Božidar Stanišić ci invita alla scoperta di Grozdana Olujić, una delle scrittrici jugoslave più tradotte al mondo, ma ancora quasi sconosciuta in Italia e del suo libro di Izlet u nebo, "Gita in cielo" romanzo prima lodato e poi violentemente sfrondato dalla censura
Grozdana Olujić?
Forse di tanto in tanto potrei anche aiutare concretamente i lettori? Non scandagliate inutilmente la rete e i cataloghi delle biblioteche italiane – non vi troverete altro che qualche informazione sul suo romanzo Glasovi u vetru (Voci nel vento, Stilo editrice, Bari 2018, traduzione dal serbo: Danilo Capasso), l’unico ad essere stato tradotto in italiano. E se quest’opera non avesse vinto il premio NIN nel 2009 (quindi prima che questo riconoscimento letterario perdesse il suo prestigio), sarebbe rimasta sconosciuta al pubblico italiano?
Perché rovinare questo articolo commemorativo parlando dell’emarginazione – nel panorama editoriale italiano – delle opere di quella che è meritatamente considerata una delle scrittrici jugoslave più tradotte al mondo?1 (Vecchio, non provocare nuovamente quei lettori che fanno presto a dire: “Stesse litanie, stesse lamentele! Ancora?!”. Parlo, ovviamente, tra me e me, quindi la frase precedente la potete anche saltare.) Sarebbe di certo meglio iniziare dicendo qualcosa sull’unica opera di Grozdana Olujić disponibile in edizione italiana...
Se decidete di prendere in mano il romanzo Voci nel vento, lo leggerete fino alla fine, ne sono convinto. La storia raccontata dalla voce narrante di Danilo Aracki, che ripercorre il destino di una famiglia borghese serba, è una prosa in cui le caratteristiche formali del romanzo familiare si intrecciano con quelle della letteratura dell’esilio. Il dramma di una famiglia diventa uno specchio del tutto peculiare che riflette anche il dramma di un Novecento segnato da guerre e migrazioni.
Il racconto di Aracki è scevro da patetismi e lamenti proprio perché prevale una narrazione convincente, che ripercorre i fatti che non possono essere considerati mero frutto dell’immaginazione. Per questo la domanda che qui sorge spontanea – Aracki è un alter ego dell’autrice? – forse non è poi nemmeno così importante. Questo, e tutti gli altri aspetti delle Voci nel vento, li lascio alla sensibilità e al giudizio dei lettori di questo romanzo, che sembra ruotare attorno al tema dell’impossibilita di sfuggire ai fantasmi del passato. Sono quegli stessi fantasmi che sopportiamo più facilmente se li consideriamo ricordi?
Il vero motivo che mi ha spinto a scrivere questo articolo è Izlet u nebo [Gita in cielo], il romanzo d’esordio di Grozdana Olujić. Focalizzandomi su Izlet u nebo, e su alcuni materiali d’archivio che raccontano il contesto in cui è nata quest’opera, ancora capace di suscitare grande interesse, ovviamente non intendo sminuire le altre opere di Olujić. Prima però due parole sull’autrice.
Olujić, scrittrice, autrice di fiabe, saggista e traduttrice, nacque nel 1934 a Erdevik (comune di Šid), in Vojvodina. Dopo essersi diplomata al ginnasio di Bečej, si trasferì a Belgrado dove concluse gli studi universitari di I e II livello in lingua e letteratura inglese alla Facoltà di Filologia. Esordì nel 1953 con un racconto apparso sulle pagine del quotidiano Borba. A 22 anni scrisse il suo primo romanzo Izlet u nebo, di cui parleremo più avanti.
Nel 1963 Glasam za ljubav [Scelgo l’amore] fu selezionato dalla rivista zagabrese Telegraf come miglior romanzo breve dell’anno. Quest’opera, come anche Izlet u nebo, ispirò un film 2 e fu tradotta in diverse lingue europee. Dopo i romanzi Ne budi zaspale pse [Non svegliare i cani che dormono, 1964] e Divlje seme [Seme selvaggio, 1967] – pubblicati dalla casa editrice Prosveta di Belgrado, una delle più rinomate realtà del panorama editoriale jugoslavo – si dedicò alla scrittura di fiabe e racconti per bambini, conquistando il cuore dei lettori più giovani e una solida fama internazionale. Traduceva dal francese, dal russo e dall’inglese.
