Non si prende sul serio e non prende sul serio nessuno. E' questo il grande merito di Dan Lungu, ed emerge fin da questo suo romanzo d'esordio. Una recensione pubblicata in collaborazione con Il Gioco degli Specchi
L'esordio narrativo di uno dei più noti scrittori romeni contemporanei si caratterizza da subito per la nota presente anche nel romanzo successivo, Sono una vecchia comunista!: l'ironia che sfocia spesso nella comicità, la rappresentazione scanzonata di un paese, la Romania, prima e dopo la dittatura di Ceausescu, lo sberleffo nei confronti di quest'ultimo.
Tuttavia la penna scanzonata di Lungu non risparmia nessuno, nemmeno i vizietti e le manie dei molti romeni che popolano queste pagine. Una scelta che permette di entrare dentro la vita di un paese che ha vissuto grandi trasformazioni negli ultimi decenni e che non sembra però aver trovato condizioni sociali e di vita invidiabili, tutt'altro.
Alle contraddizioni del regime si aggiungono quelle del post regime, senza perdere mai quello sguardo che rende la lettura più piacevole. Il sottotitolo, "falso romanzo di voci e misteri" ben esprime l'atteggiamento di chi scrive, che non prende e non si prende troppo sul serio: l'aggettivo "falso" riferito a romanzo ben evidenzia tale cifra.
Le vicende raccontate, una serie di quadretti attorno a dei personaggi accomunati dal fatto di vivere tutti nella medesima, malandata via delle Acacie, vivono un continuo processo di demistificazione, sempre al limite tra reale e assurdo, che disorienta il lettore, divertendolo.
La scena da cui prende il titolo il romanzo vede al centro uno dei tanti personaggi del testo, Relu Covalciuc che ha una passione sfrenata per le sue galline, che invidia: "Vi rendete conto quanto è meravigliosa la vita di una gallina? Te ne vai in giro qua e là tutto il santo giorno, senza fretta e senza preoccupazioni, ogni tanto becchetti un vermicello, un semino nascosto sotto una scheggia di legno, guardi di sbieco quando passa lo spargi-insetticida, hai il mangiare assicurato a colazione, pranzo e cena, quando fa più fresco ti stringi in mezzo ai tuoi fratelli e sorelle in un angoletto, ti riscaldi insieme a loro, che loro non sono egoisti come gli uomini, ognuno con la sua catasta di legna personale, sonnecchi quando ti pare, ti trastulli con un vermicello tenero, lo sollevi con il becco e scappi, lo lasci andare e lo riacchiappi, lo prendi o dal centro, o dalla testa, come ti riesce meglio. Via la televisione! Via il telefono! Via il gas da pagare! Cosa vuoi di più? Mettetevi pure a ridere, ma quella mattina, intontito dal sonno, mi sono sorpreso a pregare: 'Signore Iddio, se esiste un paradiso delle galline, ti prego, fammici andare anche a me'" (128).
Si tratta di un brano che esemplifica il tono dell'intero romanzo, scanzonato, al limite del ridicolo. L'immagine che viene offerta del paese e dei suoi abitanti, seppure caratterizzata da toni talvolta surreali, talvolta di grande e amaro realismo, contribuisce in ogni caso a costruire una rappresentazione inedita, diversa di quello che è l'immaginario italiano sui rumeni, spesso caratterizzato da luoghi comuni negativi.
Anche questo è uno dei meriti della scrittura di Lungu, che nel non prendere sul serio alcuno, offre delle occasioni di ripensamento di una realtà che, a partire dai suoi emigranti, è diventata parte della società italiana. Illuminante la postfazione al romanzo di Monica Joita, che riprende anche alcuni significativi spunti della critica pubblicati in Romania.
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