Con la crescente popolarità di escursionismo e alpinismo, gli incidenti in montagna sono aumentati sensibilmente. La pressione ricade sui volontari dei gruppi di soccorso, che non di rado operano in collaborazione con i propri colleghi oltre confine
“Se volevate volare, dovevate prenotare un biglietto aereo, non noi”, recita - corredato dall’immagine stilizzata di un elicottero nel mezzo di un’azione di salvataggio - un sarcastico manifesto firmato dalla Hrvatska gorska služba spašavanja (il soccorso alpino croato), comparso la scorsa estate sulle autostrade del paese.
Quello degli incidenti in montagna sta diventando un tema sensibile ovunque si incontrino montagne e turismo, e le vette di Slovenia, Carinzia e Friuli-Venezia Giulia, così come i rilievi a due passi dalla costa croata, non fanno eccezione. E così, dopo l’ennesima estate di intensa attività, si torna a discutere delle prospettive di un servizio che si fa sempre più complesso.
A differenza dei paesi a nord dell’arco alpino, in questi territori - con la sola eccezione della Carinzia - il soccorso resta gratuito, anche per incidenti che, con il senno di poi, erano forse evitabili. Una scelta difesa dalla maggior parte dei responsabili dei soccorsi nei paesi coinvolti.
I soccorritori, intanto, si preparano ad affrontare le sfide di una montagna che cambia rapidamente, sia per la diffusione di nuove attività sportive che per gli effetti dei cambiamenti climatici. E spesso lo fanno insieme, in una collaborazione transfrontaliera che vede i soccorritori lavorare attraverso i confini per salvare vite.
Numeri in crescita
Quella di sentieri e rifugi di montagna presi d’assalto, nei primi mesi di riapertura dopo i lockdown, poteva sembrare la fotografia di una tendenza temporanea, ma si trattava invece di un fenomeno destinato a diventare strutturale.
Negli ultimi anni infatti i numeri del turismo d’alta quota non hanno fatto che crescere, e, in parallelo, sono cresciuti anche gli incidenti. In Friuli-Venezia Giulia gli interventi di soccorso sono addirittura raddoppiati in dieci anni, passando da 217 nel 2013 a oltre 402 nel 2023, ma anche la Slovenia (passata nello stesso intervallo di tempo da circa 400 interventi l’anno a quasi 700), la Carinzia e la Croazia vedono incrementi simili.
Il periodo più impegnativo è l’estate. Quella del 2024, particolarmente piovosa in molte regioni, è stata forse la prima, dopo la pandemia, che non ha visto record battuti un po’ ovunque. “Quest'anno abbiamo avuto molto lavoro e siamo vicini ai numeri record dello scorso anno”, spiega Gregor Dolinar, presidente della Gorska Reševalna Zveza Slovenije (il soccorso alpino sloveno).
Paesi come la Croazia vedono gli abitanti moltiplicarsi nella stagione turistica. “Il nostro paese ha 3,8 milioni di abitanti, e in quei quattro mesi arrivano più di 20 milioni di persone. La nostra popolazione aumenta di sette volte. Queste persone vengono in vacanza e in 7 o 14 giorni vogliono sfruttare tutte le opportunità. Non importa se fa caldo, se piove, se tuona: vanno in montagna, vanno al mare”, spiega Marko Rakovac, presidente della Hrvatska gorska služba spašavanja.
A una richiesta maggiore corrisponde un numero maggiore di soccorritori, che - a parte i tecnici di elisoccorso e poche altre figure professionali - sono tutti volontari, in grandissima parte residenti in zona. Anche gli elicotteri, protagonisti negli ultimi anni di un notevole aumento della tempestività degli interventi, non sono sempre disponibili in tutti i territori quando occorre.
Alpinisti in infradito: tra mito e realtà
“Non andare in infradito, non andare al Biokovo in infradito”, recita una canzone del gruppo croato Banda Turizma che si scaglia ironicamente contro i turisti che, tra un bagno e l’altro, decidono di avventurarsi sulla montagna che sovrasta le coste dalmate senza porsi particolari preoccupazioni. Se le cose dovessero andare male non c’è problema: “Fratello, non importa, mi salverà il soccorso alpino”.
