Migliaia di ore di girato della Televisione di stato rumena. E poi un'opera minuziosa di selezione e montaggio. Andrei Ujica, a Cannes, racconta la storia di un dittatore e di un popolo. Non solo. "Autobiografia di Nicolae Ceausescu" è infatti un vero e proprio saggio sulla propaganda politica e sull'autoritarismo
Il cinema romeno colpisce ancora. Il documentario “Autobiografia lui Nicolae Ceausescu - Autobiografia di Nicolae Ceausescu” di Andrei Ujica, presentato fuori concorso al Festival di Cannes, è stato all’altezza delle aspettative e risulta una delle opere migliori viste nella prima settimana della manifestazione. Un’edizione, la 63°, c’è da dire un po’ in sotto tono e con poche cose memorabili.
Il lavoro di Ujica, che non fa parte del gruppo di Cristi Puiu, Cristian Mungiu e gli altri, è un documentario di tre ore molto particolare e inquietante. Si parte dalle immagini notissime del dittatore comunista davanti al tribunale nel dicembre 1989. Affiancato dalla moglie, Ceausescu ripete di non voler rispondere. Poi si va indietro al 1964 quando divenne segretario del partito.
Il regista ha usato solo riprese della televisione nazionale, non ha aggiunto commenti o spiegazioni e nemmeno didascalie con nomi e date, ne esce l’immagine che Ceausescu voleva mostrare di sè. Tutto esce come se fosse un ricordo, i fotogrammi neri tra un episodio e l’altro danno l’idea delle cose che gli possono essere tornate alla mente davanti agli accusatori, come se affermare ciò che ha fatto o crede di aver fatto fosse la vera difesa.
La scelta del regista è lasciare solo i discorsi ufficiali e in alcuni momenti togliere del tutto il sonoro. Un gran lavoro e un gran film, con l’unico limite di essere comprensibile pienamente solo a chi possiede una conoscenza almeno sommaria della storia romena ed è abbastanza a suo agio con i volti dei politici internazionali dell’ultimo mezzo secolo.
I ricordi partono dal 1965, dalla morte del suo méntore Gheorghe Gheorgiu Dej che gli lasciò la segreteria del partito dei lavoratori che quasi subito rinominò Comunista. Da lì si ascoltano i suoi discorsi pubblici, si assiste ai suoi incontri con leader stranieri come De Gaulle, Breznev, Dubcek, Nixon, Honecker, Carter, Mao, gli incontri del Patto di Varsavia, le sue visite in Usa, Cina, Gran Bretagna (la moglie Elena, spesso al suo fianco, è più ingioiellata della regina Elisabetta) o Corea del Nord. In quest’ultima circostanza sono impressionanti le coreografie dell’accoglienza dentro lo stadio voluta dal presidente Kim. E dal dittatore dell’estremo oriente Ceausescu copiò il modello per il suo immenso palazzo (ora sede del Parlamento), il secondo edificio più grande al mondo.
Ci sono anche alcune scene di momenti privati, in gita con i figli, a caccia, in barca con la consorte o mentre gioca a pallavolo senza riuscire a toccare il pallone (i momenti più ridicoli). Pian piano, esce più la sua personalità contrastata che la figura del politico di statura mondiale che vorrebbe essere. Sempre più scollato dal popolo, entra nell’unico negozio ben fornito, inaugura cantieri per l’urbanizzazione della popolazione e fabbriche. Riceve la laurea ad honorem, parlando di arte e cultura a inizio anni ’70 proprio mentre scrittori, registi e intellettuali se ne andavano. Difende la Cecoslovacchia dall’invasione sovietica ma si capisce subito che è una posizione pro domo sua, per timore di fare la stessa fine.
Negli anni ’80 poi non condivide la svolta di Gorbaciov (per questa ragione ricevette pure un'onorificenza dalla Ddr) e non capisce che la situazione sta precipitando. Ed è chiaro il fraintendimento dei paesi occidentali che fino all’ultimo lo considerarono diverso dagli altri leader comunisti. La caduta arriva quasi improvvisa, almeno per lui, incapace di rendersi conto degli errori e chiuso in una sorta di autismo.
Così il documentario si chiude, dopo tre ore che scorrono veloci, di nuovo dentro l’aula dell’improvvisato processo con Ceasescu, mano nella mano con la moglie, che dichiara di non aver dato l’ordine di sparare sulla folla a Bucarest e Timisoara. Solo un dirigente, nel corso del 12° congresso del Pcr, osò contraddirlo in un discorso ufficiale e subito si levò la folla rumorosa a sostenere il “conducator”. Una scena lunga che mette una sensazione di profondo disagio e preoccupazione. Perché “Autobiografia di Nicolae Ceausescu” è un documento importante per capire la storia romena, ma anche un saggio sulla propaganda politica, sull'autoritarismo, sul populismo.
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