Boban Batričević © Vijesti

Boban Batričević © Vijesti

Torna in Montenegro il verbalni delikt, il famigerato reato d'opinione del codice penale jugoslavo? C'è chi se lo chiede, dopo l'apertura di controverse procedure giudiziarie contro lo storico Boban Batrićević e il giornalista Miljan Vešović

26/02/2024 -  Vukašin Obradović Podgorica

In un suo articolo pubblicato nell’agosto dello scorso anno, intitolato Torokanje po Metodologiju i Đaonikiju [Lo sproloquio secondo Metodologije e Đaonikije] – l’allusione è ai due dignitari della Chiesa ortodossa serba (SPC), il vescovo di Budimlja e Nikšić Metodije Ostojić e il metropolita del Montenegro e del litorale Amfilohije Mićović – lo storico Boban Batrićević muove una dura critica all’operato della “Chiesa della Serbia”, termine con cui una parte dell’opinione pubblica montenegrina indica la Chiesa ortodossa serba (SPC).

“In Montenegro, i sacerdoti della Chiesa della Serbia non predicano la fede di Cristo. Sproloquiano sul nazionalismo serbo. Indottrinano. Diffondono odio e xenofobia. Quindi, non sono preti e monaci, bensì ciarloni e predicatori dell’odio”, scrive Batrićević, sintetizzando in poche frasi il suo atteggiamento nei confronti della SPC.

L’intero articolo ruota attorno ad alcune dichiarazioni di Metodije e Joanikije, citate e commentate dal professor Batrićević, il quale accusa i due dignitari ecclesiastici di aver glorificato Draža Mihailović, leader del movimento cetnico durante la Seconda guerra mondiale, condannato a morte per crimini di guerra e collaborazionismo con la Germania nazista.

Nel suo editoriale, Batrićević solleva tre domande. I sacerdoti in questione diffondono l’amore e il perdono come principi fondamentali del cristianesimo? Invitano alla pace? Glorificano o condannano i criminali? Citando le affermazioni di Metodije e Joanikije, l’autore giunge alla conclusione che “i sacerdoti della 'Chiesa della Serbia' hanno una sola missione – avvelenare il Montenegro, sputare sulla sua storia e inviare messaggi inquietanti alla popolazione non serba del paese".

Questo commento, simile a tanti altri che compaiono nei media del cosiddetto "blocco sovranista" indipendentista e filo-occidentale, probabilmente non avrebbe suscitato grande interesse – considerando che nella sfera pubblica montenegrina si possono sentire opinioni molto più critiche nei confronti della Chiesa ortodossa serba – se nell’ottobre dello scorso anno Dejan Dragović, avvocato vicino alla SPC, non avesse sporto denuncia contro Batrićević.

La procuratrice Snežana Šišović aveva inizialmente stabilito che l’articolo oggetto di polemica non conteneva elementi costitutivi del reato denunciato, chiedendo però che contro Batrićević venisse avviata un’indagine per sospetta violazione della legge sull’ordine e la quiete pubblica. Accusato dalla procura di oltraggio sulla base dell’appartenenza religiosa, Batrićević rischia una sanzione amministrativa o la reclusione fino a sessanta giorni.

La decisione della procura ha suscitato forti reazioni della società civile: circa duemila cittadini hanno firmato una petizione contro “la persecuzione” nei confronti di Batrićević, e lo scorso 22 gennaio, in occasione della prima udienza, alcune centinaia di persone si sono riunite davanti al tribunale di Podgorica per esprimere il loro sostegno al professore universitario.

“La nostra missione è quella di trasformare il Montenegro in un paese dove ognuno possa professare liberamente la propria fede. Ma se loro [i serbi del Montenegro] hanno già il diritto di professare la loro fede, allora possono anche accettare le critiche sul conto dei loro leader, che quotidianamente diffondono messaggi d’odio”, ha affermato Batrićević al termine dell’udienza.

Il processo è stato rinviato al 26 marzo perché il tribunale ha bisogno di tempo per analizzare la difesa presentata di Batrićević, un documento di circa trenta pagine.

All’inizio di febbraio, nel bel mezzo della bufera sul processo contro Batrićević, la procura di Podgorica ha deciso di aprire un fascicolo sulla base di una segnalazione del portale filoserbo Borba.

Borba ha chiesto alla procura ci fossero i presupposti per avviare un’azione penale contro Darko Šuković, caporedattore del portale Antena M, e Miljan Vešović, autore di un articolo intitolato Kako počinje građanski sukob u Crnoj Gori? [Come inizia il conflitto civile in Montenegro?], per presunto incitamento all’odio nel testo in questione.

Analizzando l’attuale situazione in Montenegro, Vešović giunge alla conclusione che “il Montenegro, nella migliore delle ipotesi, diventerà l’Irlanda del Nord del periodo 1969-1998, e nella peggiore il Libano del periodo 1975-1990”.

“Quando il presidente russo Putin e il presidente serbo Vučić alla fine decideranno di attuare il piano per destabilizzare gravemente il Montenegro, paese membro della NATO, e di scatenare così un nuovo conflitto nei Balcani occidentali, lo faranno in pochi mesi”, scrive Vešović, accusando le forze filoserbe e filorusse di essere i principali protagonisti di una possibile destabilizzazione del Montenegro.

Tuttavia, alla fine dell’articolo Vešović sottolinea che “quello descritto è uno scenario ipotetico, quindi non deve per forza accadere e può essere evitato. Ciò che però suscita forte preoccupazione è il fatto che anche gli attori ben intenzionati della scena politica montenegrina (al governo e all’opposizione), così come i nostri alleati occidentali, non possono nemmeno immaginare quanto siamo vicini a questo scenario”.

La decisione della procura di aprire un fascicolo contro Vešović ha scatenato un’ondata di reazioni, perlopiù negative, nell’opinione pubblica montenegrina. Secondo l’ong Montenegro International, nel suo articolo Vešović ha semplicemente “detto ad alta voce quello che in Montenegro ‘si tace devotamente’”.

Sulla scorta delle forti reazioni dell’opinione pubblica, la procura di Podgorica ha deciso che nel caso di Vešović “non sussistono elementi per avviare un’azione penale per qualsiasi reato perseguibile d’ufficio”.

Al momento è difficile prevedere l’esito del processo contro il professor Batrićević. Non ci resta che sperare che questi due casi non siano altro che incidenti isolati, ossia esempi di uno zelo eccessivo di alcuni funzionari della procura, e che non portino alla reintroduzione del verbalni delikt [famigerato reato d’opinione, previsto dal codice penale dell’ex Jugoslavia, che in realtà puniva chi criticava il regime].


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