Si è concluso il 13 agosto scorso il 64° Film festival di Locano. Il Pardo d’oro è andato all’Argentina. Molto bene però i film romeni, tra cui spicca “Best intentions” di Adrian Sitaru. Assolutamente da vedere anche “The Loneliest Planet” ambientato in Georgia e l’evocativo “1395 Days without Red” di Šejla Kamerić
Il 64° Pardo d’oro del Festival di Locarno è andato all’Argentina, ad “Abrir puertas y ventanas” dell’esordiente Milagros Mumenthaler, ma due sono stati anche i premi alla Romania. Entrambi a “Din dragoste cu cele mai bune intentii – Best Intentions” di Adrian Sitaru, per la regia e per il miglior interprete maschile, Bogdan Dumitrache, mentre è rimasta a mani vuote la cruda e forte animazione “Crulic – Drumul spre dincolo (Crulic – The Path to Beyond)” dell’altra romena in concorso, Anca Damian. Ancora una volta quindi il cinema romeno si conferma vivace e apprezzato dal pubblico e dalla critica.
Il festival ha chiuso con un bilancio ottimo sotto tutti i punti di vista, soprattutto grazie alla programmazione in Piazza Grande, la retrospettiva Vincente Minnelli, le sezioni collaterali e i tanti premi. In un concorso invece di alti e bassi il film sudamericano ha ottenuto due riconoscimenti. Oltre al già citato Pardo d’oro come miglior film è stata premiata come migliore attrice (oltre al premio Fipresci della critica) Maria Canale, una delle tre giovani sorelle di "Abrir puertas y ventanas". C’è stato anche un Pardo italiano, nei Cineasti del presente, con “L’estate di Giacomo”, primo film di Alessandro Comodin. Un’opera fresca e fuori dai canoni, storia di un ragazzo sordo (Giacomo Zulian) che compie con un’amica delle gite sul fiume. Gli occhi del protagonista non si dimenticano e il regista ha saputo catturare i sentimenti cangianti dei giovani e la natura aspra e magica del Tagliamento.
“Best Intentions”
Può essere persino fastidioso e irritante vedere “Best Intentions”, tanto è realistica l’ansia, quasi la paranoia del protagonista. È la vicenda autobiografica di un trentacinquenne alle prese con un malore della madre e al suo ricovero in ospedale. Alex (Dumitrache, molto bravo nel rendere gli eccessi del personaggio) è emotivo e nevrotico, agitato perché la donna (Nataša Raab) ha perso la memoria e potrebbe aver riportato danni cerebrali permanenti. Il giovane si muove in continuazione, è sempre al telefono (anche con la fidanzata, Alina Grigore, che ha lasciato a Bucarest), vuole incontrare i medici, progetta di trasportarla in altre città dove gli ospedali sarebbero più organizzati. Intorno a loro si muovono medici, malati (come la vicina che indossa una maschera di coniglio per coprire il volto deturpato), accadono situazioni impreviste, bizzarre e misteriose.
Le migliori intenzioni del titolo appartengono al protagonista, che si sforza di mantenere i nervi saldi, essere premuroso, prendere le giuste decisioni ma che finisce sempre a combinare qualche guaio o fare cose controproducenti. Da lodare le arrischiate scelte registiche di filmare molte scene dal punto di vista degli interlocutori di Alex, come se lo stessimo guardando negli occhi e facendo in modo che il giovane parli rivolto alla macchina da presa. E ci sono due sequenze, nelle quali la macchina da presa (quasi sempre a mano) compie dei movimenti innaturali che sembrano suggerire la presenza di qualcosa di incorporeo. Ogni scelta stilistica è però pertinente a quel che Sitaru (già autore dell’ottimo “Hooked”) voleva trasmettere. Una sorta di rito di passaggio all’età adulta per il giovane protagonista che da un giorno all’altro si trova a doversi prendere cura dei genitori. Dumitrache ha già recitato ne “La morte dei signor Lazarescu”, “Come ho trascorso la fine del mondo”, “Portretul luptatorului la tinerete - Portrait of the Fighter as a Young Man” e nel recente “Loverboy”.
“Crulic”
Ispirato a una storia vera è “Crulic” di Anca Damian, che avrebbe meritato un premio, anche il maggiore del festival, per la capacità di emozionare e denunciare. È la storia di un trentatreenne romeno che, in Polonia per visitare la madre, è ingiustamente accusato di furto e incarcerato. Inizia con il racconto, anche autoironico, da parte del protagonista (che ha la voce di Vlad Ivanov) che poco dopo si scopre essere già morto. Dai pochi oggetti lasciati, dal viaggio in furgone per riportarlo in patria si rimettono insieme i tasselli del caso. E si segue la sua vita, tra un’animazione semplice ed essenziale ed efficace e l’uso appropriato di fotografie (100) appartenenti al vero Crulic. L’11 luglio 2007 un importante giudice di Cracovia scopre di essere stato derubato di 500 euro dal conto corrente attraverso carte di credito rubate. Il 10 settembre viene accusato e incarcerato il giovane romeno, che inizia uno sciopero della fame di protesta. Solo qualche settimana più tardi Crulic ricorda di essere già in Italia dalla fidanzata il giorno del furto, ma non viene creduto. Mentre il caso giudiziario prosegue senza soluzione, l’accusato si aggrava e quando, all’inizio del 2008, è scarcerato è troppo tardi: morirà solo 16 ore più tardi.
“The Loneliest Planet”
Senza premi pure il bel “The Loneliest Planet” dell’americana nata in Russia Julia Loktev, ambientato in Georgia. Una coppia di fidanzati, Nica americana (la rossa Hani Furstenberg), Alex messicano (l’affermato Gael Garcia Bernal), in viaggio tra le montagne poco prima di sposarsi. La Loktev, che con il lungometraggio d’esordio “Day Night Day Night” (2006) era stata a Cannes, ha convinto con una storia dallo stile forte, i tempi lunghi, i dialoghi anche surreali ed evitando le spiegazioni. I fidanzati camminano sulle montagne in compagnia di una guida locale (Bidzina Gujabidze, il più importante alpinista georgiano), si arrampicano, guadano torrenti, ammirano paesaggi aspri e bellissimi, ma fanno anche un incontro con misteriosi briganti che cambia la loro relazione: basta la reazione di Alex, che per un istante si fa scudo della ragazza, prima di riflettere e proteggerla, per modificare il loro rapporto.
“1395 Days without Red”
Tra le proiezioni speciali è stato inserito l’evocativo “1395 Days without Red” di Šejla Kamerić, nato dalla collaborazione con l’inglese Anri Sala. Una “ricostruzione” dell'assedio di Sarajevo tra videoarte e teatro sperimentale rimettendo tanti sarajevesi nella condizione di dover attraversare strade deserte sotto il tiro dei cecchini. Il rosso del titolo è quello dei semafori: gli attraversamenti stradali erano uno dei momenti più rischiosi della vita quotidiana. Così la regista segue una musicista che cerca di raggiungere, nonostante questi ostacoli, l’Orchestra Filarmonica che sta provando la Patetica di Chaikovskij.
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