8 novembre 2020, proteste anti-governative davanti al Parlamento (@ Tai Dundua/Shutterstock)

8 novembre 2020, proteste anti-governative davanti al Parlamento (@ Tai Dundua/Shutterstock)

In Georgia l'opposizione al partito di governo Sogno georgiano è compatta nel chiedere nuove elezioni, minacciando di boicottare un'eventuale nuova legislatura. La comunità internazionale non prende parte e si limita ad invitare al dialogo

13/11/2020 -  Marilisa Lorusso

Che le recenti elezioni in Georgia abbiano presentato dei problemi è riconosciuto anche dagli osservatori internazionali che però non ne hanno messo in discussione la legittimità . Diverse questioni irrisolte adombrano praticamente ad ogni ciclo elettorale il voto: l’uso di risorse amministrative per creare consenso verso il partito di maggioranza; dubbi sulle nomine degli scrutatori; brogli e voto di scambio che, in un paese che continua a combattere una dura lotta contro la povertà, sono una pericolosa tentazione.

Ci sono poi limiti nel contrastare gli squilibri e gli abusi nei finanziamenti dei vari partiti: la legge c’è, gli organi di controllo anche, ma rimangono deboli. Nel caso di queste elezioni si sono aggiunti un po' di dubbi su come siano state ridisegnate le mappe elettorali di alcune circoscrizioni maggioritarie e sulla figura di “osservatori” con affiliazioni politiche sospette.

Sono state inoltre elezioni rese ancor più complicate dalla pandemia e segnate dall’assenza di un corpo di osservatori internazionali paragonabile per numeri e presenza capillare a quelle precedenti. Ma anche segnate da un clima di diffidenza, polarizzazione e sfiducia che ha portato all’impasse attuale di muro contro muro tra maggioranza che si è confermata e opposizione che occupa le piazze.

La sfiducia nei processi elettorali e di verifica

Tutta l’opposizione è compatta e decisa a boicottare sia il secondo turno per i seggi maggioritari previsto per il prossimo 21 novembre che la X legislatura che dovrebbe prendere forma il 20 dicembre. Il motivo è chiaro: non si ritengono corretti i risultati forniti dalla Commissione elettorale centrale (CEC) e si afferma che le elezioni siano state falsate da brogli e pertanto la legislatura che ne uscirebbe non sarebbe legittima espressione del voto popolare. Si contestano non solo gli esiti del gioco, ma soprattutto la manomissione delle regole del gioco.

La Commissione elettorale centrale riporta di 1941 denunce depositate contro i distretti elettorali, di cui 1272 presentate da forze politiche e 564 da organizzazioni di osservatori elettorali e le restanti da singoli cittadini. Fra le anomalie più frequentemente segnalate vi è la differenza fra i voti espressi e i votanti al seggio. La CEC sostiene che queste differenze fra il numero di voti e di votanti in lista in alcuni seggi dipenderebbero dalle quarantene e dagli auto-isolamenti e quindi dall'alto numero di urne mobili. Inoltre, stando alla presidente della CEC Tamar Zhvania, alcuni risultati sono stati fatti circolare ancora in bozza, senza le correzioni di verifica. Sempre secondo Tamar Zhvania per esempio 18 urne mobili sono state ricontate ed a seguito delle verifiche 9 sono state del tutto annullate, una parzialmente .

Vicina alle tesi delle opposizioni Nino Lomjaria, l’Ombudsperson georgiana, che ha segnalato uno scollamento di risultati che potrebbe comportare una falsificazione in termini di percentuali di risultati fino al 4% e ha anche denunciato un pesante clima intimidatorio contro le organizzazioni di osservatori georgiani, citando Gyla, Isfed, e Transparency International Georgia.

Passano i giorni ma comunque la polemica sui riconteggi e le verifiche non si sta placando. Transparency International ha continuato a segnalare difformità da verificare, lamentando che poche sono state effettivamente rivalutate in seguito a precedenti segnalazioni .

