Scogliere di Kallithea - Foto F. Fiori

Scogliere di Kallithea - Foto F. Fiori

"Quella bicicletta che ci fa tornare bambini, perché le gambe s’infiammano e il vento c’investe, perché le fantasie s’accendono e il paesaggio s’anima. Pedalando la strada si trasforma in una pellicola e noi diventiamo protagonisti di un film sempre nuovo. Un film ambientato a Rodi". Ultima tappa del viaggio di Fabio Fiori sull'isola greca

23/08/2024 -  Fabio Fiori

“L’ondeggiante e pacifica andatura dei muli è il veicolo ideale per inoltrarsi nella campagna assolata” dell’isola di Rodi, racconta la voce fuori campo di un documentario dell’Istituto Luce, degli anni Trenta del Novecento.

Un invito che mi permetto di aggiornare, dopo aver percorso 500 chilometri in bici su strade minori, suggerendo di salire in sella al ferreo corsier. Quella bicicletta che ci fa tornare bambini, perché le gambe s’infiammano e il vento c’investe, perché le fantasie s’accendono e il paesaggio s’anima. Pedalando la strada si trasforma in una pellicola e noi diventiamo protagonisti di un film sempre nuovo. Un film ambientato a Rodi, l’isola dei cavalieri che oggi non stanno in sella a destrieri e non guerreggiano, ma preferiscono pedalare liberi e pacifici, zingareschi e curiosi.

Quest’ultimo episodio è dedicato alle rovine e al pittoresco, che secondo John Ruskin, con riferimento al paesaggio, esprime la sua bellezza in modo imprevedibile e inaspettato, anche per chi l’ha modificato o realizzato. Un pittoresco delle rovine classiche che ha folgorato Goethe e centinaia di artisti del Grand Tour; un pittoresco dei sobborghi che in tempi più recenti ha narrato Orhan Pamuk in quell’autobiografia di sé e del suo grembo urbano, cioè di e in Istanbul.

Oggi, in questa ventosa e umida mattina d’aprile, le mie rovine sono quelle di Kamiros, una delle tre antiche città di Rodi. Tappa necessaria per evocare la grandezza dell’isola, che precede addirittura l’arrivo dei micenei. Sono al parco archeologico mezz’ora prima dell’apertura dei cancelli, così che all’ombra dell’albero sacro dell’isola, il melograno, ho il tempo di leggere qualche poesia dei lirici greci. “Io sento primavera / che s’avvicina coi suoi fiori: / versatemi presto una tazza di vino dolcissimo”, scrive Salvatore Quasimodo, restituendo luce nuova, italica, ad Alceo.

“Tycherós!”, fortunato! sei il primo oggi, mi dice entrando un anziano custode. Una fortuna che mi godo in una lunga, silenziosa passeggiata tra le vestigia di Kamiros, la più occidentale delle tre città delle origini rodie, insieme a Ialos e Lindos. Città d’impianto pre-miceneo, poi riorganizzata nell’VIII secolo a.C. su un pianoro alto, l’acropoli su cui venne costruito un grande Tempio di Atena. Qui, seduto sui suoi gradoni, vedo la città bassa costruita secoli dopo, con il suo viale principale e ciò che rimane di abitazioni, templi, teatri e piazze. Nell’orizzonte nordoccidentale, appare un grandioso Egeo spumeggiante. Vento teso, Maestrale, sole che va e che viene tra nuvole indefinite, vapori densi e alti. A nord la vista si chiude sul profilo dell’Isola di Simi e della penisola marmarica che sembra volerla raggiungere. Viste di qui, nella foschia salsa del Maestrale, appaiono come coste selvagge e remote.

Kamiros - Foto F. Fiori

Kamiros - Foto F. Fiori

“Chissà se un giorno le raggiungerò? magari a vela”, mi chiedo trasognato. Ma in lontananza vedo adesso entrare i primi due gruppi di turisti, che rompono l’incanto. Turismo! fortuna e disgrazia di quest’isola come ormai di ogni luogo, più o meno interessante, della Terra.

