"Mi chiedono 'sei pro o contro l’immigrazione?', ma la domanda non ha senso, non c’è da essere pro o contro, l’immigrazione esiste. Piuttosto, bisogna scegliere come gestirla". Un'intervista a Tiha K. Gudac, regista del documentario Žica, filo spinato
«Žica », letteralmente “filo spinato”, è il secondo documentario della regista croata Tiha K. Gudac (classe 1982). Dopo aver esordito nel 2014 con «Goli», che ripercorre la storia del nonno internato a Goli Otok, Gudac si occupa questa volte del filo spinato che il governo sloveno ha posizionato sul confine tra Croazia e Slovenia e sull’impatto che questo nuovo muro ha sulle comunità locali. Il film è parte del progetto «Borderline» prodotto da Off World e dedicato a diversi confini europei, raccontati attraverso sei documentari. Žica, uscito nel 2021, ha vinto il premio “Menzione speciale” al RAFF – Rab Film Festival.
Com’è nata l’idea di un film sul filo spinato tra Slovenia e Croazia?
Tutto è iniziato nel 2016, quando si è sviluppato il progetto «Borderline», con l’obiettivo di realizzare una serie di documentari sulle frontiere dell’Unione europea. Io ho proposto il confine croato-sloveno e realizzato un primo trailer. Allora c’era qualcosa di davvero macabro nel paesaggio: le autorità slovene avevano posto a terra dei rotoli di «nastro spinato» (razor wire), che è molto più tagliente del normale filo spinato e può incidere la carne fino all’osso. Per questo, si trovavano molti animali morti lungo il confine. La mia idea è stata selezionata e le riprese sono iniziate nel 2019.
Qual è la situazione al confine croato-sloveno oggi?
I rotoli di nastro spinato sono stati sostituiti con una recinzione sulla quale è stato collocato il filo spinato. La barriera è più lunga e più resistente, ma perlomeno meno pericolosa per chi ci cammina vicino.
Nel tuo documentario ti concentri sulle conseguenze che il filo spinato ha nella vita quotidiana di chi ci vive vicino. Da dove sei partita?
Mi sono concentrata sull’area attorno al fiume Kupa (Kolpa, in sloveno) che divide i due paesi, in particolare, la zona di Petrina (Slovenia) e Brod na Kupi (Croazia). Si tratta di una regione che in Croazia è nota con il nome di Gorski Kotar e dove si registrano gli inverni più rigidi, secondi solo a quelli del monte Velebit. Date queste difficili condizioni di vita, la popolazione locale si è unita, da un lato all’altro del confine, e oggi rappresenta un’unica comunità in cui si parla sia sloveno che croato, e anche una terza lingua dialettale, che è un miscuglio delle prime due.
L’impressione che si ha, guardando il tuo film, è che l’armonia locale sia stata distrutta da un’agente esterno...
È così, non si tratta di un’esagerazione. Penso alla storia di Zlatko, uno dei protagonisti del documentario. Lui vive sul lato croato del fiume, ma siccome in quel punto non c’è una strada, lui attraversa la Kupa con una piccola barca per fare la spesa o cercare ciò che gli serve dal lato sloveno del fiume. Tanti altri, invece, hanno la casa da un lato e i campi dall’altro e quindi utilizzano i piccoli ponti per andare dall’altra parte. Ecco, con l’arrivo del filo spinato sono stati chiusi tutti i valichi minori e ora le persone devono fare a volte un giro di 40 km per arrivare dall’altra parte.
C’è una bella scena nel film, in cui si vede la polizia locale mentre cerca di convincere gli abitanti della necessità del filo spinato...
Tutti i protagonisti del film si trovano in una situazione in cui non vorrebbero essere. I poliziotti sono persone del luogo che hanno trovato un lavoro sicuro e stabile in un’area in cui non ci sono fabbriche o grandi imprese. Ora si ritrovano a dover posizionare filo spinato e fare respingimenti illegali. La popolazione locale, naturalmente, non ne vuole sapere del filo spinato, perché separa le comunità, impedisce agli animali di raggiungere il fiume ecc. I migranti, infine, arrivano dall’altro capo del mondo e cercano di sopravvivere e di attraversare il confine.
Il film segue anche le vicende di Omar e Mohammed, due migranti che dalla Bosnia Erzegovina cercano di raggiungere l’Italia. La loro testimonianza dei respingimenti è molto forte...
Mi ricordo un giorno, durante le riprese, quando ci siamo messi a chiacchierare a Velika Kladuša (Bosnia Erzegovina), facendo finta di avere una conversazione normale. Uno di loro mi ha chiesto quali fossero i miei hobby e quand’è venuto il suo turno ha detto: “Io cammino per la Croazia finché non mi riportano di qua”. Hanno provato ad arrivare in Slovenia 10–15 volte e ogni volta sono stati picchiati e respinti. Il comportamento violento della polizia croata non è solo inaccettabile perché viola i diritti umani di queste persone ma, se vogliamo, è anche irresponsabile nei confronti dei cittadini europei, perché traumatizza delle persone che poi arriveranno in Europa, cariche di paura e di rabbia.
Che idea ti sei fatta del modo in cui i governi europei stanno rispondendo alla questione migratoria?
Ho l’impressione che non si voglia vedere la realtà. Si parla di “crisi”, quando in verità le migrazioni non sono un fenomeno passeggero, ma che anzi durerà e, temo, peggiorerà nei prossimi anni. Il focus del mio film era il filo spinato ma inevitabilmente si è allargato all’immigrazione e mi sono resa conto che sul tema la gente ha una visione in bianco e nero. Mi chiedono “sei pro o contro l’immigrazione?”, ma la domanda non ha senso, non c’è da essere pro o contro, l’immigrazione esiste. Piuttosto, bisogna scegliere come gestirla. E siccome si tratta di un fenomeno complicato, serve una risposta articolata e non semplice come un muro o una barriera di filo spinato, che in ultima istanza non serve a nulla.
Il tuo film è già stato presentato in diversi festival in Germania e nei Balcani. Quali sono state le reazioni finora?
Il pubblico ne è stupito, perché si parla di luoghi familiari, molto vicini. In Slovenia, tuttavia, il film non è ancora stato proiettato, lo sarà a breve al festival del cinema di Portorose. Ma per quanto riguarda i respingimenti o la violenza sui migranti in generale, non mi sembra che ci sia un vero dibattito pubblico. Ci sono tante inchieste, pubblicazioni, ma quando si guarda alle dichiarazioni dei responsabili politici, c’è solo negazione. E mi dispiace, vorrei che la società reagisse di più, perché altrimenti finisce che ci si abitua pian piano a tutto, come al filo spinato davanti alla propria casa. E se guardiamo agli ultimi dieci anni in Europa, con la scusa del male minore o del male necessario, ci siamo in realtà abituati all’avanzata del fascismo.
Festival
Il Festival del cinema di Rab (RAFF) è arrivato nel 2021 alla sua terza edizione. Organizzato con lo slogan “Budi glas istine” (Sii la voce della verità), il festival diretto dal giornalista croato Robert Zuber porta sul grande schermo e nel contesto estivo dei cinema all’aperto dell’isola di Arbe (Rab) dei documentari impegnati e lungometraggi provenienti dai Balcani e non solo. Quest’anno il premio della giuria è andato a Murina di Antoneta Alamat Kusijanović, mentre quello del pubblico a Lihar (Loan Shark) di Nemanje Ćeranića. Žica ha ricevuto una menzione speciale.
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