Nelle ultime tre settimane la Commissione europea ha annunciato nuovi atti e strategie, tra cui il Piano d'azione per la democrazia europea, la Legge sui mercati digitali e la Strategia UE per la sicurezza informatica. Le preoccupazioni in merito all'interferenza straniera sulle democrazie Ue sta portando a risposte che vanno nella giusta direzione
Il “Piano d'azione per la democrazia europea ” recentemente pubblicato dalla Commissione europea, mostra come la preoccupazione per l'interferenza straniera nei processi democratici generata dall'elezione di Donald Trump nel 2016 e dal referendum sulla Brexit nello stesso anno sia lentamente maturata, portando ad una valutazione più sobria del problema, nonché a risposte politiche più complete. All'inizio di quest'anno, l'istituzione da parte del Parlamento europeo di una Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell'Unione europea, inclusa la disinformazione, con un mandato ampio e ben strutturato, ha analogamente dimostrato come tutte le istituzioni a livello dell'UE si stiano evolvendo rispetto ad una comprensione iniziale grossolana e stereotipata della questione.
L’ossessione dei media per la Russia e in particolare per i "bot russi", molto diffusa solo pochi anni fa, metteva in evidenza come buona parte di media e politici stentassero a proporre ragionamenti strutturati sulle nuove vulnerabilità strutturali divenute sempre più evidenti nelle democrazie occidentali. I "bot russi" erano qualcosa di cui la stragrande maggioranza dei decisori politici e il pubblico in generale non aveva una comprensione adeguata, provenivano da attori esterni e ostili e il loro impatto non poteva essere adeguatamente misurato. Quindi, potevano essere speculativamente accusati per ogni sorta di male.
Con il tempo, è diventato più facile districare diverse categorie di preoccupazioni. Il rapporto sempre più teso tra la Russia e l'Occidente, l'interferenza della Russia nei processi elettorali, l'intimo legame del Cremlino con l'estrema destra europea, i suoi sfacciati attacchi informatici e persino il suo soft power sono tutti legittimi motivi di preoccupazione, ma più per le vulnerabilità strutturali che hanno esposto che per il loro effettivo impatto diretto. Un'analisi più approfondita del problema ha creato lo spazio per una serie più ampia di domande.
Trovare le domande giuste
Quando l'Unione europea ha affrontato per la prima volta la disinformazione a livello di adozione di politiche, lo ha fatto concentrandosi su un attore esterno specifico, ovvero la Federazione russa. Dopo le proteste e la guerra in Ucraina, mentre nuove tensioni si facevano evidenti anche nello spazio informativo dell'UE e in quello dei suoi vicini orientali, nel 2015 sono state create la East StratCom Task Force e la sua iniziativa-simbolo EUvsDisinfo , al fine di "affrontare le sistematiche campagne di disinformazione della Russia". Gli Stati uniti, scioccati dall'idea di un'interferenza straniera nelle loro elezioni presidenziali, hanno avviato una “indagine sull'interferenza russa nelle elezioni presidenziali 2016” guidata da Robert Mueller. Nel Regno unito, il Comitato di intelligence e sicurezza del Parlamento ha prodotto un rapporto sulla Russia per indagare sull'interferenza del Cremlino con attenzione particolare al referendum sulla Brexit.
Si tratta di iniziative molto diverse per portata e formato. L'iniziativa incaricata di individuare e mettere in luce le azioni di disinformazione dalla Russia, EuvsDisinfo, trova regolarmente contenuti esemplari da denunciare. Il Rapporto Mueller ha trovato abbondanti prove dell'interferenza russa. Il rapporto del Regno unito evidenzia che la comunità dell'intelligence britannica non ha nemmeno tentato di valutare il rischio di interferenza, ma indica una serie di elementi che renderebbero il Regno unito vulnerabile a tali tentativi, tra cui l'approccio "a braccia aperte" delle élite dei colletti bianchi londinesi verso gli oligarchi russi.
Per riassumere, a domande come "la Russia ha cercato di interferire?" o "c'è disinformazione proveniente dalla Russia?", la risposta è sempre una qualche sfumatura di “sì”. È sicuramente importante valutare i rischi che derivano da uno specifico attore esterno, nonché denunciare e reagire a palesi tentativi di interferire nei processi democratici. Tuttavia, un'eccessiva attenzione alla dimensione esterna, ed in particolare ad uno specifico attore esterno, può distrarre da un dibattito più completo sulle vulnerabilità delle democrazie occidentali, nonché sui modi in cui l'attuale sistema politico sembra non essere in grado di rispondere alle richieste della società.