Quella dell’incauto escursionista che si mette nei guai, magari per farsi un selfie, è diventata una figura ricorrente e ai limiti del cliché anche tra le vette più elevate. Figurarsi tra quelle vicino alla costa, frequentate effettivamente da turisti balneari: “A Biokovo la montagna esce letteralmente dal mare, per cui arrivano in quota pensando che sia un giro facile. E finisce che il sole li scotta, non c'è ombra, né acqua, né sorgenti. Quando poi recuperiamo i turisti, spesso fa grande scalpore sui media”, spiega Marko Rakovac.
Casi simili si verificano anche in Slovenia, ricorda Gregor Dolinar: “I turisti vanno nei resort più noti per qualche giorno - ai laghi di Bled o Bohinj ad esempio - apprezzano i panorami e decidono di andare in montagna. Ma le montagne possono essere piuttosto difficili, e stiamo portando a valle molte persone illese che semplicemente non avevano valutato correttamente le proprie capacità”.
L’incoscienza, comunque, non è affatto un’esclusiva dei turisti stranieri: nella maggior parte dei territori almeno la metà degli interventi riguarda escursionisti e alpinisti locali.
Per Bernhard Pichler-Koban, del Bergrettung Kärnten (la sezione carinziana del soccorso alpino austriaco), più che di equipaggiamento è una questione di mentalità: “Sembra che alcune persone si siano dimenticate dei pericoli della montagna, c’è un modo di pensare in cui prevale un’eccessiva fiducia in sé stessi. Molti pensano di poter sempre chiamare i soccorsi ed essere tratti in salvo. Purtroppo questo non è sempre possibile, e in caso di condizioni meteo avverse o altri fattori di rischio, a volte i soccorritori decidono di non esporsi a loro volta al pericolo. Uno dei problemi maggiori è l'immagine dipinta dagli influencer sui social media”.
Alimentare la polemica dell’escursionista improvvisato che mobilita i costosi soccorsi senza ragione però, per Raffaello Patat, delegato del Soccorso Alpino e speleologico del Friuli-Venezia Giulia, rischia di essere controproducente.
“Non ci piace colpevolizzare chi ha una disavventura. È vero che a volte, quando ci chiamano, ci chiediamo come facciano a non essere in grado di risolvere il problema da soli. Quasi sempre però, una volta sul posto, ci rendiamo conto che la chiamata era giustificata. In montagna il meteo cambia, arriva il buio, la temperatura scende all’improvviso: è meglio chiamare subito, per una situazione apparentemente banale, piuttosto che complicare le cose. Inoltre - aggiunge Patat - credo che in realtà oggi la preparazione delle persone sia addirittura leggermente migliorata rispetto al passato”.
Un apparente paradosso che si spiega considerando i tipi di incidente prevalenti. Spesso, spiega, ci si immagina che le persone si mettano nei guai facendo attività estreme. In realtà il più delle volte fanno semplice escursionismo: scivolano, inciampano sul sentiero, si perdono, sono preda di colpi di calore.
In territori dove il limite tra montagna, campagna e costa è spesso sfumato, in moltissimi casi le richieste arrivano da raccoglitori di funghi e persone dedite alle più svariate attività. “Capita spesso di soccorrere ciclisti, magari con biciclette elettriche, oltre a quelli dediti a nuove attività come il torrentismo, il parapendio acrobatico o la mountain bike. Sono cambiamenti che richiedono che ci adattiamo continuamente per essere pronti a intervenire”.
Cambiamento climatico e sicurezza in montagna
Sull’evoluzione dei pericoli della montagna incombe il complesso fenomeno della crisi climatica, che in questa regione si traduce in frane più frequenti alle quote più alte, alluvioni improvvise, ondate di calore, incendi.
“Abbiamo già avuto impatti significativi, come nel caso recente sul Natisone , dove tre ragazzi sono stati travolti dall’acqua. Questo tipo di eventi non è nuovo, ma sembra che si stiano verificando con maggiore frequenza”, prosegue Patat.
