Un incontro lungo la Transiberiana. Un giovanotto russo, poco raccomandabile ed una ragazza finlandese in viaggio. Attorno a loro l'Unione sovietica degli anni '80, con tutti i suoi scricchiolii. Una recensione
Se c’è un luogo romanzesco per eccellenza, questo è il treno. E il treno che viaggia su certe linee ferroviarie in particolare lo è ancora di più. Ad esempio l’Orient-Express o, ancora, la Transiberiana. Ed è sulla Transiberiana, appunto, che si svolge il romanzo della finlandese Rosa Liksom “Scompartimento N.6”, finalista al Prix Médicis e aggiudicatosi il Premio Finlandia, il più alto riconoscimento letterario di quella nazione, in Italia tradotto da Delfina Sessa per Iperborea.
E finlandese è la giovane protagonista, una studentessa che, in viaggio da Mosca a Ulan Bator, capitale della Mongolia, si trova a condividere uno scompartimento, il numero 6, con un rozzo giovanotto, cresciuto in case di correzione, deportato in Siberia, ribelle e sregolato nel bere, nel mangiare e nel sesso, però a suo modo saggio per il tanto che ha imparato della vita dalla vita.
I due saranno costretti per tutti i lunghi giorni di viaggio a un confronto tra due culture, due sensibilità e caratteri diversi in un gioco delle parti che alla fine, dopo tanti contrasti ed equivoci, provocazioni, da parte di lui, e timori, da parte di lei, si ritroveranno in una dimensione di rispetto tale che, per il rischio a cui la ragazza al suo arrivo a Ulan Bator incorrerà, vedrà l’apparente poco raccomandabile giovanotto nelle vesti di rassicurante presenza.
Intanto però c’è tutto il viaggio di mezzo. C'è innanzitutto la partenza da “Mosca nel suo manto invernale, la città blu acciaio riscaldata dal sole della sera (…) le rare insegne al neon che brillano contro il cielo nero e accigliato, le stelle di rubino sulle torri del Cremlino, i corpi di cera del buon Lenin e del cattivo Stalin (…) la Piazza Rossa e il suo mausoleo, le ringhiere di ferro battuto delle scale a chiocciola dei magazzini Gum, l’hotel internazionale Intourist con i suoi bar in valuta straniera e i sinistri addetti ai piani, che occupano di nascosto gli spazi abitabili dei ripostigli, sempre pronti a elemosinare cosmetici orientali, rasoi elettrici e profumi”.
Perché siamo ancora nella Unione Sovietica degli anni Ottanta, quella post brežneviana, della cui caduta si cominciano ad avvertire i primi scricchiolii. Ed è proprio il giovanotto, Vadim Nikolaević Ivanov, che con il suo istinto animale traduce da una serie di segnali che sono nell’aria la deriva a cui l’impero rosso si sta avviando. “Ci sono migliaia e migliaia di verità”, esclamerà a un certo momento “ognuno ha la sua. Quante volte ho maledetto questo paese! Eppure che cosa sarei senza la Russia? Io amo questa terra”.
Ormai l’Unione Sovietica, si appoggia su una sorta di palafitte burocratiche tenute su dalla corruzione presente anche sul treno. Arisa, la capo treno, alla quale la ragazza ricorrerà per la richiesta di un cambio di scompartimento quando il giovanotto le chiederà esplicitamente di fare sesso, accetterà senza batter ciglio il denaro che, in due rate, le verrà offerto, per poi però nascondersi dietro difficoltà che costringeranno la ragazza al suo vecchio, pericoloso posto.
Il rapporto tra due così diversi viaggiatori si arricchirà di temi, sullo sfondo di una società apparentemente irrigidita, della quale entrambi sono portatori di istanze trasgressive sul piano del costume e della morale. Lui racconta di un mondo in cui carcerati, prostitute, sesso, codici d’onore rappresentano la risposta a un regime che marchiava con l’internamento nei campi della Siberia quegli più apertamente irregolari rispetto al sistema; lei si nutre invece di ricordi d’amore che trattiene per se con al centro un triangolo con il suo ragazzo Mitka e la madre di lui, Irina, tra le cui braccia la ragazza conoscerà i brividi di un sesso più profondo e sconvolgente.
E questi racconti e ricordi si srotoleranno lungo la linea ferroviaria, attraverso le varie stazioni e paesaggi straordinari che l’autrice descrive con una tecnica fotografica, una serie di fermo immagini, che da sole bastano a capire la cifra narrativa, davvero notevole, di questa scrittrice. “Il paesaggio di torbiere lasciò a poco a poco il posto a un territorio piatto e uniforme: resti di basamenti di pietra in rovina sepolti sotto la neve siberiana, pozzi franati, casette per uccellini penzolanti da rami di betulle, villaggi di case abbandonate le cui finestre morte fissavano il treno”.
Sì, “Scompartimento N. 6” è forse, innanzitutto, un libro di viaggio, ma di quelli che, oltre a descrivere paesaggi e incontri, affondano nella coscienza di una nazione, portandone alla luce gli aspetti più nascosti, le contraddizioni più profonde, un ritratto più ampio insomma di cui il personaggio di Vadim è il testimone più emblematico, insieme a tutta una serie di fattori che emergono via via che il treno avanza. Ad ogni sosta - Omsk, Novosibirsk, il lago Bajkal, Khabarosk, la città chiusa, nucleare di Krasnoyarsk, dove ingegneri e geologi si muovono solo con permessi speciali - un’esperienza diversa.
Il romanzo, naturalmente, è frutto di un viaggio che Rosa Liksom, nom de plume di Anni Ylävaara, compiì ventottenne nel 1986. “Non scrivo di niente che non abbia vissuto” ha dichiarato in una intervista a The Guardian. E si sente.
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