Nel più grande naufragio avvenuto nel Mediterraneo negli ultimi anni, nella notte tra il 14 e il 14 giugno a 80 chilometri a sud-ovest del Peloponneso, sono morte 81 persone e centinaia i dispersi. In questa inchiesta di Solomon si sollevano interrogativi sulle responsabilità della Grecia, della Guardia costiera ellenica e dell'UE

(Originariamente pubblicato da Solomon , il 15 giugno 2023)

 

I primi corpi delle persone che nella notte tra il 13 e il 14 giugno hanno perso la vita in mare, 80 chilometri a sud-ovest di Pylos, sono stati trasferiti al cimitero di Schisto. Almeno 78 morti [nel frattempo il bilancio delle vittime è salito a 81], centinaia di dispersi. Finora 104 persone sono state portate in salvo e le ricerche proseguono.

Restano però aperti alcuni interrogativi sul comportamento e le possibili responsabilità della Guardia costiera ellenica nel più grande naufragio avvenuto nel Mediterraneo negli ultimi anni, ma anche sulle responsabilità della Grecia e dell’Europa che, con le loro politiche, hanno deviato i flussi migratori verso la micidiale rotta della Calabria – una rotta che bypassa la Grecia (per ovvie ragioni ) – al contempo fallendo nel creare canali migratori sicuri e legali.

La sindrome di negazione

Nei comunicati stampa e nel resoconto degli eventi che hanno portato alla tragedia, la Guardia costiera ellenica ha attribuito la responsabilità del mancato soccorso dei migranti al peschereccio che, nella comunicazione intercorsa con le autorità greche, avrebbe ripetutamente “rifiutato di ricevere assistenza”.

La Guardia costiera ellenica era venuta a conoscenza della presenza del peschereccio [in acque internazionali a sud-ovest del Peloponneso] nella mattinata di martedì 13 giugno e, stando ai dati diffusi dalla stessa autorità, aveva instaurato una comunicazione con la nave già alle 14.00 ora locale. Tuttavia, non era stata intrapresa alcuna operazione di soccorso perché, come si legge in un comunicato emesso dalle autorità greche , “il peschereccio non aveva richiesto alcuna assistenza alla Guardia costiera e alla Grecia”.

La stessa argomentazione viene ripresa più avanti nel comunicato, affermando che intorno alle 18.00 “una nave mercantile [che nel frattempo si era avvicinata fornendo cibo e acqua all’imbarcazione carica di migranti] aveva ripetutamente chiesto al peschereccio se desiderasse ulteriore assistenza, se fosse in pericolo o se volesse qualcos’altro dalla Grecia. Avevano risposto: ‘Non vogliamo altro che proseguire verso l’Italia’”.

Viene però da chiedersi se questa spiegazione assolva la Guardia costiera ellenica da ogni responsabilità.

Gli esperti in diritto internazionale, come anche alcuni attuali ed ex funzionari della Guardia costiera, affermano che, anche se ci fosse stato un effettivo “rifiuto di ricevere assistenza”, la spiegazione fornita dalle autorità greche rimarrebbe comunque discutibile dal punto di vista giuridico e umanitario. L’operazione di soccorso, come spiegano gli esperti interpellati da Solomon, avrebbe dovuto essere intrapresa per diversi motivi appena il peschereccio era stato individuato.

Primo, l’imbarcazione era palesemente sovraccarica e non adibita alla navigazione, pertanto la vita delle persone a bordo – che non disponevano nemmeno di dispositivi di salvataggio – era in costante pericolo.

Secondo, il rifiuto, da parte di uno stato membro dell’UE, di soccorrere un’imbarcazione, di avvicinarsi ad essa o di intervenire in altro modo sarebbe legittimo solo se la nave battesse bandiera di uno stato, avesse documenti regolari e un comandante e fosse al sicuro. Il peschereccio in questione non soddisfaceva nessuno di questi requisiti.

Terzo, gli ufficiali della Guardia costiera avrebbero dovuto valutare oggettivamente la situazione e intraprendere tutte le azioni necessarie indipendentemente da come le persone a bordo del peschereccio – nello specifico quelle che erano in contatto con la Guardia costiera – percepissero la situazione.

Quarto, il barcone si trovava indubbiamente in una situazione di pericolo, per cui la Guardia costiera ellenica, visto che non lo aveva fatto prima, doveva avviare un’operazione di salvataggio nel momento stesso in cui aveva ricevuto una richiesta di soccorso inviata dalle persone a bordo tramite Alarm Phone. Questa chiamata di emergenza non viene menzionata da nessuna parte nei comunicati emessi dalla Guardia costiera.

 

Le prove

Nel suo resoconto degli eventi , l’organizzazione Watch the Med – Alarm Phone afferma di aver contattato le autorità alle 17:53 ora locale (in Grecia).

L’organizzazione aveva inviato una email alle autorità competenti con le coordinate della nave sovraccarica, precisando che a bordo c’erano 750 persone, tra cui molte donne e bambini, indicando anche un numero per contattare direttamente la nave. “Chiedono urgentemente aiuto”, si legge nella mail.

Il messaggio, che parla esplicitamente di una nave in pericolo, era stato inviato alle autorità greche (la Guardia costiera, la polizia, il ministero della Protezione civile e la capitaneria di Kalamata) e all’agenzia Frontex, ed era stato portato a conoscenza anche degli uffici dell’UNHCR in Grecia e in Turchia, della NATO e dell’ombudsman greco.

