni proprio sull’uscio della chiesa, con la mano di una giornalista schiacciata nella porta e uno smartphone lanciato sul cemento. C’è chi grida “Se pubblicate questo video, avrete dei problemi!” e non manca, ovviamente, don Delaš che esce paonazzo sul sagrato e inveisce contro i giornalisti. Non bestemmia, ma poco ci manca.

E non è tutto. Perché a chiudere il cerchio, aggiungendo quel pizzico di nazionalismo che non può non mancare in eventi del genere, è arrivato anche un video filmato dagli stessi fedeli e sostenitori di don Delaš.

Sempre sul sagrato, si sono radunate nel pomeriggio di domenica circa venti persone armate di bandiera ustascia, fumogeni, striscione con lo slogan fascista “Per la patria, pronti!” (Za dom spremni) e cartellone di sostegno al parroco, con la postilla “Giornalisti vermi”, una scritta che ultimamente ha fatto la sua apparizione in più occasioni in Dalmazia. Il kit completo della Pasqua ustascia, insomma.

Il bilancio della Pasqua

Lunedì, la polizia di Spalato ha pubblicato un comunicato che tira le somme di questa giornata di paura e delirio a Sirobuja. Tre persone dovranno rispondere di accuse penali per l’attacco alle due giornaliste, mentre una quarta persona - un 70enne - è accusata di violazione delle misure di contenimento del virus.

Sull’incidente è intervenuto il ministro dell’Interno Davor Božinović che ha condannato l’attacco contro “una giornalista che cercava di fare il suo lavoro” e avvenuto per di più “in una chiesa e durante la più importante celebrazione cristiana”. Sullo stesso tono anche il sindaco di Spalato e il presidente della regione e persino l’arcivescovo di Spalato Marin Barišić ha sconfessato il suo prete.

"Mi scuso per il comportamento del nostro sacerdote Josip Delaš. L’incidente di stamattina certamente non contribuisce alla celebrazione cristiana della Pasqua", ha dichiarato Barišić domenica pomeriggio. Ma questo non è bastato a fermare il prelato ribelle.

All’indomani dell’incidente, riecco infatti don Delaš intento a dir messa sul sagrato della sua chiesa al solito manipolo di fedelissimi. Anche questi non spaventati dal fatto che il giorno prima la polizia aveva fermato 13 persone per aver partecipato alla messa clandestina e tra queste anche un minore - informando poi dell’avvenuto i servizi sociali locali. Se Delaš e i suoi non hanno imparato nulla dai fatti di domenica, che lezioni possiamo trarre noi da questa Pasqua?

Da un lato, l’Associazione dei giornalisti croati (HND) non può che denunciare ancora una volta “la caccia aperta ai giornalisti” che ha luogo in Croazia, come ha dichiarato in un comunicato il presidente dell’HND Hrvoje Zovko.

“Questo è il terzo incidente a Spalato nel giro di pochi giorni e le vittime sono sempre i giornalisti”, spiega Zovko che parla di “un’atmosfera di linciaggio contro i giornalisti, considerati colpevoli di tutto”. Un concetto, quest’ultimo, che negli ultimi anni “è stato ripetuto dai più alti esponenti della Chiesa e del governo”.

Condannare i fatti di Sirobuja, insomma, “non è abbastanza” e l’HND si aspetta che i vertici dello stato intervengano concretamente su questa vicenda.

Dall’altro lato, riemerge lo stato catastrofico in cui versa la Chiesa cattolica croata, intrappolata da anni in una paranoia nazionalista e ultraconservatrice. “I fatti di Sirobuja hanno mostrato l’immagine della Chiesa croata”, commenta l’editorialista Tomislav Klauški su 24 Sata, “[un’immagine] forse esagerata, tragicomica, ma pur sempre l’immagine che la Chiesa cattolica mantiene da anni nello spazio pubblico croato: vicina a teppisti, ustascia e radicali, piena di rabbia, di odio e di sfida, sfrenata e antipatica, ripugnante e disgustosa”. "Una Chiesa - conclude Klauški - così lontana dal messaggio di Papa Francesco".

Il quotidiano Jutarnji List arriva alla stessa conclusione , intervistando il sociologo delle religioni Ivica Maštruko, ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano. “L’arcivescovo Barišić potrebbe trasferire don Delaš in un’altra parrocchia”, spiega Maštruko. Ma non lo farà, perché “temono di essere coinvolti in un processo politico e di essere accusati di essere degli ‘jugocomunisti’”.

Cosa esattamente voglia dire, nel 2020, essere degli “jugocomunisti” non è chiaro a tutti. Ma a don Delaš e ai suoi lo è sicuramente.


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