La violenza contro le donne è un fenomeno globale di carattere pandemico con effetti devastanti. Secondo l’OMS, il 26% della donne di età superiore ai 15 anni almeno una volta nella vita ha subito violenza fisica o sessuale da partner o ex partner
(Originariamente pubblicato da Lupiga)
Qualche tempo fa, su X, ex Twitter, è apparso un post in cui si suggeriva che i paesi con maggior numero di immigrati fossero maggiormente colpiti dal fenomeno della violenza contro le donne.
“Se guardi le statistiche sugli attacchi contro le donne in Europa, capirai quali paesi UE ‘odiano’ le donne. Se poi guardi il mondo intero, capirai quali paesi odiano le donne. Un indizio: non è la Croazia, bensì i paesi da voi lodati (ad esempio la Svezia), o i paesi di origine dei vostri cari migranti”, recita il post, pubblicato lo scorso 10 settembre.
Abbiamo deciso di verificare quale sia il reale stato delle cose per quanto riguarda la sicurezza e la violenza contro le donne, chi siano gli autori e quali le forme di violenza maggiormente perpetrate.
Come evidenziato dal Consiglio svedese per la prevenzione della criminalità (BRÅ) in un rapporto sull’attuazione della Convenzione di Istanbul presentato dal governo svedese al Consiglio d’Europa, “le statistiche sulla criminalità sono influenzate da fattori legali e statistici, ma anche dalla frequenza con cui i reati vengono denunciati e registrati. Questi fattori possono variare da paese a paese. L’assenza di standard internazionali sulla creazione e la presentazione delle statistiche sulla criminalità rende difficile fare paragoni tra paesi”.
Focalizzandosi poi sulle statistiche svedesi, il BRÅ individua tre caratteristiche importanti a cui prestare attenzione.
Primo, in Svezia tutti i casi denunciati vengono inclusi nelle statistiche come reati, anche se poi dovesse emergere che in alcuni di questi casi non sussistono gli estremi di reato.
Secondo, a differenza di alcuni paesi in cui molteplici reati dello stesso tipo commessi contro la stessa vittima vengono trattati come un unico reato, in Svezia ogni reato viene registrato separatamente.
Terzo, nelle statistiche svedesi i tentativi di reato solitamente vengono conteggiati insieme ai reati consumati.
Oltre alle questioni “tecniche” sottolineate dal Consiglio svedese per la prevenzione della criminalità, ci sono altri fattori che rendono difficile un confronto tra i numeri sulla violenza di genere in diversi paesi. Uno degli elementi più importanti è senz’altro l’atteggiamento della società nei confronti della violenza contro le donne.
Ecco un esempio concreto. Sono trascorsi quasi due decenni da quando l’espressione “stretta di mano della Lika” è entrata nel lessico della lingua croata. A ispirare l’espressione è stata una sentenza emessa nel 2005 da Branko Milanović, all’epoca giudice del tribunale di Gospić [il capoluogo della Lika].
Motivando la sentenza di assoluzione di Josip Mraović, accusato di aver violentato una giovane atleta, Milanović scriveva che “anche ammettendo che abbiano interagito tra loro, né al dito né all’ano possono essere attribuite caratteristiche sessuali, perché né l’uno né l’altro sono organi genitali, pertanto la loro interazione non rappresenta un atto sessuale né tanto meno può essere paragonata al rapporto sessuale […] Se dovessimo accettare che ogni atto nei contatti [fisici] tra le persone venga equiparato al rapporto sessuale […] si creerebbe il caos nell’applicazione della disciplina del reato di stupro, perché praticamente ogni interazione tra due persone potrebbe essere considerata stupro, nel caso in cui una persona non volesse il contatto fisico con l’altra. Quindi, persino una semplice stretta di mano potrebbe essere equiparata allo stupro, e questo è inaccettabile”.
Col tempo anche le leggi possono essere cambiate in base al livello di consapevolezza sociale di un determinato reato. Ad esempio, fino a cinque anni fa il Codice penale croato distingueva tra “stupro” e “rapporto sessuale non consensuale”.
I giudici croati qualificavano come stupri solo i rapporti sessuali imposti con l’uso della forza o con minacce, per i quali la legge prevedeva una pena da uno a dieci anni di reclusione. I rapporti sessuali imposti senza l’uso della forza o minacce venivano invece classificati come “rapporti sessuali non consensuali” e puniti con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Con le modifiche del Codice penale del 2019 è stata abolita la fattispecie di “rapporto sessuale non consensuale”, classificando come stupro ogni atto sessuale senza consenso. Un’altra novità riguarda l’aumento della pena minima per stupro, portata da uno a tre anni. La pena massima invece è rimasta invariata (dieci anni).
Pur essendo contemplata dal Codice penale (all’art. 156), in Croazia la disciplina della fattispecie di molestia sessuale è meno rigida rispetto ad alcuni paesi, come l’Olanda, dove nel luglio di quest’anno, è stato introdotto il reato di molestia sessuale in luogo pubblico. La nuova fattispecie comprende sia molestie di strada che quelle online, inclusi i social.