In Italia è di questi giorni (aprile 2023) l’ennesima polemica sull’assalto pasquale alle Cinque Terre, di cui ho letto articoli sui giornali e ascoltato programmi radiofonici. Del resto chi sono io? Chi siamo noi che ci crediamo o sogniamo viaggiatori? Ma ha più un senso la distinzione? Considerando che prendo gli stessi aerei o treni, dormo spesso negli stessi B&B, mangio nelle stesse taverne. Sono diverso? Sì, mi dico senza convinzione. Io qui viaggio da solo in bici… ma è sufficiente per marcare la differenza? E poi perché la mia dovrebbe essere una pratica giustificabile, se non nobile e degna d’essere raccontata e quella di quest’anziana signora che m’ha raggiunto, con lineamenti asiatici, vestito e ombrellino rosa, presa più dal suo smartphone che dalle rovine, non dovrebbe esserlo? Perché sono più attento a tempi, luoghi e modi di viaggiare, mi dico ancora poco convinto.

Sono invece certo che il turismo è la poppizzazione di un istinto umano inconscio e irrefrenabile, malgrado la cannibalizzazione consumistica degli ultimi decenni. “Che ci faccio io qui?”, prendendo a prestito il titolo di un libro di Bruce Chatwin. Non lo so esattamente, ma l’aria s’è fatta più tiepida, il Maestrale continua a soffiare forte, il cielo, il mare, la strada mi chiamano. Riparto inesausto… a proposito di dromomania. M’aspettano gli ultimi cinquanta chilometri, con 700-800 metri di dislivello, perché voglio attraversare ancora l’isola da ovest a est, per poi tornare a Rodi.

Tappa sulla vetta del colle che sovrasta il villaggio di Psinthos, a metà strada tra le coste ovest ed est, lì dove in questo periodo s’intrecciano corone di gialli fiori selvatici. Scendo poi al villaggio e mi concedo una breve pausa per un’insalata, sei dolmades e una birra ghiacciata, nella taverna che sta all’ombra dei rami ancora spogli di un platano centenario, nella piazza o per meglio dire nel quadrivio, con un’atmosfera tra la Grecia e il West!

Riparto allegro, con negli auricolari la voce di Thanasis cantautore greco di culto che mi ha suggerito l’amico Paolo, gravemente affetto da grecitudine, musicale e non solo. “Áinte ekeí makriá, makriá stin Androméda, Vai lì lontano, molto lontano, ad Andromeda”.

Non riuscirò a raggiungerla, ma troverò comunque piaceri inaspettati sulle scogliere di Kallithea, non di terra e di fuoco, ma d’acqua e sale. Calitea in italiano, letteralmente “bel vedere” in greco.

L’aria nel tardo pomeriggio è già fresca ma la luce diamantina che riflette un mare cristallino è un’irresistibile attrazione per un ultimo tuffo e un’ultima nuotata. Esco dall’acqua e m’asciugo all’aria, per conservare questo sale, per profumarmi di questo mare, per ricordarmi della mia Venere Marina. “Vieni a me anche ora; / liberami dai tormenti, / avvenga ciò che l’anima mia vuole: / aiutami, Afrodite rodia”.

Quando risalgo in sella il sole è già tramontato dietro alle colline. Rodi stasera m’attende come una madre per raccontarmi un’ultima favola tra le sue mura antiche. Rodi m’attenderà ancora, come un amante per regalarmi il sapore dolceagro delle sue melagrane.

PS

Rodi, prodotto negli anni Trenta, fa parte di una serie di documentari intitolata In giro per il mondo, con taglio turistico e propagandistico, prodotti dall’Istituto Luce. La città e il porto di Rodi, si vedono all’inizio dall’aereo che all’epoca era pionieristico e mirabolante. “Per le vie dell’aria verso l’Isola delle Rose” si racconta all’inizio di questo montaggio di panorami, monumenti, usi e costumi dell’isola, che fu dei Cavalieri dell’Ordine Gerolosimitano.


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