Fiori - © ON-Photography Germany/Shutterstock

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Dotato di eccezionale talento fin dall'infanzia, il compositore serbo Stevan Stojanović Mokranjac ha segnato la vita musicale del paese fino nella seconda metà dell'Ottocento, fino alla morte nel 1914. Božidar Stanišić ci accompagna in un breve viaggio lungo il suo percorso umano e artistico

21/05/2024 -  Božidar Stanišić

Di quei lontani anni Sessanta ricordo anche i miei primi incontri con la musica di Mokranjac, nella nostra casa di famiglia, e poi alla scuola media. Ancora oggi, a volte, mi sembra di udire la voce ammonitrice di mio padre. Prima che iniziasse la messa in onda di una delle composizioni corali di Mokranjac, noi, bambini, potevano scegliere se “stare zitti zitti” o “andare a giocare da un’altra parte”, cioè fuori dalla stanza dove si trovava la radio.

Il mio insegnante di musica invece era talmente entusiasta che voleva insegnare anche agli stonati (il sottoscritto compreso) a cantare canzoni complesse. Non amava però punire gli antitalenti con brutti voti. Premiava persino il mio “canto” con un tre, talvolta anche con un quattro (su una scala da 1 a 5). Mi ricordo: appena iniziai a cantare Tiri donda, una melodia popolare dalmata nell’arrangiamento di Mokranjac, l’insegnante mi rivolse uno sguardo implorante dicendo: “Basta così, ti do un tre”. Con una rara maestria, che oggi mi sembra magica, riusciva a trasformare la cacofonia di voci dell’intera classe in un’esecuzione quasi armonica del meraviglioso canto Biljana platno beleše  (tratta dalla decima rukovet [rapsodia corale] di Mokranjac).

Molti anni dopo, in quella cittadina bosniaca in cui a lungo avevo lavorato come insegnante, ascoltavo i brani di Mokranjac nella casa del mio caro amico Neša. Amante e conoscitore della musica e della pittura, aveva una collezione di dischi in vinile delle composizioni di Mokranjac. “Ascoltiamo qualcosa?”, mi chiedeva. “Certamente”, accettavo volentieri. Da tempo ormai, in un altro paese, ogni tanto torno ad ascoltare Mokranjac, soprattutto con l’anima, come tutti i dilettanti.

Mentre scrivo questo omaggio mi ritorna in mente una riflessione di Crnjanski: le opere di un artista sono sì importanti, ma è altrettanto importante anche la sua vita.

Stevan Stojanović nacque nel 1856 a Negotin (nella Serbia orientale). Lo stesso anno morì suo padre. Pur faticando a sfamare la famiglia, sua madre riuscì a mandare a scuola tutti i figli (dei nove bambini dati alla luce ne sopravvissero quattro). Stevan si appassionò alla musica in tenera età. Comprò il suo primo violino da un rom, imparando poi ad utilizzare l'archetto da un suo compagno di scuola. Pur non potendo permettersi di pagare un insegnante di musica, continuò ad interessarsi alla composizione e al canto.

Concluso il primo anno del ginnasio a Negotin, decise di trasferirsi a Belgrado, dedicandosi con sempre maggiore passione alla trascrizione dei canti popolari e alla composizione dei brani ispirati alla musica tradizionale. Grazie a questo impegno, come anche alla sua dedizione allo studio della teoria della musica e alla propensione a cantare in chiesa e in occasioni pubbliche, riuscì a supplire al desiderio, mai realizzato, di suonare uno strumento.

Non si lasciò scoraggiare dai dubbi, espressi da alcuni dei suoi professori al ginnasio, sul suo talento compositivo. Abbandonò la scuola per aiutare sua madre a Negotin, dove per la prima volta prese in mano la bacchetta da maestro del coro. Poi però decise di tornare a Belgrado per terminare gli studi liceali. In quel periodo, seppur giovanissimo, grazie al suo straordinario talento canoro, fu ammesso alla prestigiosa Compagnia di canto di Belgrado.

Mokranjac frequentava personalità importanti della scena musicale e culturale belgradese. Dotato di un talento innegabile, appena diciannovenne, all’occorrenza sostituiva il maestro del coro. I conoscitori della sua vita affermano che Mokranjac decise di iscriversi alla Facoltà di Scienze tecniche sulla scorta delle idee socialiste di Svetozar Marković. Grande uomo e amante della giustizia, Marković sosteneva che in un momento storico come quello della seconda metà dell’Ottocento – che richiedeva un impegno sociale concreto da parte degli operai e degli intellettuali – l’arte fosse inutile.

Ad ogni modo, Mokranjac non rinunciò mai al suo amore per la musica, il canto e la lettura delle opere letterarie. Nel 1879, grazie al fatto che la Compagnia di canto aveva speso una buona parola per lui, Mokranjac ottenne una borsa, erogata dallo stato, per studiare musica al Conservatorio di Monaco di Baviera, con il professor Joseph Rheinberger. Tuttavia, al terzo anno, a causa di alcuni disaccordi con il direttore del Conservatorio, gli fu revocata la borsa di studio, e quindi fu costretto a ritornare a Belgrado.

Avendo poi riscosso grande successo come maestro del coro e compositore, riuscì a proseguire gli studi: nel 1884 a Roma, con il professor Alessandro Parisotti, poi nel 1885-87 al Conservatorio di Lipsia. Dal 1887 al 1890 lavorò come insegnante di musica a Niš e Belgrado, al contempo portando avanti assiduamente la sua attività di maestro del coro e compositore.