È chiaro quindi che la normativa non è che un tassello di un quadro più ampio che, oltre che dall’alacrità delle forze dell’ordine e della magistratura, dipende anche dal clima sociale: alcune forme di violenza contro le donne talvolta vengono tacitamente approvate, a volte invece si tende a normalizzarle, a seconda del contesto in cui avvengono. Se da una parte del mondo fischiare alle ragazze è del tutto normale, dall’altra può essere considerato un reato.
A differenza dei dati sulla violenza di genere diffusi dalle autorità, che raramente rispecchiano il reale stato delle cose, l’approccio adottato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) fornisce un quadro più chiaro della situazione.
Nel 2021 l’OMS ha pubblicato un rapporto sulla diffusione della violenza contro le donne da cui emerge inequivocabilmente che si tratta di un fenomeno globale.
Stando all’analisi dell’OMS, il 26% della donne di età superiore ai 15 anni almeno una volta nella vita ha subito violenza fisica o sessuale da partner o ex partner. La percentuale delle donne che ha subito violenze da parenti, amici, conoscenti o sconosciuti si attesta invece attorno al 6%.
L’OMS stima che nel 2018 circa il 10% delle donne e delle ragazze nel mondo abbia subito violenze fisiche e/o sessuali. Quindi, almeno 614 milioni di donne e ragazze di età superiore ai 15 anni sono state vittime di qualche forma di violenza perpetrata dai loro partner o ex partner. Particolarmente devastante è il dato sulla violenza commessa contro le ragazze: quasi un’adolescente su quattro (di età compresa tra i 15 e i 19 anni) almeno una volta è stata vittima di violenza perpetrata dal partner.
Dai dati esaurienti pubblicati dall’OMS emerge che il fenomeno della violenza sulle donne è maggiormente diffuso “nei paesi meno sviluppati” dove il 37% delle donne e delle ragazze ha vissuto questo trauma. I tassi più elevati si registrano in Oceania, nello specifico nelle regioni di Melanesia, Micronesia e Polinesia. A seguire l’Asia meridionale (35%) e l’Africa subsahariana (33%).
La violenza contro le donne è meno diffusa in alcune regioni d’Europa (16-23%), nell’Asia centrale (18%), orientale (20%) e sud orientale (21%), in Australia e Nuova Zelanda (23%).
Se guardiamo alle stime nazionali, i tassi più elevati di violenza commessa da un partner intimo si osservano nei seguenti paesi: Isole Kiribati (53%), Fiji (52%), Papua Nuova Guinea (51%), Bangladesh (50%), Isole Salomone (50%), Repubblica democratica del Congo (47%), Vanuatu (47%).
Oltre a quella esercitata dai partner, le donne subiscono diverse forme di violenza da sconosciuti, ma anche da parenti, amici e conoscenti uomini. La violenza commessa da uomini non partner è maggiormente diffusa nelle regioni ad alto reddito, nello specifico in Australia e Nuova Zelanda (19%) e in Nord America (15%). I tassi più bassi si registrano in Asia, Africa subsahariana e Nord Africa.
L’OMS mette in guardia sul fatto che “la violenza contro le donne, in particolare la violenza sessuale, resta un tabù, particolarmente difficile da infrangere in quelle società dove prevale l’opinione che la vittima sia responsabile dello stupro subito”.
“Anche per via di questo comportamento sociale – prosegue l’OMS – si evita di denunciare la violenza contro le donne, per cui il fenomeno resta sottostimato”.
Invece di trasformarla in oggetto di polemiche e scontri politici, la violenza sulle donne va affrontata come un fenomeno complesso che interessa tantissime donne a prescindere dal luogo di nascita o residenza. La prevenzione richiede interventi per ridurre le disuguaglianze di genere, economiche e sociali.
Tra le strategie per aumentare la sicurezza delle donne e delle ragazze, l’OMS cita anche “la lotta contro le norme sociali che promuovono la mascolinità basata sul potere e sul controllo sulle donne e tollerano la violenza contro le donne”.
Da un rapporto sugli omicidi di donne tra il 2016 e il 2020, pubblicato dal ministero dell’Interno croato, emerge che uno dei principali strumenti di prevenzione resta l’istruzione.
“Guardando al livello di istruzione delle vittime, si osserva che il 46,37% ha un basso livello di istruzione. Emerge inoltre che il 15,94% delle donne uccise non ha terminato nemmeno la scuola elementare”.
Non stupisce quindi se, tra le principali misure di contrasto alla violenza sulle donne, l’OMS abbia incluso il rafforzamento economico delle donne per combattere le disuguaglianze di genere nell’occupazione e nell’accesso all’istruzione.
Date queste premesse, è chiaro che la violenza contro le donne, anziché essere legata alla presenza di migranti, è un fenomeno globale di carattere pandemico con effetti devastanti, tanto che anche nelle regioni che consideriamo “nostre” e sicure il 16-23% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale da un partner intimo.
Per approfondire puoi leggere le inchieste svolte da EDJNet (network europeo coordinato da OBCT) che fanno luce su numeri, tendenze e realtà legate alla violenza contro le donne in Europa.
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