Nonostante un impianto normativo all'altezza si è ancora molto lontani in Croazia dalla tutela dei diritti delle donne vittime di violenza domestica. Un nostro approfondimento
Articolo disponibile anche in macedone e albanese.
Nel 2003 i media croati si ritrovarono in mano una storia bollente. Magali Boers, di nazionalità francese, accusò il marito Ljubomir Čučić, ex ambasciatore croato in Belgio ed ex segretario del partito Movimento europeo, di abusi fisici e psicologici.
Il caso rappresentò in Croazia un punto di svolta sulla questione della violenza domestica portando il dibattito allo scoperto. In un Paese conservatore, fiero del proprio cattolicesimo e dell'adesione ai valori cristiani, quale la Croazia era ed è tutt'ora, la violenza domestica rappresentava infatti un vero e proprio taboo.
Il caso Boers-Čučić aiutò tra l'altro ad uscire dall'interpretazione fuorviante che la violenza domestica sia causata in larga misura dalla crisi sociale che ha coinvolto la Croazia negli ultimi 20 anni e che ha portato ad una generale crescita del livello di povertà.
Relazioni patriarcali
Neva Tolle, dell'associazione Autonomous Women’s House di Zagabria e Maja Vukmanić di Women’s Room concordano piuttosto sul fatto che alla radice del problema stanno le relazioni tradizionali patriarcali che caratterizzano la società croata.
“Il problema principale riguarda le relazioni di forza tra i generi. La violenza domestica non è solo un problema sociale, ma in primo luogo politico. Una condizione sociale precaria, l'alcolismo o le droghe possono rappresentare il grilletto di ondate di violenza nei confronti delle donne, ma non ne sono la ragione” afferma Neva Tolle.
Maja Vukmanić aggiunge che i bambini in Croazia vengono indottrinati con ruoli di genere stereotipati, anche a conseguenza della grande influenza sulla società della chiesa cattolica.
"Nonostante i progressi permane l'idea che la violenza domestica sia una questione privata, che riguarda solo chi ne è colpito" sottolinea la Vukmanić.
Tolle nota inoltre che le donne che chiedono protezione presso la sua associazione (che gestisce un alloggio protetto) provengono da tutti i livelli sociali e d'educazione, ed hanno età molto variabili. “Tutte le donne possono divenire vittime di un partner violento”, afferma.
"La maggior parte delle vittime ha un diploma di scuola superiore, seguono donne che hanno conseguito una laurea e infine vi sono quelle che hanno terminato la scuola dell'obbligo", aggiunge Tolle per confermare che non sono solo le donne con scarsa formazione e con una situazione sociale difficile alle spalle a divenire vittime. Tutt'altro.
Uno studio realizzato nel 2003 da Autonomous Women’s House ha evidenziato che il 43% delle donne croate ha subito una qualche forma di violenza fisica da parte del coniuge o di altri partner. I dati forniti dal ministero degli Interni segnalano che dalle 7.200 segnalazioni di abusi nel 2002 si è passati alle 19.000 del 2007, per poi scendere leggermente alle 17.800 del 2008.
Non basta un impianto normativo all'avanguardia
Le istituzioni hanno reagito con una serie di iniziative legislative. Oltre alle previsioni generali presenti nell'articolo 23 della Costituzione, dal 2000 il codice penale prevede anche la violenza all'interno della famiglia. Emendamenti al codice di procedura penale, nel maggio del 2002, hanno inoltre rafforzato le misure protettive a favore di vittime di violenza domestica, includendo una serie di misure restrittive nei confronti di persone accusate di violenza domestica e misure detentive a loro carico più rigide.
Nel 2003 inoltre il parlamento croato ha approvato la “Legge sulla protezione contro la violenza in famiglia”, che include – nella definizione di violenza familiare - abusi fisici, psicologici, intimidazioni, violenza sessuale, restrizioni alla libertà di movimento o di comunicazione.
“Ciononostante, pur di fronte ad un impianto giuridico solido, l'implementazione delle previsioni legislative rimane spesso sfavorevole alle vittime. Le donne che denunciano una violenza rischiano di non venire prese sul serio, viene messo in dubbio il loro vissuto e le loro paure e questo porta a volte ad un'ulteriore vittimizzazione delle donne da quello stesso sistema che dovrebbe assisterle e proteggerle”, sottolinea Neva Tolle. Ed è proprio per queste mancanze che, secondo la Tolle, in Croazia vi è un altissimo numero di omicidi di donne che avevano deciso di lasciare, per le violenze subite, i partner.
