Putin ha vinto le elezioni in Russia, sarà presidente fino al 2018. Al di là dei risultati e delle denunce di brogli, il 4 marzo 2012 è una giornata che, vista da Mosca, ha tanto da dire sulla situazione in Russia oggi. Una società civile in forte crescita, un sistema giudiziario che funge da muro di gomma a difesa del potere costituito e un nuovo, vecchio presidente che non riesce più a raccogliere l'entusiasmo della piazza
Vladimir Putin è il nuovo presidente della Russia. Difficile dire che la notizia sia inaspettata... in molti sarebbero stati pronti a scommettere per una vittoria di Putin oggi già nel 2007, quando fu annunciata la candidatura di Dmitri Medvedev alle scorse elezioni presidenziali. Ciononostante, l’ondata di manifestazioni a favore di “elezioni oneste” (e sostanzialmente contro lo stesso Putin) che abbiamo visto negli ultimi mesi aveva creato un'aspettativa particolare per questo voto.
La giornata di un osservatore
A Mosca, migliaia di persone ieri hanno fatto da osservatori elettorali. In ogni seggio della città vi erano osservatori di più candidati che hanno trascorso l’intera giornata a seguire il corso delle elezioni. Molto attenti in particolare gli osservatori di Prokhorov, il candidato liberale che a Mosca ha superato il 20% dei consensi. Ieri hanno inoltre operato varie organizzazioni di cittadini non affiliati ad alcun candidato decisi ad impegnarsi per garantire elezioni oneste in Russia, a partire proprio dalla capitale. “Grazhdanin nabljudatel’” (“Cittadino osservatore”), ad esempio, aveva una sede centrale con un call center che inoltrava telefonate riguardanti violazioni reali o presunte a consulenti giuridici o a gruppi mobili (composti da autista, consulente e giornalista) pronti a recarsi su chiamata nei seggi dove vi erano situazioni sospette o dove gli osservatori di uno dei candidati avevano bisogno di aiuto per formalizzare reclami riguardanti comportamenti illeciti da parte della commissione elettorale locale.
Migliaia sono state le lamentele di questo tipo ricevute dalle commissioni elettorali territoriali e dalla procuratura. Molte di queste sono richieste di verifica di situazioni poco chiare o fanno riferimento a vizi procedurali o formali commessi a livello di seggio elettorale che potrebbero nascondere brogli. Anche se molti di questi casi probabilmente non hanno avuto conseguenze dirette sul voto, sono situazioni che richiederebbero comunque la massima attenzione e cooperazione da parte della autorità. Difficilmente la riceveranno. In caso di discussioni, i presidenti di seggio o di commissioni elettorali territoriali hanno sempre la risposta pronta: “non è d’accordo? Scriva una lamentela”. La serenità con cui si invita a scrivere questo tipo di reclami e la leggerezza con cui vengono ricevuti dalle autorità lasciano intendere che iniziative di questo tipo avranno ben poco seguito.
“Stiamo lavorando per legittimare l’elezione di Putin”, mi ha detto ieri in tono deluso Dmitri, membro di un gruppo mobile di osservatori, mentre ci spostavamo in macchina da un seggio all’altro attraverso l’intenso traffico di Mosca. “D’altra parte, non abbiamo scelta.” E’ chiaro infatti che il problema sta a monte delle elezioni, non certo solo nella conta dei voti. Anche per quanto riguarda il giorno stesso del voto, è difficile da parte di osservatori dimostrare l’esistenza di brogli con una legge elettorale che permette situazioni difficili da verificare e un sistema giudiziario che non coopera (secondo il settimanale Russkij Reporter, nessuno è mai finito in carcere per brogli elettorali - la legge prevede fino a quattro anni - e rarissime sono state le condanne anche in sede amministrativa). Inoltre, la legge elettorale russa, a differenza di quella italiana, permette di votare in un seggio diverso da quello di residenza senza particolari complicazioni, o richiedendo un apposito documento prima del voto che permette di votare in qualsiasi seggio, o facendo richiesta tramite il proprio datore di lavoro di votare in un seggio vicino alle sede di lavoro.