Fortunatamente, oltre ai pur utili summenzionati rapporti sull'interferenza russa, altre iniziative hanno adottato un approccio più ampio. La Fondazione Kofi Annan ha istituito una Commissione per le elezioni e la democrazia nell'era digitale; il loro rapporto finale , che esamina "le opportunità e le sfide per l'integrità elettorale create dalle innovazioni tecnologiche", offre un'eccellente analisi del campo e delinea risposte politiche direttamente implementabili che tengono in considerazione la diversità dei processi democratici in tutto il mondo, ben oltre l'Europa occidentale e il Nord America. L'interferenza straniera è correttamente identificata come uno tra diversi problemi che le democrazie contemporanee devono affrontare, tra cui le sfide poste da social media, incitamento all'odio, disinformazione e pubblicità politica.
La Commissione per la democrazia e la tecnologia di Chatham House ha fatto un altro passo verso un panorama ancora più ampio, prendendo invece come punto di partenza l'idea diffusa che la democrazia liberale sia in crisi. La questione diventa allora come rilanciare la democrazia. Il suo rapporto finale contiene molte considerazioni utili e aiuta a contestualizzare tendenze più ampie che hanno creato un contesto in cui la disinformazione e l'interferenza straniera possono effettivamente diventare un disturbo significativo per i processi democratici nell'Europa occidentale.
Con il nostro progetto ESVEI, abbiamo deciso di concentrarci sulle vulnerabilità che rendevano possibili i rischi di interferenze esterne: disinformazione via social media, opacità delle piattaforme tecnologiche, questioni relative alla trasparenza del finanziamento delle organizzazioni politiche e del lobbismo e sicurezza informatica. È emerso come vi sia un significativo accordo tra gli esperti sui passaggi più basilari che potrebbero mitigare alcune di queste vulnerabilità e che non c'è motivo di ritardarne l'implementazione. Questo è il motivo per cui, ad esempio, ci siamo uniti ad altre organizzazioni della società civile in Italia nel chiedere una regolamentazione aggiornata sul lobbismo.
Resta tuttavia quasi incredibile che, in Italia e in altri paesi, all'alba del 2021, non sia stato aggiornato all'era digitale il regolamento sulla pubblicità politica. Quel po’ di trasparenza che abbiamo, limitata e insufficiente, è il risultato di tiepidi tentativi da parte delle piattaforme tecnologiche di evitare di essere regolamentate in modo significativo. Le piattaforme sono ancora libere di decidere che cosa è “politico” e che cosa non lo è: ad esempio, le questioni ambientali promosse da una ONG sono considerate tali, ma non così gli annunci che promuovono abitudini insostenibili, o pagati da aziende di combustibili fossili responsabili per la distruzione del nostro ecosistema. Anche quando le piattaforme rendono disponibili alcuni dati, questi sono inadeguati ad una corretta analisi dei contenuti sponsorizzati o cosiddetti organici ("organico" è l'aggettivo fuorviante usato per fare riferimento a contenuti la cui visibilità e priorità è determinata da algoritmi decisi e modificati a piacimento dalle piattaforme stesse). Niente di tutto questo è accettabile, né in termini di mercato né in termini democratici.
In attesa che soluzioni più complete prendano forma su entrambe le sponde dell'Atlantico, dovrebbero essere introdotti senza indugio requisiti di trasparenza obbligatori e approfonditi in tutta l'UE. Il fatto che il Piano d'azione UE per la democrazia faccia riferimento ad una nuova proposta in arrivo nel 2021, da attuare entro il 2024, segnala attenzione verso questo problema, ma la scadenza è lontana e, ancora una volta, l'attenzione è solo sulla "pubblicità politica". La distinzione tra "politico" e "non politico" è irrisolvibile e dovrebbe essere abbandonata; si dovrebbe mettere in discussione anche l'illusione che possano esistere dei contenuti "organici" a cui viene data priorità, e ovviamente il fatto che su essi non vi debba essere trasparenza come sulle questioni "politiche".