Nel 1899 Mokranjac, insieme a Stanislav Binički e Cvetko Manojlović, fondò la prima scuola di musica in Serbia, a Belgrado (che oggi porta il suo nome), di cui fu direttore fino alla morte. I suoi alunni lo ricordavano come un uomo solerte che utilizzava metodi semplici. “Mokranjac ci diceva: ‘Bambini, non allungate quello ajde, de (il verso che apre una canzone di Mokranjac intitolata Kozar [Il capraio]), cantate con vivacità, come se portaste i capretti al pascolo”, raccontò Jelka Stamatović-Nikolić (1895-1983), cantante lirica e docente all’Accademia di Belgrado, che da bambina cantava in un coro guidato da Mokranjac.

Fu grazie all’impegno di Mokranjac che venne fondato il primo quartetto d’archi in Serbia. Nel 1906 fu eletto membro corrispondente dell’Accademia reale serba [nel 1960 ribattezzata Accademia serba delle scienze e delle arti].

Le opere più famose di Mokranjac sono le Rukoveti, i suoi fiori musicali [rukovet in serbo-croato significa mazzo di fiori]. Si tratta di quindici rapsodie musicali ispirate alla musica tradizionale serba, bosniaca, macedone e bulgara, ma anche alla poesia lirica di alcuni poeti famosi. Il suo adattamento musicale delle canzoni popolari ancora oggi è oggetto di interesse e di studio dei musicologi. Tra le opere di Mokranjac spiccano anche i suoi Primorski napjevi [Canti del litorale] e le composizioni liturgiche. Heruvimska pesma [Il canto dei cherubini], cuore della liturgia di San Giovanni Crisostomo composta da Mokranjac, è l’opera più importante della storia della musica corale serba.

Ecco un piccolo regalo per i lettori pazienti di questo articolo commemorativo: Heruvimska pesma eseguita dalla Schola Cantorum dell’Università dell’Arkansas, diretta dal professor Stephen Caldwell. “Mentre ascolto queste voci magiche mi chiedo se così sia il Paradiso. Il nostro meraviglioso Mokranjac”, recita uno dei commenti in fondo al video del concerto del coro statunitense tenutosi nel 2019 nel Tempio di San Sava a Belgrado.

Una delle fonti che ci permettono di conoscere meglio la figura di Mokranjac è il Diario di sua moglie Marija Mica Mokranjac, una testimonianza, al contempo sentimentale e documentaria, sulla vita e sulle opere del più grande compositore serbo. Testimonianza che parla, seppur marginalmente, anche della condizione sociale e culturale della donna a cavallo tra ‘800 e ‘900.

Scopriamo così che ci volle molto impegno da parte di Mokranjac e dell’intera Compagnia di coro affinché il padre di Maria, un uomo severo e patriarcale, consentisse alla figlia di contribuire, con la sua voce di soprano, ad un concerto del coro tenutosi a Dubrovnik (in occasione dell’inaugurazione di un monumento dedicato al poeta Ivan Gundulić).

Marija annotava meticolosamente i dettagli della vita della sua famiglia: i primi tre anni di matrimonio segnati dalla sua malattia e dalle doglie, poi i giorni felici con il figlio Momčilo, il periodo caratterizzato da successi di Mokranjac, elogi da parte della critica, applausi del pubblico, tournée con il coro (Kotor, Cetinje, Sarajevo, Fiume, Zagabria, Skopje, Salonicco, Sofia, Budapest, Trieste, Vienna, Russia, Germania, Turchia,…).

Quando, nel 1895, a Istanbul il sultano Abdul-Hamid II sentì per la prima volta L’inno al sultano (noto anche come La Marcia di Hamid) nella meravigliosa interpretazione del coro guidato da Mokranjac, chiese al coro di cantare anche l’inno serbo Bože pravde.

Dagli scritti di sua moglie e dalle memorie dei suoi contemporanei apprendiamo che, oltre ad essere un uomo solerte, Mokranjac era anche un bohémien, teneva ai suoi amici e gli piaceva stare fuori con loro fino a notte inoltrata. I soldi invece non gli importavano e – come molti sostengono – non aveva mai cercato di trarre un vantaggio economico dai propri successi.

La morte di Mokranjac, avvenuta il 29 settembre 1914, fu accelerata dalla malattia e dalle guerre – le due guerre balcaniche, poi la Grande guerra. Nel 1914, prima del bombardamento di Belgrado, fuggì con la famiglia a Skopje dove fino agli ultimi giorni lavorò ad una composizione corale intitolata Zimnji dani [Giorni d’inverno], ispirata ad una poesia di Jovan Jovanović Zmaj.

“Due giorni prima di morire, insistette affinché cantassimo Radujsja nevesta [Rallegrati, sposa]. Così (Aga [sopranome del loro figlio Momčilo] contralto, io soprano e Stevan tenore) cantammo. Fu il suo ultimo canto”, scrisse Matija (morta nel 1949). Suo marito cantò quella canzone alla loro festa di matrimonio.

Se doveste recarvi a Negotin, non perdete l’occasione di visitare la Casa di Mokranjac . La sua modesta casa natale fu ristrutturata nel 1980. Gli spazi interni, ben attrezzati dal punto di vista museologico, permettono al visitatore di immergersi nel patrimonio artistico di Mokranjac: nella casa sono custoditi diversi strumenti musicali e oggetti che portano i segni del percorso esistenziale e creativo del grande compositore. Ogni anno, a settembre, nella casa di Mokranjac si tengono gli incontri musicali in suo onore.

Uscendo dalla casa, non aspettatevi che la statua di Mokranjac in bronzo (opera di Nebojša Mitrić) agiti la mano in segno di saluto, né che vi ricordi che a Belgrado, all’angolo tra le vie Dositejeva e Gospodar Jevremova, si trova la sua seconda casa, dichiarata monumento di interesse nazionale. Non credo ci sia un saluto migliore delle sue composizioni.


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