Di questi giorni la vicenda di Leonarda, ragazza rom espulsa dalla Francia, è finita sui principali media internazionali. Ma verso dove "ritornano" i rom espulsi dal fortino Europa? Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Risale al 17 ottobre scorso la notizia di una protesta studentesca che vede coinvolti numerosi studenti parigini nell’occupazione di più di trenta licei della capitale francese. Migliaia di essi hanno partecipato a un corteo di protesta verso il ministero dell’Interno. Causa scatenante l’espulsione di Leonarda, giovane rom kosovara, prelevata a forza dalla polizia davanti ai propri compagni di classe durante una gita, per poi essere immediatamente rimpatriata in Kosovo insieme ai genitori e ad altri cinque fratelli.
Il ministro dell’Interno Manuel Valls ha commentato l’accaduto difendendo il proprio operato, e argomentando in favore delle leggi vigenti in Francia in materia di immigrazione.
Di primo acchito, questa notizia suggerisce un imbarazzante parallelismo con quanto accaduto, e ancora accade, sulle coste di Lampedusa e con la reazione che tali avvenimenti hanno suscitato nella coscienza pubblica italiana. Se l’indignazione e la vergogna – sentimenti ormai auto-assolutori, specie in politica – sono reazioni comuni e condivise nei confronti di procedure a dir poco draconiane, l’Italia non ha purtroppo visto una mobilitazione tanto repentina da parte di quella società civile (gli studenti, in questo caso).
Si potrebbe cinicamente suggerire che la mobilitazione della società civile italiana su questi temi - caratterizzata da rivendicazioni assai deboli e povera di proposte che guardino oltre l’abolizione (sacrosanta) del reato d’immigrazione clandestina - sia lo specchio di una comunità in frantumi.
Eppure, anche un governo “socialista” di una repubblica “illuminata” ha commesso in questo caso lo stesso errore: un pressappochismo politico e culturale, purtroppo comune alle democrazie europee che si vedono impegnate in quella mission impossible che è il controllo dei flussi migratori.
Il ministro Valls si è più volte mostrato preoccupato dalla questione Rom, arrivando a sostenere che i circa ventimila presenti sul suolo francese andrebbero espulsi poiché particolarmente restii a qualsiasi tipo di integrazione. Sembra inoltre che il motivo di questa recente espulsione sia in parte legato al carattere violento del capofamiglia, già segnalato alle autorità francesi dalla famiglia stessa di Leonarda.
Il difficile ritorno
Trovo necessaria, a partire da quest’ultimo elemento un’ulteriore riflessione sulle conseguenze sociali e politiche di tali misure.
Il Kosovo è impegnato da qualche anno in una difficile e ben poco efficace lotta nei confronti della violenza domestica. Da un punto di vista sia culturale che legislativo, la violenza domestica stenta ancora a venire considerata reato, e il numero di denunce (circa un migliaio all’anno) è ben poco rappresentativo dell’effettiva entità del problema.
Nelle zone rurali, e nelle sacche di marginalità alle quali specialmente le famiglie rom sono costrette, tali episodi vengono raramente segnalati alle autorità, e difficilmente ricevono una risposta efficace sul lungo periodo.
I centri di assistenza per donne vittime di abuso sono soltanto sette, con un’operatività purtroppo limitata. Non riescono ad avere una copertura capillare sul territorio, e spesso faticano a raggiungere le componenti più emarginate della popolazione – per lo più famiglie rom e di altre minoranze etniche rurali e suburbane.Quand’anche le vittime riuscissero ad avere accesso alla protezione e assistenza offerte da questi centri, il rischio del loro ritorno all’ambiente violento dal quale sono fuggite rimane altissimo. Non esiste infatti un serio programma di inserimento nel mondo del lavoro – in un paese in cui la disoccupazione femminile risulta al 40%, e quella giovanile supera il 55% - e la mancanza di indipendenza economica riporta inevitabilmente le vittime al contesto sociale dal quale hanno cercato di distanziarsi.
Come osserva uno studio dell’UNICEF, dei bambini di etnia rom e ashkali rimpatriati in Kosovo nel 2010, solo uno su quattro frequentava la scuola dell’obbligo. Numerosi procedimenti legali sono stati avviati nei confronti del ministero dell’Educazione, in seguito alla discriminazione ed esclusione di bambini e studenti rom dalla scuola primaria e secondaria.
Infine, non esistono in Kosovo strutture o programmi volti a offrire un supporto sociale e psicologico nei confronti dei rifugiati rimpatriati in Kosovo. In particolare, si riscontrano numerosi episodi di disturbo fisico e mentale tra quei bambini che si ritrovano a un tratto rispediti nella propria terra d’origine, con la quale tuttavia non hanno avuto, fino a quel momento, alcun contatto.
Fortino Europa
Tenendo presente quanto riportato, l’espulsione di Leonarda lascia quindi spazio a una duplice considerazione. Se confidiamo nella sostanziale buona fede del ministro Valls, che sta “solo applicando la legge vigente” (a questo punto, chiunque avesse letto Hannah Arendt verrebbe scosso da un brivido lungo la schiena), possiamo immaginare che il ministro, semplicemente, non sia a conoscenza della situazione dei rom in territorio kosovaro.
Questo, allora, mostra la feroce efficacia della linea Frontex nel rendere l’Europa politicamente e culturalmente impermeabile a ciò che avviene negli stati immediatamente al di là di un muro istituzionale e burocratico. Un’Europa claustrofobica e sorda, eppure strenuamente impegnata nella standardizzazione democratica dei paesi limitrofi, primariamente di area balcanica. E' nostra responsabilità fronteggiare e reagire alle problematiche che emergono soltanto al di qua di un immaginario, arbitrario e mobile confine.
Se così fosse, allora il processo di espansione dell’Unione verso Est - già avviato con l’ingresso della Croazia - può considerarsi fallito in partenza.
Se invece ci atteniamo alle precedenti dichiarazioni del ministro Valls - da tempo promotore dello sgombero forzato dei campi e dell’espulsione dei rom francesi “oltre i confini” poiché “non esiste altra soluzione” – si può allora considerare il rischio di una mentalità politica che ancora fa riferimento al concetto di Stato-Nazione.
I rom vanno rispediti verso il loro territorio di provenienza (lo Stato) e di conseguenza verso una società e una cultura (la Nazione) che necessariamente li rappresentano, poiché inestricabilmente legate al territorio da cui sono scaturite. L’appartenenza alla comunità civile, e l’appartenenza allo stato istituzionale devono, necessariamente, coincidere. E questa impalcatura, questo costrutto sociale va imposto e rispettato da chiunque voglia muoversi all’interno di esso.
E' forse un caso che siano proprio i rom, una comunità le cui radici scardinano questa identità tra Stato e Nazione, ad essere le principali vittime di tale ossessione?
Gli stati europei sono ancora alla ricerca di una chimera, l’omogeneità tra il cittadino e il membro della comunità nazionale. Finché gli esponenti politici europei saranno impegnati in questa lotta contro i mulini a vento, i diritti civili dell’individuo verranno, inesorabilmente, confinati a spazi sempre più ristretti.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!