Più in generale, il predominio e l'impatto sull'ambiente dell'informazione e sulla vita quotidiana dei cittadini europei di alcune aziende orientate al profitto con sede poco fuori San Francisco sono semplicemente incompatibili con la visione di un futuro digitale pluralistico che riteniamo necessaria per fiorenti democrazie nel ventunesimo secolo. Questo è un lungo viaggio, con molte insidie, ma riteniamo che dovrebbe iniziare con una crescente attenzione a interoperabilità, trasparenza e controllo sui dati. Non solo gli attivisti , ma finalmente anche i regolatori del mercato in USA e in Europa sembrano essere finalmente disposti ad assumere una posizione più decisa verso tali obiettivi (come sottolineato dall'EFF , "c'è molto da apprezzare", anche se con "margini di miglioramento", nell'ultima Legge sui mercati digitali dell'UE).
L'Unione europea ha intensificato i propri sforzi per affrontare altre vulnerabilità, ad esempio con la sua strategia di sicurezza informatica appena pubblicata. È importante avere un approccio a livello europeo per affrontare i problemi di sicurezza informatica e proteggere le infrastrutture critiche, ma la strategia manca di considerare esplicitamente altre componenti delle società democratiche. La sicurezza informatica dei partiti e delle organizzazioni politiche, nonché dei giornalisti investigativi, è una questione di interesse pubblico: iniziative non invasive per aumentare la sicurezza informatica di tali attori cruciali nelle democrazie dovrebbero far parte di una strategia più ampia (e infatti, anche se non inclusa nella Strategia per la sicurezza informatica, la sicurezza online dei giornalisti è parte del Piano d'azione per la democrazia europea ).
La disinformazione rimane una faccenda complessa, senza soluzioni facili, tantomeno tecnologiche. Come emerso in un recente evento che abbiamo co-organizzato, la disinformazione può essere diffusa anche dai media tradizionali e dai leader politici; può essere politicamente motivata, promossa da attori esterni o prodotta come business, principalmente per trarre profitto dagli introiti pubblicitari. Il contrasto di specifiche fonti di disinformazione può far parte della strategia, ma è necessario prendere in considerazione anche misure proattive e sistemiche: iniziative di alfabetizzazione mediatica e sui dati come quelle promosse in Finlandia contribuiscono a mitigare questo problema; si dovrebbero trovare nuovi modi per sostenere un giornalismo di qualità senza minacciare l'indipendenza editoriale (si veda, ad esempio, questa dichiarazione del Consiglio d'Europa che elenca diversi approcci per garantire la sostenibilità finanziaria del giornalismo di qualità nell'era digitale). Infine, diversi centri e singoli ricercatori hanno avanzato molte iniziative e proposte di policy per contrastare direttamente gli effettivi tentativi di influenzare l'informazione.
Conclusioni
Tutte le questioni delineate nei paragrafi precedenti possono sembrare eccessivamente ampie rispetto ad iniziative come la nostra di ESVEI derivata da una preoccupazione per l'interferenza straniera sulle democrazie. Eppure, si tratta di un approccio più ampio e inclusivo che alla fine è maturato anche a livello dell'UE, a partire dallo stesso Piano d'azione per la democrazia europea . Ad esempio, è encomiabile l’attenzione dedicata a processi deliberativi e all'arricchimento dei processi democratici: l'obiettivo finale è avere democrazie fiorenti e società aperte, non solo proteggere ciò che abbiamo attualmente dalle minacce più esplicite in un contesto che si deteriora continuamente, rendendo quelle stesse minacce sempre più reali.
Quando abbiamo avviato ESVEI un paio di anni fa, eravamo preoccupati non solo delle interferenze straniere, ma anche del rischio che focalizzarsi eccessivamente su uno specifico attore esterno e una specifica tattica (operazioni di influenza attraverso social media) rischiasse di distrarre da altre questioni più cruciali per le nostre democrazie. Crediamo ancora che sia rischioso mettere in dubbio la legittimità dei risultati elettorali basandosi su accuse di ingerenza straniera, e che insistere sul fatto che le nostre democrazie siano minacciate principalmente dall'esterno piuttosto che dall'interno renda più difficile elaborare adeguate risposte politiche.
Il piano d'azione per la democrazia europea ci dà una certa speranza, in quanto non si concentra solo sulla resilienza o sulla mitigazione delle vulnerabilità, ma delinea attivamente misure per promuovere l'impegno democratico e la partecipazione attiva al di là delle elezioni, anche promuovendo la democrazia deliberativa e un accresciuto ruolo per le organizzazioni della società civile, facendo riferimento anche ad un maggiore impegno per quanto riguarda il pluralismo dei media. Una sfera pubblica più vivace, un processo democratico più inclusivo e un sistema politico in grado di rispondere ai bisogni e alle aspirazioni della società, nonché di interpretarli in modo coerente, sono il miglior antidoto alle interferenze straniere.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
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