Le organizzazioni della società civile sono state molto coinvolte in questi anni ed hanno largamente contribuito alla lotta contro la violenza domestica. Uno studio condotto nel 2010 dall'ong Women’s Room mostra come vi siano, nel Paese, 32 associazioni che forniscono sostegno ed assistenza alle vittime di violenza. Di queste, 12 offrono il servizio delle case accoglienza, 18 servizi di consulenza, una opera in modo specifico come centro per donne vittime di violenze sessuali ed una ha attivato una linea telefonica di consulenza.
“Oltre alle 11 case protette gestite dalle associazioni ve ne sono altre 7 create da amministrazioni locali. Ma la capacità totale di accoglienza è ben al di sotto delle raccomandazioni del Consiglio d'Europa per la protezione delle donne dalla violenza. Inoltre non vi è nessun numero verde nazionale e degli 11 necessari, abbiamo un solo centro che si occupa di vittime di violenze sessuali” chiarisce Maja Vukmanić.
La casa protetta gestita da Autonomous Women’s House di Zagabria offre un ampio spettro di servizi. Si va dall'alloggio protetto, al favorire il contatto tra le donne ed i loro bambini, a assistenza psicologica gratuita e assistenza legale.
I fondi
Nella primavera del 2011, la casa protetta di Zagabria, come altre 5 nel Paese, ha rischiato la chiusura. Gli enti pubblici co-finanziatori per circa il 30% delle iniziative non avevano infatti pagato ancora le loro quote. Il problema, che si era verificato già nel 2010, consiste nel fatto che i fondi previsti per gennaio sono stati ricevuti solo a giugno e, inoltre, la tendenza è quella di diminuire i finanziamenti. L'associazione, dice Neva Tolle, è resistita solo grazie a 40.000 euro garantiti dalla fondazione ERSTE.
“Non so veramente cosa accadrà nel 2012, ma vi è un reale pericolo che alcune case protette vengano chiuse. Senza un minimo di fondi, ed intendo realmente un minimo, non possiamo fare questo lavoro in modo responsabile”, sottolinea Tolle.
Vukmanić aggiunge poi che sette associazioni (Autonomous Women’s House a Zagabria, l'associazione Brod – Women Human Rights Group di Slavonski Brod, Korak di Karlovac, Women Help Now di Zagabria, Safe House Istra di Pola, Adela Women’s Centre di Sisak e UZOR di Rijeka) hanno preparato un progetto di legge sul finanziamento delle case protette e dei centri di consulenza.
“Nel progetto di legge si stabilisce un regolare e continuo sostegno finanziario. Si garantisce inoltre la qualità dei servizi erogati. Ci auguriamo che la legge venga adottata, anche se il ministero per la Salute e i Servizi sociali ha già espresso la sua contrarietà”, afferma la Vukmanić.
Ciononostante la Vukmanić sottolinea anche alcuni progressi, quali ad esempio l'organizzazione, a partire dal 1998, di corsi di formazione per la polizia durante i quali gli agenti vengono informati della violenza sulle donne e del lavoro in tale ambito di istituzioni e associazioni della società civile. A suo avviso comunque va migliorata la cooperazione tra i centri sociali pubblici, non in grado di fornire sostegno a lungo termine alle vittime di violenza domestica, e organizzazioni della società civile che si sono specializzate in tale ambito.
“La situazione in Croazia ha ancora bisogno di un'attenzione più puntuale da parte dei cittadini. Nonostante i progressi siamo ancora lontani da una vera protezione dei diritti delle donne vittime di violenza e da una vera parità tra i generi”, chiosa la Vukmanić.
Tra meno di due anni, il primo luglio del 2013, la Croazia entrerà a pieno titolo nell'Unione europea. Il Paese ha raggiunto tutti gli obiettivi posti da Bruxelles e, dopo aver chiuso le negoziazioni, ora raggiungerà l'agognata meta. Se però anche la lotta e la prevenzione della violenza domestica fossero stati posti come condizione, la Croazia non sarebbe arrivata così lontana lungo la strada dell'integrazione europea.
Articolo realizzato da più autori in collaborazione con Oneworld SEE
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