“Per questo ci stiamo organizzando a livello nazionale per affrontare le nuove sfide legate ai cambiamenti climatici, come quella delle alluvioni. Anche se l'alpinismo non è direttamente collegato all'acqua, stiamo comunque cercando di adattarci a queste nuove realtà”.
Nelle elevate montagne della Slovenia, aggiunge Dolinar, un altro problema sentito è il cambiamento sempre più spesso repentino delle condizioni meteo, tra temporali violenti e bruschi cambi delle temperature che sorprendono gli alpinisti: “Di recente due turisti stranieri sono morti con condizioni meteo difficili. Non è sicuro, ma la nostra ipotesi è che siano stati colpiti da un fulmine che li ha fatti cadere”.
Nelle riarse montagne croate la minaccia principale sarebbe invece l’aumento delle temperature. È proprio nei giorni più caldi, sottolinea Rakovac, che in molti inesperti si dirigono in montagna, spesso trascurando di portare abbastanza acqua. “Spingono i propri corpi al limite, iniziano a commettere grossi errori e a prendere decisioni sbagliate, che portano agli incidenti. Non ci sono fonti di acqua potabile, quindi è più difficile per le persone rinfrescarsi. Sotto il sole perdono rapidamente l'orientamento e questo può essere disastroso”.
Una caratteristica che accomuna diverse zone dell’Alpe Adria è la presenza di grotte. Anche in questo ambiente, ricorda Rakovac, con l’aumento degli eventi estremi gli speleologi sono esposti al rischio di piene improvvise con maggiore frequenza.
Ma chi paga?
Di fronte a queste nuove sfide, come nel resto dell’arco alpino, si ricomincia a discutere della sostenibilità del lavoro del Soccorso alpino e in particolare di un tema particolarmente sensibile: quello del pagamento del servizio.
Mentre in Carinzia i vertici dell’organizzazione di soccorso ricordano che “è fondamentale avere un’assicurazione che copra i costi di un eventuale salvataggio”, in Friuli-Venezia Giulia, Slovenia e Croazia il soccorso alpino è al momento sempre gratuito.
Le posizioni dei vertici delle organizzazioni di questi territori sono piuttosto simili, ma in parte legate alle specificità dei diversi contesti.
In Friuli-Venezia Giulia, nonostante il tema sia stato sollevato anche a livello mediatico ed esista una legge regionale che permetterebbe di imputare i costi sulla base delle valutazioni di un’apposita commissione, Raffaello Patat ricorda: “Non abbiamo mai messo in atto questa possibilità e non ci siamo mai pentiti. Rimaniamo dell'idea di intervenire senza chiedere soldi e senza recriminare su quello che è successo”.
Il tema fa discutere anche nelle vicine Slovenia e Croazia. I responsabili dei soccorsi alpini dei due paesi fanno notare quanto spesso il lavoro e le risorse del soccorso alpino - al di là dell’eco mediatica che ottengono i casi degli “escursionisti in infradito” - siano spesi per il recupero di persone che si perdono raccogliendo funghi, che si infortunano andando a prendere legna nei boschi, o che - nei casi più estremi - vengono ritrovate suicide.
Per quanto auspicabile - osservano - sembra difficile che la stipula di polizze assicurative possa risolvere questo tipo di situazioni. Gregor Dolinar insiste sul fatto che “i contribuenti in Slovenia già partecipano almeno in parte al bilancio pagando le tasse” e che il soccorso alpino non è “favorevole a grandi cambiamenti in questo ambito”.
Ammette che per quanto riguarda gli stranieri “si potrebbe trovare il modo perché contribuiscano almeno un po' al budget” e che in generale “il tema della responsabilità per i comportamenti irresponsabili in montagna dovrà essere affrontato”. Ma sottolinea: “Al di là delle decisioni governative sul tema dei pagamenti, andremo sempre a recuperare chiunque abbia bisogno del nostro aiuto e non vogliamo essere nella posizione di essere noi a far pagare il salvataggio”.
Dalla Hrvatska gorska služba spašavanja, Marko Rakovac ribadisce che il salvataggio “è un obbligo dello Stato. Si fanno pagare i pompieri per spegnere gli incendi?”. E aggiunge: “Non vorremmo che si creasse inoltre una situazione in cui le persone, pensando che dovranno pagare per i soccorsi, non chiedono aiuto, peggiorando la situazione”.
