L’Osservatorio astronomico di Belgrado, gioiello di architettura modernista, custodisce strumenti strabilianti e storie dal sapore magico, come quella del misterioso ‘cerca-comete’. Oggi ci si interroga sulla valorizzazione di quello che fu un simbolo della città. Intervista
Nel diciannovesimo secolo, i belgradesi amavano andare a fare passeggiate e pic-nic su una collina verdeggiante situata poco fuori città. La chiamavano affettuosamente Baba Ružin kraj, il posto di nonna Rosa. Tra il 1929 e il 1932, in cima alla collina di nonna Rosa, fu costruito il nuovo Osservatorio astronomico di Belgrado, progettato dall’architetto di origine ceca Jan Dubový. Nel giro di poco tempo la collina cambiò nome: venne chiamata Zvezdara, la ‘casa delle stelle’. Nel corso degli anni, sui fianchi della collina, è sorto un intero quartiere, che ancora oggi porta quello stesso nome.
L’edificazione dell’Osservatorio fu un progetto urbano di grande respiro e in sintonia con le tendenze architettoniche e gli stili estetici dell’epoca. I suoi padiglioni, costruiti per ospitare strumenti astronomici all’avanguardia, sono un superbo esempio di razionalità modernista, che però hanno la parvenza di piccoli templi greco-romani per via dei fregi a tema mitologico che li decorano.
Oggi l’Osservatorio opera come centro di ricerca, anche se al posto degli strumenti astronomici, maestosi ma ormai obsoleti, si utilizzano i computer. La questione su cui vale la pena interrogarsi, però, è quella della salvaguardia del valore storico e architettonico dell’intero complesso, che rischia di soccombere all’incuria e all’oblio. Ne abbiamo parlato con Jasmina Andonović, architetto, che ha lavorato a un progetto di valorizzazione dell’Osservatorio astronomico per conto dell’Ente per la protezione dei monumenti culturali della città di Belgrado.
Di che progetto si tratta? Qual è stato il tuo contributo?
Il progetto ha come obiettivo la rivalorizzazione dell’Osservatorio astronomico di Belgrado, dichiarato bene culturale protetto nel 2001. L’Ente ha realizzato un’indagine su questo complesso architettonico, urbanistico e scientifico, con il fine di promuoverlo alla categoria di bene culturale nazionale di alto o altissimo valore. Ci siamo occupati della dimensione architettonica, ma anche di quella naturalistica (il parco circostante) e scientifica (ovvero la strumentazione).
Il mio ruolo è stato quello di raccogliere e classificare i piani di costruzione originali, depositati nell’archivio dell’Osservatorio e nell’Archivio storico di Belgrado. Si tratta di documenti tecnici che si completano a vicenda, e che grazie a noi sono stati messi insieme per la prima volta. Li abbiamo digitalizzati, e sulla base di questo dossier abbiamo compilato un catalogo che include ben 165 progetti e disegni.
Che cosa ti ha colpito di più durante il tuo lavoro di ricerca e archiviazione?
Il luogo in cui sorge l’Osservatorio ha qualcosa di unico, forse perché é il punto più alto di Belgrado (253 m) e si trova proprio sopra al Danubio. Come architetto, mi colpisce il modo in cui la funzione dell’osservazione astronomica è stata incorporata nell’architettura razionale tipica del Movimento Moderno, conservando allo stesso tempo una ricca espressività. Intendo dire che se da un lato gli strumenti hanno dato un senso compiuto alle strutture, dall’altro l’architettura stessa ha raggiunto l’apice del suo valore simbolico. Un’unione perfetta.
In veste di ricercatrice, mi ha emozionato poter ripercorrere, attraverso i disegni originali, l’intera storia del complesso, dalle idee iniziali fino alla realizzazione finale. Altrettanto interessanti sono i progetti rimasti incompiuti. In quei disegni io ritrovo la grande passione dell’architetto Dubový per il funzionalismo, e intuisco la sua soddisfazione nel poter dare una forma concreta alle proprie visioni. Poi, rifletto sul fatto che l’Osservatorio è il frutto dell’impresa di due giovani uomini, l’architetto Dubový e l’astronomo Mišković. È grazie al loro grande entusiasmo e alla loro dedizione che un progetto così grandioso si è potuto completare in così breve tempo.
Più vi addentrate nella storia dell’Osservatorio, più capite l’importanza delle storie delle singole persone che lo hanno realizzato, che vi hanno vissuto e lavorato, e che, nonostante le difficoltà di quei tempi, non hanno abbandonato la loro strada. E imparate a rispettare i loro sforzi.
