In Serbia è emergenza inondazioni: interi villaggi sommersi, migliaia di famiglie evacuate e 17 vittime accertate. Mentre proseguono le operazioni di soccorso, la cittadinanza si mobilita per accogliere gli sfollati
L’emergenza inondazioni dura ormai da giorni. In televisione e su internet si susseguono notizie di villaggi che soccombono alla furia dei fiumi in piena, immagini strazianti delle azioni di salvataggio, appelli di solidarietà rivolti alla popolazione. Si ripetono a ritmo martellante parole che sanno di guerra: prima linea, difesa delle città e dei villaggi, catastrofe nazionale. Nelle zone colpite soccorritori e volontari lavorano senza sosta per mettere in salvo gli abitanti. Altrove, in particolare a Belgrado, ci si organizza per accogliere gli sfollati, che si contano già a migliaia.
Le piogge torrenziali all’origine delle alluvioni sono cominciate all’inizio di settimana scorsa. Le precipitazioni sono state eccezionalmente intense (in tre giorni è caduta tanta acqua quanta ne cade in media in tutto il mese di maggio), eppure l’allerta è scattata soltanto giovedì, quando numerosi fiumi e torrenti nella Serbia occidentale e centrale hanno cominciato a straripare, allagando coltivazioni e centri abitati.
Nel giro di poche ore, numerosi paesi e villaggi sono stati letteralmente invasi dall’acqua, dal fango e dai detriti (fotografie ). L’allarme non è stato lanciato per tempo, sicché solo in pochi sono riusciti a mettersi in salvo autonomamente. La maggior parte delle persone è rimasta bloccata nelle proprie abitazioni in attesa dei soccorsi. Dato che l’alluvione ha reso impraticabili molte strade e ponti, gran parte della popolazione è stata tratta in salvo con mezzi anfibi, imbarcazioni ed elicotteri. In molti luoghi le operazioni di salvataggio sono tuttora in corso, mentre il numero delle vittime continua a salire.
Le zone colpite e i soccorsi
Come sovente in questi casi, è difficile comporre una mappa completa dell’impatto della catastrofe. Le notizie arrivano a singhiozzo, e le stime del numero totale di persone evacuate e dei danni materiali sono ancora incerte. Un bilancio più preciso sarà possibile solo nei prossimi giorni. E’ però sufficiente consultare la piattaforma online www.poplave.rs, che raccoglie e diffonde segnalazioni e richieste d’aiuto, per rendersi conto dell’entità del disastro.
Le alluvioni hanno investito gran parte della Serbia centrale e occidentale. Oltre a Šabac, eroicamente ‘difesa’ da migliaia di volontari partiti nottetempo da Belgrado, i fiumi in piena hanno danneggiato gravemente le cittadine di Krupanj, Barič, Kostolac e Smederevska Palanka, oltre a numerosi villaggi e insediamenti.
Il caso più grave, però, è quello di Obrenovac. La cittadina, situata a soli 15 km da Belgrado, è stata completamente sommersa dalle acque del fiume Kolubara, affluente della Sava (video ). I responsabili dei soccorsi parlano di almeno 4.200 persone evacuate, quasi tutte trasferite nei centri di accoglienza di Belgrado, e di 12 morti. A dare man forte ai soccorritori c’erano anche i migranti in attesa di asilo politico ospitati nella cittadina. Un gesto di ammirevole generosità, visto il trattamento ostile che molti degli abitanti avevano riservato loro nei mesi scorsi.
Pur essendo cominciate con notevole (e probabilmente colpevole) ritardo, le procedure di evacuazione si sono svolte in modo tempestivo ed efficiente, soprattutto a fronte dell’eterogeneità delle forze coinvolte nelle operazioni. Ai soccorritori e volontari serbi, infatti, si sono aggiunte squadre speciali (e mezzi di trasporto) provenienti da ben diciassette paesi. Anche l’Unione europea e le Nazioni unite si sono impegnate a fornire aiuti alla popolazione.
L’accoglienza degli sfollati
Al coraggio e all’eroismo dimostrato dai soccorritori ha fatto eco la straordinaria mobilitazione della cittadinanza in aiuto agli sfollati. La città di Belgrado ha messo a disposizione hotel, scuole e centri sportivi per accogliere varie centinaia di famiglie evacuate. Contemporaneamente, sono stati aperti più di cinquanta centri di raccolta di beni di prima necessità (segnalati su questa mappa costantemente aggiornata ).
Una miriade di volontari, soprattutto ragazzi e ragazze anche giovanissimi, si sono impegnati a raccogliere, organizzare e recapitare gli aiuti. Tantissimi cittadini e cittadine hanno contribuito donando acqua potabile, alimenti, vestiti, coperte, prodotti igienici, biancheria intima e pannolini. Per tutto il fine settimana Belgrado è stata teatro di un’attività febbrile, incessante e spesso euforica. Gruppi di studenti hanno addirittura fatto richiesta di rinviare di qualche giorno le lezioni per poter continuare a prestare servizio presso i centri di accoglienza.
Onde lunghe
Purtroppo l’emergenza non è ancora finita. Oltre ai convogli di sfollati che continuano ad arrivare a Belgrado e in altre città, nei prossimi giorni è prevista una nuova ondata di piena sul fiume Sava. Le località a rischio si stanno premunendo per contenere i danni, svuotando i canali di scolo e proteggendo i punti critici con sacchi di sabbia e argini artificiali.
Ma anche quando l’emergenza sarà passata, e le acque si saranno ritirate, resterà ancora molto da fare. Bisognerà ripristinare le vie di comunicazione, consolidare gli smottamenti e le frane, combattere le probabili epidemie che si sprigioneranno dalle carcasse di bestiame, organizzare la ricostruzione delle case e delle infrastrutture danneggiate. E, ovviamente, garantire alle migliaia di sfollati la possibilità di ritornare nei propri luoghi d’origine, riprendere a lavorare e a condurre una vita normale. Questa è sicuramente la sfida più grande con cui si dovrà misurare la Serbia nelle prossime settimane, e probabilmente nei prossimi mesi.
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