In vista del viaggio in battello da Budapest a Sofia, momento finale del progetto "Navigando lungo i sapori del Danubio" promosso da ViB e Slow Food, un'introduzione a Belgrado scritta dallo storico Marco Abram, che farà da guida per la visita alla capitale serba in programma il 26 giugno, settimo giorno di navigazione
Tratto da www.viaggiareibalcani.it
Tradizione vuole che Belgrado sia una della città più antiche d'Europa ma anche che nel corso della sua lunga storia sia stata distrutta e ricostruita innumerevoli volte, tra le quaranta e sessanta a seconda delle versioni. Non è quindi raro sentir paragonare il destino della città a quello della leggendaria fenice, capace di risorgere costantemente dalle proprie ceneri. Una vicenda in qualche modo legata alla peculiare posizione della città, fondata al centro delle vie di comunicazione della regione, alla confluenza dei grandi fiumi della Sava e del Danubio.
Centro celtico, quindi romano, dopo la conquista da parte delle popolazioni slave prese il nome di Città Bianca (Beo-grad), per via delle mura della sua fortezza. Stefan Lazarević la fece capitale del regno di Serbia verso il 1427. I territori che la ospitano, tuttavia, rappresentarono per secoli la via d'ingresso da Oriente all'Europa cristiana e furono aspramente contesi dai grandi imperi: quello cristiano Asburgico e quello Ottomano di fede maomettana. Dopo la conquista da parte del sultano nel 1521, Belgrado divenne città ottomana, centro abitato da genti che parlavano lingue e praticavano religioni diverse: turchi, slavi, ebrei, austriaci, ungheresi. Per molto tempo fu una vera e propria città di confine – con i fiumi che la dividevano fisicamente e politicamente dalla Mitteleuropa – tanto da guadagnarsi gli appellativi di Kapija Balkana o Kapija Evrope [Porta dei Balcani o Porta d'Europa].
Dagli anni dell'indipendenza del principato serbo, raggiunta nel corso del XIX secolo, la città ha svolto il ruolo di capitale di sei formazioni statali: la Serbia monarchica, la Jugoslavia della dinastia dei Karađorđević, la Jugoslavia socialista di Tito, quindi la Repubblica federale di Jugoslavia guidata da Milošević, la confederazione di Serbia e Montenegro ed infine, a partire dal 2006, la Repubblica di Serbia. Una vicenda contraddistinta da sconvolgimenti politici e trasformazioni culturali che hanno inciso ripetutamente sui caratteri del paesaggio urbano belgradese.
Ogni rivolgimento ha confuso determinate coordinate dello spazio pubblico e ridefinito la semantica urbana, le ripetute sedimentazioni hanno concorso ad occultare di volta in volta buona parte del patrimonio culturale della città e con esso ampi passaggi della memoria collettiva. Si dice sia stato Le Corbusier a definire Belgrado “la città più brutta del mondo, nel posto più bello del mondo”, per via della confusione urbanistica e architettonica che la contraddistingue, determinata dell'impossibilità di garantire alla città una crescita pianificata e dall'incompiutezza di molti dei progetti urbanistici approvati nel tempo. Anche per questo motivo la scoperta delle ricchezze di Belgrado richiede uno sguardo attento e paziente, quasi esegetico, che si conceda il tempo di scovare le traccie lasciate dai suoi avvincenti passati.
L'imponente fortezza di Kalemegdan rimane il punto di partenza obbligato per ogni visita a Belgrado, il luogo che più di ogni altro riassume la storia cittadina. Conservatosi nei secoli, porta su di sé i segni del lungo passato belgradese mentre offre una vista privilegiata sui quartieri più recenti della città. Anche oggi, riconvertito in un ampio e frequentato parco pubblico, si rinnova come cuore pulsante del centro urbano. Ad oriente della fortezza, declinando verso il Danubio, si ritrovano rare tracce di epoca ottomana, conservatesi nella struttura urbanistica dell'antico quartiere di Dorćol. Le sue vie preservano inoltre la moschea Bajrakli, ultima sopravvissuta di un panorama cittadino che ne contava decine, progressivamente distrutte dopo la cacciata degli Ottomani. L'altro versante del centro cittadino, che scende verso la Sava, ospitava invece il quartiere storicamente abitato dalla popolazione serba, sede del patriarcato ortodosso e della cattedrale di S. Michele Arcangelo, dove riposano i "grandi" della nazione: sovrani, religiosi ed intellettuali.