Il presidente del soccorso alpino invita a tenere conto anche di un aspetto “di sistema”. In Croazia “la percezione della sicurezza è molto alta, e questo è importante per il turismo, un settore che rappresenta il 20% del PIL del paese. E quando guardiamo i numeri nel loro complesso, si tratta di un piccolo investimento per l’effetto che otteniamo quando salviamo 100 stranieri all’anno”.
Il soccorso attraverso i confini
Come ogni anno, il prossimo 29 novembre, i soccorsi alpini di Carinzia, Friuli-Venezia Giulia e Slovenia si ritroveranno per un importante incontro di coordinamento. Oggi tutte le organizzazioni della zona fanno parte dell’International Commission for Alpine Rescue (ICAR), ma le prime forme di cooperazione transfrontaliera sul tema del soccorso alpino nel territorio di confine attorno alle Alpi Giulie risalgono agli anni Sessanta.
I rappresentanti delle diverse organizzazioni sono concordi nel sottolineare l’importanza degli sforzi di cooperazione portati avanti nel corso degli anni, ma anche il valore della conoscenza diretta e delle amicizie personali tra gli stessi soccorritori.
La geomorfologia della montagna, d’altra parte, non sempre rispetta le linee tracciate dai confini statali. “Può accadere che la squadra italiana possa arrivare via strada quasi fino al luogo dell’incidente mentre a noi, magari, occorrono due ore di cammino. In questi casi ha senso che siano loro a gestire il salvataggio”, spiega dalla Carinzia Pichler-Koban.
Il confine e le sue implicazioni non sono tuttavia del tutto ininfluenti, ricorda Raffaello Patat: “Mi viene in mente la rimozione di un cadavere. Bisogna attenersi alle leggi dello Stato in cui viene trovato, e deve intervenire una forza pubblica locale. Difficilmente una forza volontaria andrà a operare in un territorio diverso da quello di sua competenza. Magari faremo un intervento, ma alla fine sul posto deve comunque intervenire la forza pubblica di quello stato, per ragioni giuridiche”. Anche di questi aspetti si continuerà a discutere nel prossimo incontro.
La cooperazione transfrontaliera non è mossa esclusivamente dalla necessità di intervento congiunto sui confini condivisi, come testimonia la crescente collaborazione tra soccorsi nazionali italiano e croato, le cui zone di intervento non arrivano ad intersecarsi direttamente.
Non sono mancati gli interventi comuni in paesi terzi (come nel caso dello speleologo americano bloccato a 1000 metri di profondità in Turchia), né le esercitazioni condivise e gli scambi di esperienze e know-how.
Spiega Marko Rakovac: “Abbiamo un’ottima collaborazione e desideriamo imparare molto dagli italiani, perché pensiamo abbiano soccorritori davvero in gamba. Avremo presto una formazione sul canyoning in Italia per imparare dai loro volontari”.
Il confronto e lo scambio di idee viene valorizzato anche da parte slovena, ad esempio su aspetti di grande importanza come quello dell’adattamento del quadro legislativo alle nuove necessità delle organizzazioni: “La Croazia ha introdotto una legge speciale che si occupa di tutti gli aspetti del soccorso alpino. E stiamo cercando di far passare lo stesso tipo di legge anche in Slovenia“.
Nel caso dei due paesi post-jugoslavi, si tratta di legami che si mantengono anche attraverso incontri che coinvolgono i soccorsi alpini di tutte le repubbliche che componevano lo stato federale: Bosnia Erzegovina, Serbia, Macedonia del Nord e Montenegro.
Gli scambi e le collaborazioni attraverso i confini, d’altra parte, sembrano rappresentare una strada quasi obbligata per affrontare le tante sfide future. Lo sintetizzano bene le parole dello stesso Rakovac: “Contiamo sempre sull'aiuto di italiani e sloveni nelle nostre azioni. I nostri vicini contribuiscono a rendere sicuro il nostro ambiente. E ovviamente viceversa: noi siamo qui per loro se necessario".
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