In un seggio nel nord della capitale, ad esempio, erano previsti meno di 500 votanti residenti ma oltre 2000 che lavoravano principalmente per la metropolitana di Mosca. I lavoratori arrivavano quindi al seggio in divisa da lavoro, portati in autobus, decine per volta. Una situazione formalmente legittima (tutti avevano fatto richiesta di votare proprio in quel seggio prima delle elezioni), ma che potrebbe nascondere pressioni da parte dei datori di lavoro e che desta sospetti tra osservatori ed elettori residenti nel posto. Un “classico” dei brogli elettorali nello spazio post-sovietico è infatti il cosiddetto “carrousel”, ovvero gruppi di elettori portati a votare ripetutamente in autobus da un seggio all’altro.
Un’altra caratteristica che desta stupore è che il voto segreto è ritenuto un diritto, non un dovere. Nei seggi elettorali vi sono quindi cabine (anche se spesso scarsamente protette), ma frequentemente i votanti esprimono la propria preferenza su un tavolo in mezzo alla sala e poi infilano la schede nell’urna senza ripiegarla, dando così la possibilità a semplici curiosi, o a curiosi interessati, di vedere il voto.
Alla festa di Putin
Secondo il primo canale televisivo russo, per una volta generoso nello stimare il numero dei partecipanti a una manifestazione di piazza, 110.000 persone sarebbero scese in strada a festeggiare la vittoria di Putin pochi minuti dopo la chiusura dei seggi.
Senza dubbio era impressionante il numero di persone che si è riversato nella strada di fronte alla Duma, sulla Manezhnaja e in piazza della Rivoluzione, che per una sera è diventata quindi simbolo della rivoluzione che non c’è stata.
All’evento ha partecipato una folla variegata: vi erano certamente i giovani pro-putiniani afferenti a organizzazioni come Nashi e Molodaja Gvardija, movimenti pronti a intervenire soprattutto nei prossimi giorni per contrastare le manifestazioni dell’opposizione in programma e svolgere quello che era uno dei loro compiti sin da quando sono stati fondati nel 2005, poche settimane dopo la “rivoluzione arancione” in Ucraina, ovvero, difendere la Russia (si scrive Russia, ma si legge Putin) dalla minaccia di “rivoluzioni colorate”.
Vi erano persone provenienti da fuori Mosca, portate lì appositamente in autobus per l’evento ma anche molti cittadini comuni, senza bandiera né cartelloni colorati. Partecipavano all’evento, senza spingere per avvicinarsi al palco. Se ne stavano in piazza sotto la neve, senza rispondere agli incitamenti degli speaker. Se ne stavano lì, senza ridere, né dar segno di partecipare davvero a quella che era prevista come una grande festa per la vittoria di Vladimir Putin, “il nostro presidente”, come si sentiva ripetere in continuazione dagli organizzatori dell’evento.
Quando si è presentato Putin sul palco, accompagnato da Medvedev, si è visto qualche sguardo incuriosito che cercava di vedere dal vivo, al di là della miriade di bandiere che nascondeva la scena a chiunque non fosse nelle prime file, l’uomo che guida la Russia da ormai dodici anni e dopo il voto di ieri la guiderà per altri sei, e il cui volto è oggi simbolo del potere quanto il Cremlino stesso. Quando Putin è intervenuto, proclamando la vittoria promessa su coloro che vogliono distruggere il Paese (in questi termini era presentato il voto del 4 marzo), sono rimasti quasi tutti zitti, con l’espressione spenta di chi se ne sta la domenica pomeriggio a guardare la televisione sul divano di casa propria.
Quando Putin, senza asciugarsi l’inusitata lacrima, ha detto, con un leggero tentennamento che non gli è caratteristico: “vi ho promesso che vinceremo?” la folla ha reagito con un “sì’” poco convinto dalla zona vicino al palco e quasi nessuna reazione da chi era poco più lontano. “E noi... abbiamo vinto!” ha incalzato Putin... un “si’” appena più deciso dalle prime file, tanto silenzio nelle retrovie. Con questo, Putin se ne è andato salutando la folla. Che, come quando finisce una trasmissione televisiva, si è un po’ risvegliata e in massa si è spostata verso le vicine stazioni della metropolitana o verso gli autobus in attesa.
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