Percorrendo l'ampia via pedonale intitolata al Principe Mihailo, rimodernata ai tempi della prima europeizzazione architettonica della città, nel XIX secolo, si passa dalla fortezza di Kalemegdan agli spazi della Belgrado capitale. Dopo la liberazione dai turchi, nel guadagnarsi il ruolo di capitale, Belgrado dovette vincere la concorrenza di Kragujevac, città che il Principe Miloš Obrenović aveva scelto inizialmente come propria residenza, ma anche di Novi Sad, la cosiddetta Atene serba, vivace centro culturale nei territori asburgici. Solo in seguito la costruzione dei grandi palazzi monarchici, l'apertura di ampi viali, la fondazione del teatro nazionale e di altre istituzioni culturali, segnarono l'ingresso nella “modernità” di una città che alle soglie del Novecento contava solamente 70.000 abitanti, contro i 420.000 di Roma ed i 2.700.000 di Parigi. La zona di Skardarlija conosciuta come "quartiere zingaro", dava intanto vita in quegli anni ad una sorta di Montmartre belgradese, ospitando scrittori, attori ed intellettuali. Oggi il quartiere tenta di richiamare le atmosfere di un tempo per ragioni turistiche, tuttavia i belgradesi non mancano di darsi appuntamento nelle numerose kafane - le osterie tradizionali - per una cena a suon di musica.
Parte rilevante dell'immagine odierna della città rimane tuttavia frutto del periodo socialista. Le decise politiche di urbanizzazione e industrializzazione dell'epoca imposero a Belgrado un ritmo di crescita che portò la popolazione a raggiungere il milione di abitanti già nel corso degli anni Sessanta. Uno dei più vasti quartieri della città odierna, Nuova Belgrado, è il risultato visivo più tangibile dei monumentali progetti architettonici del regime. In quel luogo doveva svilupparsi il nuovo centro amministrativo, politico e culturale della Belgrado socialista. Un ironico contrappasso ha ridotto il grattacielo costruito per ospitare il Comitato Centrale della Lega dei Comunisti della Jugoslavia ad ornamento visivo del più grande centro commerciale del Paese. Nonostante le rimozioni, i lasciti dell'ideologia di stato sono tuttavia facilmente rinvenibili nelle strade e nelle piazze cittadine. Luogo per antonomasia della Jugonostalgija, della nostalgia della Jugoslavia che non c'è più, rimane la Casa dei Fiori, che dal 1980 ospita la salma di Tito e molti reperti del tempo che vide il dittatore protagonista.
La Belgrado di oggi è impegnata nel rinnovo della propria immagine, sfigurata dai deliri degli anni Novanta e dalla interminabile transizione dell'ultimo ventennio. La cosiddetta turbo-archittetura [neologismo per definire il kitsch edilizio, diretto riferimento al più ben noto genere musicale turbofolk] ne ha segnato alcuni quartieri, mentre il panorama culturale ha subito un'involuzione traumatica per una città che dagli anni Settanta aveva conosciuto avanguardie e cosmopolitismo. Il semi-abbandonato Museo di Arte Contemporanea ne conserva testimonianza, tanto quanto monumenti dei tempi più duri rimangono, nel viale dei palazzi del potere e delle ambasciate, alcuni edifici sventrati dai bombardamenti Nato del 1999.
Da pochi anni, invece, dalla collina di Vračar domina la città uno degli edifici di culto cristiani più grandi al mondo: la maestosa chiesa di S.Sava. Iniziata un secolo fa, ad oggi non è stata del tutto completata. La travagliata vicenda della sua costruzione, spesso interrotta da eventi bellici, finì per alimentare l'ennesimo mito: la chiesa non avrebbe dovuto essere completata poiché il giorno in cui ciò accadrà non saranno rimasti più serbi. Tuttavia dal 2000, anche grazie al sostegno dello stato, i lavori proseguono.
Lungo il percorso verso l'integrazione europea, si moltiplicano le occasioni di vedere Belgrado sotto una luce sempre più moderna e dinamica, centro culturale e cosmopolita, con un ruolo specifico nel contesto regionale e nel panorama internazionale. Sempre più eventi ospitati in città richiamano l'attenzione di un pubblico internazionale mentre le culture alternative fuoriescono maggiormente dalle nicchie a cui erano state ridotte. Un processo che naturalmente non è privo di contraddizioni anche molto marcate. La sensazione di benessere data dalle sempre più diffuse catene commerciali che addobbano tutte le grandi città europee nasconde a fatica il radicalizzarsi di una stratificazione socio-spaziale che si fa più evidente in alcuni quartieri della città. Qualche mese fa, intanto, occasione di entusiasmo diffuso è stata offerta dall'inaugurazione del nuovo imponente ponte sulla Sava, progettato per rappresentare, nello skyline urbano, il simbolo della Belgrado del XXI secolo.
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