L’Osservatorio custodisce strumenti astronomici straordinari. Come ci sono arrivati?
La storia della strumentazione di cui è dotato l’Osservatorio è interessante almeno quanto la storia della sua costruzione. Inaugurato nel 1891, ma in una sede diversa da quella attuale, l’Osservatorio subì gravissimi danni durante la Prima guerra mondiale. Il suo fondatore, Milan Nedeljković, trovò però la forza di ricominciare da capo, mosso da chissà quanta rabbia, ma anche da tanto entusiasmo. Fu sua l’idea di domandare al nuovo governo jugoslavo, uscito vittorioso dal conflitto, di acquistare nuovi strumenti astronomici dalla Germania come indennità di guerra. Era probabilmente l’unica chance di rimettere in funzione l’Osservatorio, e Nedeljković ne era consapevole. L’accordo fu sottoscritto nel 1922. Furono acquisiti strumenti costosi e tecnologicamente all’avanguardia (con componenti prodotti da Zeiss e da Askania), a testimonianza della forte volontà del nuovo Regno jugoslavo di sostenere la ricerca scientifica.
L’arrivo degli strumenti rese necessario costruire una nuova sede, a spese del governo. Per l’occasione fu richiamato in patria dalla Francia il giovane astronomo Vojislav Mišković, che ho menzionato prima. Mišković fu incaricato sia di ideare la disposizione dei nuovi strumenti, sia di determinare la località più adatta per la costruzione della nuova struttura.
Fu subito chiaro che non c’erano le risorse necessarie per assemblare tutti gli strumenti, alcuni dei quali rimasero impacchettati in attesa di giorni migliori. Vennero edificati cinque padiglioni, mentre un sesto fu eretto sul tetto dell’Ufficio centrale. Non dobbiamo dimenticare che l’installazione degli strumenti non prevedeva solo il montaggio delle apparecchiature in sé, ma anche l’assemblaggio delle cupole rotanti (anch’esse acquisite come riparazione di guerra dalla Germania). Nel caso del Grande telescopio rifrattore, che è ancora oggi il quarto al mondo per dimensioni, oltre alla cupola fu acquisita e montata anche un’imponente piattaforma semovente. Uno degli strumenti, il Circolo meridiano trasportabile, fu invece donato all’Università di Zagabria.
E i restanti strumenti?
I tre strumenti detti ‘fondamentali’ (il Grande circolo meridiano, il Grande circolo verticale e il Grande telescopio di transito) furono installati solo nel 1958, per iniziativa di una équipe di astronomi russi. Uno di questi è andato distrutto nel 1999, non per i bombardamenti della NATO ma a seguito di un incendio divampato in un padiglione attiguo, in cui stazionava un’unità dell’esercito serbo. Una sorte altrettanto triste è toccata al Grande telescopio rifrattore equatoriale: fu installato nel 2004 per osservare il passaggio di Venere, ma di recente è stato smantellato e rimosso... non si sa bene da chi.
Poi c’è l’Astrografo, uno strumento eccezionale che negli anni ‘40 e ‘50 consentì la scoperta di nove planetoidi riconosciuti. Qualche anno fa il padiglione è stato occupato illegalmente, e ancora oggi il suo ‘inquilino’ non permette a nessuno di entrarci!
Infine non possiamo dimenticarci dei due strumenti che furono rimossi già durante l’occupazione tedesca di Belgrado, dal 1941 al 1944, ovvero lo Spettroeliografo e il cosiddetto ‘cerca-comete’. Quest’ultimo è uno dei soli tre esemplari di ‘cerca-comete’ mai realizzati, e ha una storia avvincente...
Ce la puoi raccontare?
Il ‘cerca-comete’ venne montato in un apposito padiglione sul tetto dell’edificio dell’Ufficio centrale. Si ritiene che sia stato portato via dall’esercito tedesco in virtù del valore esclusivo che aveva per l’ormai indebolito apparato militare hitleriano. L’idea, pare, era quella di utilizzarlo per la costruzione di un’arma speciale. Da allora le tracce del ‘cerca-comete’ sono però andate perdute, e ancora oggi non sappiamo dove sia andato a finire. Qualcuno sostiene, ma forse sono solo dicerie, che gli imballaggi nei quali venne trafugato siano stati ritrovati nei pressi di Catania, in Sicilia. Esiste una leggenda anche su Jashek, l’astronomo viennese che ne supervisionò la rimozione. Alcuni astronomi serbi lo incontrarono molti anni più tardi a un convegno scientifico, ma pare che Jashek abbia negato di aver mai messo piede a Belgrado.
