Spesso scriviamo di film che poi non girano - purtroppo - nelle sale italiane. Questa volta non è così. In questa primavera in Italia "L'appuntamento" della macedone Teona Strugar Mitevska e “Klondike” dell’ucraina Maryna Er Gorbach
Il più importante film dell’ex Jugoslavia dell’anno e il più importante dall’Ucraina. Uno arriva nelle sale per Pasqua, da giovedì, l’altro è uscito da poche settimane passando quasi inosservato, ma meritevole di un recupero. Non hanno legami diretti le due pellicole, eppure entrambe parlano delle guerre e di come chi spara e chi è vittima possono essere vicini o tornare a incrociare le loro strade.
Uno è “L’appuntamento” (noto internazionalmente con il titolo “The Happiest Man in the World”) della macedone Teona Strugar Mitevska, presentato alla 79° Mostra del cinema di Venezia nella sezione parallela Orizzonti, poi candidato all’Oscar per la Macedonia del nord.
La regista ha all’attivo una carriera ventennale e titoli che hanno circolato molto nei festival come “How I Killed the Saint”, “I'm from Titov Veles” e “The Woman Who Brushed Off Her Tears”, nota soprattutto per “Dio è donna e si chiama Petrunya” del 2019.
Quanto il precedente era un travolgente film di pancia, “L’appuntamento” è un film prima di tutto di testa, che poi scende al cuore: forse a un primo impatto colpisce meno rispetto a “Petrunya” ma poi resta dentro lo spettatore. Lo spunto viene da un episodio autobiografico della sceneggiatrice Elma Tataragić, una delle protagoniste del cinema bosniaco recente, già collaboratrice di Aida Begić e della stessa Strugar Mitevska nonché selezionatrice del Sarajevo Film Festival: giovane studentessa durante l’assedio della sua città, fu colpita da un cecchino e ferita.
Il film narra di Asja, consulente aziendale di 45 anni, che si presenta a uno speed date in un grande albergo d’epoca jugoslava chiamato “Tocco della felicità”. All’inizio si introducono tutti i partecipanti, di età diverse e diverse estrazioni sociali come si può velocemente cogliere dall’abbigliamento. Tra questi la protagonista è l’unica a sapere già chi incontrerà, avendo avuto un precedente contatto via internet con Zoran, un bancario quasi coetaneo che aveva combattuto la guerra con i serbo-bosniaci. Ed era stato il cecchino che l’aveva ferita alla schiena l’1 gennaio 1993. Asja non lo immagina, ma Zoran lo ricorda benissimo: aveva 18 anni e altri piani e fu mandato a sparare, gli dissero che era “una fighetta” se non l’avesse fatto, fu il suo diventare uomo. Faccia a faccia, i due dovranno fare i conti con il passato e con il trauma della guerra, ancora ben presente, come dimostrano anche le risposte degli altri convenuti, alle domande dei test preparati dall’organizzazione. Un film che colpisce per l’acutezza e per la precisione della scrittura e dello sguardo, oltre che per le interpretazioni convincenti della protagonista Jelena Kordić Kuret - spesso ripresa in primi piani molto stretti a rendere le lacerazioni del personaggio -, e di Adnan Omerović, Labina Mitevska e Ksenija Marinković. Rivelatrice, sebbene straniante, è la parte della festa che permette alla protagonista un riappropriarsi, un riconciliarsi con sé stessa ragazza e prepararsi ad andare avanti, anche se restano nuvole scure su Sarajevo.
Già premio del pubblico della sezione Panorama del Festival di Berlino nel 2022, e a sua volta candidato all’Oscar per il miglior film internazionale, è “Klondike” dell’ucraina Maryna Er Gorbach. Ispirato a una storia vera, si svolge nel villaggio di Hrabove, nell’Ucraina orientale, a partire dal 17 luglio 2014. Data e luogo non sono casuali perché là l’aereo malese del volo Malaysia Airlines 17 venne abbattuto secondo le indagini da un missile delle forze separatiste del Donesk. Un lungo dialogo notturno tra Tolik e la moglie Irka, che è incinta, precede l’esplosione che squarcia un muro della loro casa. A questo punto verrebbe subito in mente un altro film recentissimo, il siriano “Nezouh – il buco nel cielo”, ambientato in una Damasco sotto i bombardamenti e che ha il tono della favola. In “Klondike” non c’è nessuna favola, siamo tra realtà e incubo, all’inizio di un dramma tra case isolate in una campagna senza fine dove non si vede nessuno se non qualche soldato dall’appartenenza non dichiarata. La donna ce l’ha con i separatisti, mentre il marito ha amici come Sanya tra i filorussi e non sa dirgli di no, a costo di sacrificarsi. Intanto alla televisione le notizie sull’abbattimento del Boeing si alternano alla partita di calcio Shakhtar – Dinamo Kiev. “Klondike” è un film che ricorda un po’ i film bosniaci degli anni 2000 e ancor più i georgiani, perché qui l’assurdo e soprattutto il dramma lasciano pochissimo spazio al comico. Su tutto grava un’atmosfera allucinata, acuita dalle panoramiche circolari della macchina da presa dentro la casa. Altrettanto insistiti i primi piani sul volto di Irka. La pellicola, evitando di cadere nei didascalismi ma restando su un piano quasi astratto, rende bene cosa significhi avere la guerra in casa. È stata presentata a Berlino proprio nei giorni dell’attacco aperto di Putin, di cui “Klondike” rappresenta un frammento del lungo preambolo.
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