Rodi è impregnata di italianità, eredità del periodo di occupazione del Dodecanneso: esempio ne è il quartiere di Neocori, realizzato sotto l'allora governo italiano e progettato da Florestano Di Fausto, noto come “l’architetto del Mediterraneo”
Caffè e kataifi con mandorle e miele. Aggiungendo poi un meraviglioso cielo azzurro e una frizzante aria fresca, direi che non poteva cominciare meglio la mia prima mattina a Rodi.
Dopo questa piacevole colazione vado al Mantrakiou, il vecchio porto, ideale punto d’arrivo di un mio viaggio a vela tra le isole del Dodecanneso, che non ho mai fatto. Sono seduto sotto alla colonna est, che porta il segnale verde, sulla breve diga che delimita l’ingresso, sul lato di terra. Qui, secondo la leggenda poggiava il piede sinistro del Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie dell’antichità. “Ma sopra tutto fu in maraviglia il colosso del Sole di Rodi, il quale fu fatto da Carete Lindio, discepolo del sopradetto Lisippo. Egli fu alto settanta cubitorum (oltre 30 metri). Questo simulacro dopo cinquantasei anni ruinò per terremoto, ma giacendo ancora è una meraviglia. Pochi possono abbracciare il suo dito grosso”. Così lo racconta Plinio il Vecchio nella Storia Naturale. Ma nel mio immaginario più vivida è l’immagine cinematografica di Sergio Leone, che intitolò “Il Colosso di Rodi”, uno dei suoi primi film, uscito nel 1961.
“Kalimera”, mi saluta un vecchio greco con un cappello nero da marinaio schiacciato in testa fin quasi agli occhi. Nero anche il lungo cappotto che refoli impertinenti di Maestrale cercano di aprirgli.
“Kalimera”, rispondo alzando gli occhi dal taccuino dove sto appuntando le impressioni di quelle prime ore rodiote.
“Italiano?”, mi chiede con inflessione veneziana.
“Sì! Piacere Fabio”
“Markos. Come il vostro viaggiatore. Ha scelto questo nome mia madre che lavorava in casa di un commerciante veneziano, ai tempi dell’occupazione”.
“Marco Polo, quindi”.
“No, Marko Iliadis, nato a Rodi nel 1933. A marzo ho compiuto 90 anni”.
“Complimenti”.
Markos si siede di fianco a me e mi racconta la sua Rodi italiana, quando partecipava al Sabato Fascista nella Piazza delle Cento Palme o Foro Italico, oggi Piazza 7 Marzo, imbandierata di tricolori. Erano giorni di festa, ma non dimentica e mi racconta anche i soprusi e le violenze subite dai rodioti in quegli anni, dopo l’arrivo del governatore Cesare Maria De Vecchi, voluto da Mussolini. Condizioni diventate poi drammatiche a partire dall’8 settembre 1943 quando con la firma dell’armistizio l’Italia divenne nemica della Germania e sull’isola si verificarono scontri tra i due eserciti, con la capitolazione italiana dopo qualche giorno. Seguirono mesi terribili, fino a quando Rodi fu liberata dagli inglesi nel maggio del 1945.
“Ero ancora un ragazzino, ma già da quell’estate incominciai a fare il pescatore, prima aiutando un amico di mio padre su un piccolo gozzo con cui uscivamo a remi, poi arruolato a bordo di uno dei primi motopescherecci, alla fine degli anni Quaranta”.
“Efcharistó ti thálassa, ringrazio il mare, per tutto quello che mi ha dato”.
Ci salutiamo con una vigorosa stretta di mano, quando la campana del vicino Campanile della Chiesa della Santa Annunciazione suona le 11. È la ex-chiesa cattolica di San Giovanni dei Cavalieri, costruita nel 1925, insieme ad altri edifici governativi nella Neocori, la città nuova realizzata sotto il governo italiano.
“La bandiera italiana sventola su 11 isole dell’Egeo”, titolava Il Giornale d’Italia, dell’11 maggio 1912, all’indomani della fine della guerra italo-turca e dell’occupazione italiana del Dodecanneso. Perciò sulle vecchie guide del Touring Club Italiano dedicate a Possedimenti e Colonie, si descrive una Città Italiana o Quartiere della Punta, esterna alla Città Murata, quest’ultima patrimonio dell’Unesco.
Neocori è stata progettata da Florestano Di Fausto, noto come “l’architetto del Mediterraneo”, chiamato sull’isola dal primo e più apprezzato governatore Mario Lago. A questo diplomatico ligure, rimasto in carica dal 1922 al 1936, si devono le politiche di sviluppo e rinnovamento del Dodecanneso, di cui si conservano ancora importanti testimonianze architettoniche, non solo nella città di Rodi. “Sorta nei brevi anni dell’occupazione nostra e specialmente negli ultimi … innestatasi felicemente con l’antica, in armonia architettonica e spirituale, è una superba, viva e simpaticissima città moderna, concepita con la visione di un grande immancabile avvenire”, si legge su “Possedimenti e colonie”, la Guida Rossa del Touring, pubblicata nel 1929.
Senza alcuna enfasi, e al contrario consapevole delle malefatte coloniali, devo comunque constatare che quelli italiani sono ancora oggi i più significativi palazzi del Novecento rodiota. Si va dal discutibile neogotico Palazzo del Governatore e dall’orientaleggiante Mercato Coperto, al monumentale Albergo delle Rose, fino ad arrivare al neorinascimentale Palazzo delle Poste, al razionalismo dell’ex-Banca d’Italia, del Palazzo di Giustizia, dell’ex-Casa del Fascio, della Chiesa di San Francesco, solo per citarne alcuni. Se quasi tutti sono stati riutilizzati e ben conservati, disarmante è invece la chiusura e l’incuria in cui m’appare il Teatro Giacomo Puccini, progettato da Armando Bernabiti e inaugurato nel 1937. In rete leggo di polemiche, appelli, promesse e progetti per il suo restauro, ma direi che di certo non verrà riaperto per il centenario della morte di Puccini che si celebra quest’anno.
Seduto sul marciapiede, davanti all’ingresso, m’ascolto dallo smartphone Maria Callas che canta l’aria più famosa di Madame Butterfly, “Un bel dì, vedremo / levarsi un fil di fumo / sull'estremo confin del mare”, sognando di tornare a vela sull’isola e magari ritrovare il gran teatro aperto.
Ps
Prima di diventare il re dello spaghetti-western un giovane Sergio Leone si dedicò al peplum, genere cinematografico in cui la spada sostituiva la colt, l’elmo lo stetson, la biga la carrozza. Film insomma dedicati all’età greca e romana, rivisitata in chiave hollywoodiana e romanesca. A questo genere è ascrivibile Il Colosso di Rodi diretto da quello che diventerà un grande regista italiano, uscito nelle sale nel 1961, girato in Supertotalscoope, con Rory Calhoun e Lea Massari. Lì il Colosso ci appare nel 208 a.C. come un enorme giovane dio in bronzo, con le gambe larghe e i piedi appoggiati all’estremità dei due moli. Perciò le navi per entrare e uscire gli devono passare sotto. Tiene tra le due mani un braciere che ha sia funzione di segnalamento che difensiva, visto che si può aprire, facendo cadere il fuoco sulle navi nemiche che tentano di entrare o uscire dal porto. Nel dialogo d’apertura, al suo cospetto i due protagonisti l’ammirano in un gran squillar di trombe. “È un’opera straordinaria Lisippo”, “Eh sì!”, “Sembra modellata da un dio”.
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