Che attività svolge oggi l’Osservatorio?
Il personale scientifico dell’Osservatorio lavora nell’ambito di progetti di ricerca internazionali che hanno come oggetto la cinematica dei corpi celesti, i nuclei galattici attivi, i modelli di sistemi stellari e galattici, la cosmologia, l’astrobiologia, le stelle binarie e la fisica solare. Inoltre, sta per essere inaugurato un nuovo telescopio sul monte Vidojevica, nella Serbia sud-orientale. Questo progetto ha un nome curioso: BELISSIMA (Belgrade Initiative for Space Science, Instrumentation and Modelling in Astrophysics).
A proposito di ‘italiano’, durante una delle mie visite ho conosciuto Giovanni, un giovane ricercatore dell’Università di Padova che era venuto a Belgrado per studiare i nuclei galattici attivi. Giovanni è stato così gentile da tenere una breve lezione di astronomia per me e un gruppo di amici ‘profani’. Ci ha spiegato che la luminosità di certi nuclei galattici attivi, che sono in pratica le ‘culle’ delle nuove galassie, è più elevata di quanto dovrebbe, e che questa potrebbe essere una prova che anche i buchi neri emettono luce. E’ stato davvero emozionante starlo ad ascoltare.
Oggi in alcuni edifici dell'Osservatorio vivono delle famiglie. Chi sono queste persone?
Gli osservatori astronomici vengono di norma costruiti a debita distanza dai centri urbani, per via dell’inquinamento luminoso. Inoltre, l’osservazione del cielo è un’attività prevalentemente notturna. Per queste due ragioni, non è raro che gli osservatori includano anche strutture pensate per essere abitate più o meno stabilmente dal personale. L’Osservatorio di Belgrado non fa eccezione. Nei tardi anni ‘20, il luogo in cui sorge era ritenuto ‘periferia’, trovandosi a 6 km dalla città. E’ quindi ovvio che l’architetto Dubový abbia predisposto la costruzione di appartamenti destinati sia agli astronomi che al personale amministrativo e a quello tecnico.
Nel corso degli anni la città di Belgrado si è ingrandita, inglobando la collina di Zvezdara e privando gradualmente queste strutture della loro funzione originaria. Negli anni ‘90 si sono create le condizioni affinché gli appartamenti abitati dagli astronomi e dalle loro famiglie venissero acquisiti a prezzi molto convenienti, diventando così proprietà privata. Questo ha aperto la strada alla loro successiva vendita ad acquirenti esterni.
L’arrivo dei nuovi abitanti, del tutto estranei alla comunità originaria, ha però prodotto il deterioramento delle strutture abitative. In certi casi, le qualità architettoniche sono andate perdute del tutto. Ecco perché è urgente interrogarsi sul futuro di questo complesso così speciale, che è situato - non dimentichiamolo - in una località molto attraente.
Qual è il valore dell’Osservatorio astronomico per la città di Belgrado? E quali i piani per il suo futuro?
Il passaggio del tempo e le trasformazioni sociali hanno lasciato un segno profondo sull’Osservatorio. Le sue funzioni sono parzialmente cambiate. Gran parte della strumentazione astronomica è operativa, ma inutilizzata. Infine, le persone che vi abitano non hanno alcun legame con lo slancio originale che ottanta anni fa portò alla costruzione di questo grandioso complesso.
L’indagine che abbiamo realizzato ci ha consentito di apprezzare il valore culturale, unico e straordinario, che l’Osservatorio ha per Belgrado e per la Serbia. Eppure non esistono progetti concreti per il suo futuro. Potremmo dire che è simbolicamente rimasto lassù, sospeso al di sopra di Belgrado, isolato in cima alla collina che lo ospita.
Oggi ci troviamo di fronte alla complessa sfida della sostenibilità, una parola spesso abusata che però almeno in questo caso trova un senso chiaro e concreto. La risposta a questa sfida potrebbe essere la trasformazione dell’Osservatorio in museo, di cui già si discute. A questo riguardo, dobbiamo chiederci a che cosa servono, oggi, i musei. Io sono convinta che un futuro museo dell’Osservatorio dovrà servire non solo ad avvicinarci all’epoca della sua costruzione e a conservarne i ritrovati scientifici e tecnologici, ma anche a riattivare il nostro rapporto con la sua funzione fondamentale. Quella di insegnarci a vedere attraverso il tempo, indagando il passato, e attraverso lo spazio, alzando il nostro sguardo verso le stelle.
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