I giornalisti di Solomon hanno contattato la Guardia costiera ellenica, ponendo alcune domande precise. Perché non era stata avviata alcuna operazione di salvataggio dopo la richiesta di soccorso lanciata dai migranti tramite Alarm Phone? Date le circostanze, il presunto rifiuto, da parte della nave, di ricevere assistenza, basterebbe per assolvere la Guardia costiera da qualsiasi responsabilità? Perché non era stata effettuata almeno un’ispezione della nave (per motivi di sicurezza e identificazione) visto che non batteva alcuna bandiera? Perché l’operazione di soccorso è stata lanciata solo dopo il naufragio della nave?

Il portavoce della Guardia costiera ellenica non ha voluto rispondere alle domande dei giornalisti, limitandosi a citare un comunicato stampa emesso dalla Guardia costiera.

Solomon ha contattato anche l’UNHCR, il quale ha confermato di aver ricevuto la mail di cui sopra.

“Ieri pomeriggio [13 giugno, nda.] il nostro ufficio è stato infatti messo a conoscenza di un messaggio ricevuto da Watch the Med – Alarm Phone in cui si faceva riferimento ad una nave in pericolo a sud-ovest del Peloponneso con molte persone a bordo. Ne abbiamo immediatamente informato le autorità competenti della Grecia, chiedendo informazioni tempestive sul coordinamento di un’operazione di ricerca e soccorso per far sbarcare le persone in un luogo sicuro”.

L’agenzia Frontex ha risposto al messaggio di Alarm Phone con una email – di cui i giornalisti di Solomon hanno preso visione – affermando: “Si informa che Frontex ha immediatamente inoltrato il messaggio alle autorità greche”.

Il dovere di soccorrere

Nora Markard, professoressa di Diritto internazionale pubblico e dei diritti umani presso l’Università di Münster, sottolinea che la Guardia costiera ellenica sin dal primo momento avrebbe dovuto trattare l’incidente come un caso di nave in pericolo, mettendo in atto tutte le azioni necessarie per salvare le persone a bordo.

“La chiamata di soccorso ricevuta via Alarm Phone era un chiaro segnale di una situazione di pericolo. Una nave così palesemente sovraccarica è in pericolo appena lascia il porto, perché non è adatta alla navigazione, anche se magari per qualche tempo riesce a solcare i mari. Quando una nave è in pericolo, c’è il dovere di soccorrere, invece di stare a guardare”.

Secondo il diritto internazionale, una situazione di percolo in mare può essere definita tale quando sussiste la ragionevole certezza che un’imbarcazione o una persona sia minacciata da un pericolo grave e imminente e abbia bisogno di un’assistenza immediata.

“Simili situazioni richiedono una valutazione oggettiva. Se l’incolumità dei passeggeri è gravemente minacciata a causa delle condizioni della nave, quest’ultima è da considerarsi in pericolo, anche nel caso in cui il comandante, valutando male la situazione, dovesse affermare che la nave non è in difficoltà”, spiega Nora Markard.

Il diritto internazionale stabilisce inequivocabilmente che, una volta ricevute le informazioni “da qualsiasi fonte” riguardo a persone in pericolo in mare, il comandante di una nave capace di prestare soccorso è tenuto a “procedere con la massima celerità” e soccorre quelle persone.

Inoltre, il peschereccio affondato non batteva alcuna bandiera, quindi il mancato soccorso non può essere motivato nemmeno con il rispetto della sovranità dello stato di bandiera.

“Quando una nave non batte alcuna bandiera, come in questo caso, la legge del mare consente alle autorità di qualsiasi stato di avvicinarsi alla nave e di salire a bordo per effettuare dei controlli”, precisa la professoressa Markard.

Quindi, al di là della richiesta di soccorso, un eventuale intervento della Guardia costiera ellenica sarebbe stato legittimo anche per altri motivi.

“Tutte le navi e le autorità allertate da una richiesta di soccorso hanno il dovere di soccorrere, anche quando l’imbarcazione in pericolo non si trova nelle loro acque territoriali, ma in alto mare. Le zone di ricerca e salvataggio spesso includono acque situate in alto mare”, spiega Nora Markard, precisando poi che “se una situazione di pericolo si verifica in una zona di ricerca e salvataggio appartenente ad uno stato, quello stato è tenuto tra l’altro a coordinare le operazioni di soccorso, anche ordinando alle navi mercantili di prestare assistenza”.

“Un esempio da manuale di una nave in pericolo”

Un ex alto funzionario della Guardia costiera con una lunga esperienza alle spalle concorda con quanto affermato dagli esperti e solleva ulteriori interrogativi.

Interpellato dai giornalisti di Solomon, l’ex ufficiale – il quale ha richiesto l’anonimato – spiega che il peschereccio era chiaramente inadatto alla navigazione e che le persone a bordo erano in pericolo. Anche il presunto rifiuto di ricevere assistenza non poteva essere considerato un motivo valido per abbandonare l’imbarcazione a se stessa.

L’ex funzionario sottolinea inoltre che ci sono stati ritardi nelle risposte della Guardia costiera (“è stato perso tempo prezioso”), specificando che un eventuale rifiuto di ricevere soccorso sarebbe stato accettabile solo nel caso di una nave con documenti regolari, idonea alla navigazione e battente una bandiera. “Questo invece è un esempio da manuale di nave in pericolo”, conclude l’ex ufficiale.

Anche Nikos Spanos, ammiraglio in pensione della Guardia costiera ellenica, è dello stesso parere. In un’intervista rilasciata all’emittente pubblica greca ERT, Spanos ha commentato le affermazioni della Guardia costiera riguardo al presunto rifiuto dei soccorsi da parte delle persone a bordo.

“È come se [la Guardia costiera] volesse dire: ‘posso guardarti annegare e non fare nulla’. All’equipaggio di una nave in pericolo non si chiede se abbia bisogno di aiuto. Ha assolutamente bisogno di aiuto, a maggior ragione se la nave va alla deriva”.


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