Il 3 novembre scorso i partiti di opposizione, inclusi quelli che non hanno superato lo sbarramento dell’1%, hanno firmato un accordo che recita: “Noi, i partiti di opposizione che hanno subito brogli elettorali, rinunciamo ai nostri mandati e ci impegniamo a intraprendere tutte le misure politiche e legali per non accettare i nostri seggi – né de jure né de facto. Non riconosciamo la legittimità di questo presunto parlamento […]”.  Non ha firmato l’Alleanza dei Patrioti che offre alla protesta una sorta di appoggio esterno.

Non fa sponda però sino ad ora alla posizione dell’opposizione la comunità internazionale, che ha invitato alla moderazione e al dialogo .

La protesta

Per tutta la settimana che ha seguito il voto ci sono state proteste davanti alla sede della CEC, alla residenza di Ivanishvili, in Agiara, davanti a seggi in cui era in corso la riconta. Dal 31 ottobre si sono registrati tre ricoveri in ospedale per gli scontri e alcuni arresti, fino alla manifestazione di domenica 8 novembre quando si sono presentati davanti al Parlamento migliaia di protestatari mentre in Agiara si teneva una manifestazione gemella. Sul palco le varie sigle della protesta, ma con il dichiarato intento collettivo di non difendere una bandiera piuttosto dell’altra, quanto piuttosto l’integrità del processo elettorale e della scelta degli elettori.

Dalla centralissima Rustaveli la sera la protesta si è messa in marcia verso la sede della CEC. E qui sono entrati in scena i cannoni ad acqua, armi non letali di sgombero che sono stati spesso utilizzati nella regione, a volta con l’addizione di sostanze urticanti. Il ministero degli Interni ha poi dichiarato che l’uso di questo mezzo è stato proporzionale a un tentativo di assalto alla sede CEC. Il bilancio della protesta di domenica è stato di 27 feriti di cui 10 manifestanti, 14 poliziotti, 3 giornalisti.

Varie ong e l’Ombudsperson hanno chiesto dal canto loro a tutte le parti in causa - governo, manifestanti, CEC - di disinnescare questa escalation.

La protesta è poi ripresa lunedì 9 novembre, con una variabile che ha reso tutto più teso: dalle 22 di quello stesso giorno è entrato in vigore il coprifuoco applicato dal governo per contrastare una ascesa di contagi in Georgia che sta invertendo purtroppo nel paese, per quanto riguarda la seconda ondata, l’ottima tenuta durante la prima. La manifestazione, di dimensioni molto più contenute della sera precedente, è proseguita nonostante il coprifuoco, e alcuni attivisti del movimento che si è battezzato Vergogna sono stati arrestati per aver acceso fuochi davanti al Parlamento.

La negoziazione, forse

Sogno Georgiano, partito uscito vincitore dalla tornata elettorale, ha proposto un ritorno agli strumenti istituzionali della politica, sottolineando che la protesta non è legittimata da una condanna delle elezioni condivisa anche a livello internazionale.

Sulla possibile apertura di un tavolo negoziale si segnalano timide aperture anche nel campo dell'opposizione, a cominciare dal Movimento Nazionale Unito. Ma l’oggetto della negoziazione non riguarderebbe l’apertura della sessione istituzionale del parlamento, bensì una serie di punti condivisi dalle opposizioni, ossia: le dimissioni della Presidente Zhvania, una nuova procedura per assegnare gli scrutatori ai seggi, l’annullamento dei risultati del primo turno, elezioni anticipate e il rilascio di quelli che vengono considerati dall'opposizione prigionieri politici (due cartografi , uno dei fondatori della tv di opposizione Mtavari Arkhi e gli arrestati di questi giorni di proteste).

Era il 7 novembre del 2007 quando a Tbilisi i cannoni ad acqua disperdevano una manifestazione anti-governativa contro l’allora Movimento Nazionale di Saakashvili. Era poi caduto il governo e si era andati ad elezioni anticipate. L’opposizione allora chiedeva più democrazia e una legge elettorale proporzionale. Esattamente tredici anni dopo la legge è arrivata, ma i cannoni ad acqua sono rimasti.


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