Alla fine degli anni ’60 trascorse un periodo in Iowa, dove frequentò un corso di scrittura, per poi ritornare negli Stati Uniti (1982-1984) grazie ad una borsa del programma Fulbright, tenendo lezioni su Kafka alla California University di Los Angeles (1983) e sulla poetica della fiaba alla Columbia University di New York. Negli anni ’80 fece anche tre viaggi in India, guidata dal suo crescente interesse per la filosofia e la cultura indiana. In quel periodo scrisse diversi saggi su Franz Kafka, Thomas Wolfe, Marcel Proust e Virginia Woolf.
Tornò alla prosa per adulti con Afrička ljubičica [Viola africana, 1985], una raccolta di racconti brevi, alcuni dei quali furono inclusi in diverse antologie della letteratura europea e mondiale e tradotti in varie lingue. Nell’ultima fase della sua produzione letteraria si dedicò alla scrittura del romanzo Voci nel vento. Sono dovuti passare cinquantacinque anni affinché il suo romanzo Preživeti do sutra [Sopravvivere fino a domani], scritto nel 1962, venisse dato alle stampe (il manoscritto fu trovato dal figlio della scrittrice, Aleksandar Lešić). Dopo aver pubblicato tutti e sei i romanzi di Grozdana Olujić nel 2018, l’editore Srpska književna zadruga di Novi Sad nel 2022, quindi tre anni dopo la morte della scrittrice, decise di pubblicare la sua opera omnia in quattordici volumi. 3
Il romanzo Izlet u nebo fu scelto, tra i 157 manoscritti presentati, come vincitore di un concorso letterario, all’epoca molto prestigioso, organizzato dalla casa editrice Narodna prosvjeta di Sarajevo. Inizialmente lodato (un gesto ovviamente incauto) come frutto di un autentico stile narrativo, il romanzo venne censurato, tanto che dalla prima edizione, uscita nel 1957, fu rimosso un terzo delle pagine. Se è vero che dopo il Congresso degli scrittori jugoslavi, tenutosi nel 1952 a Lubiana, iniziò a soffiare un vento nuovo, è anche vero che quel vento si rivelò troppo debole per liberare la scena letteraria non solo dai censori, ma anche dall’autocensura.
Del romanzo d’esordio di Grozdana Olujić scrissero molti esponenti di spicco della critica letteraria jugoslava. Nessuno però si azzardò a confermare le prime recensioni positive che lodavano il valore letterario dell’opera e l’autenticità della voce dell’autrice. La storia di Minja – studentessa che dalla provincia giunse nella Belgrado postbellica appesantita dai ricordi di guerra, su cui però rifletteva senza alcun patriottismo, osservando il mondo intorno a sé con i propri occhi – ben presto divenne “un caso”.
Il caso del romanzo Izlet u nebo, inizialmente elogiato da una giuria, per poi essere apertamente criticato come immorale, viene rievocato da Slavica Garonja Radovanac nella sua monografia Žena u srpskoj književnosti [La donna nella letteratura serba], pubblicata nel 2010 dall’editore Dnevnik di Novi Sad. Così scopriamo che, tre mesi dopo essere caduto nell”’ebbrezza” leggendo Izlet u nebo, in cui vide “un pezzo della nostra gioventù, un tassello della verità su di noi”, un critico, improvvisamente “tornato sobrio”, scrisse: “No, non siamo noi […] questa non è la verità su di noi”.
Guardato con sospetto in patria, il romanzo d’esordio di Grozdana Olujić riscosse un grande successo a livello mondiale e fu pubblicato in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Cecoslovacchia, Stati Uniti, India…
Nonostante la censura, Izlet u nebo, che un critico definì “un’escursione fallita nella letteratura”, ispirò uno spettacolo messo in scena nel 1959 al Teatro drammatico di Belgrado (col titolo Čudna devojka [Una ragazza insolita], per la regia di Milenko Maričić). Ben presto però lo spettacolo venne rimosso dal cartellone e fu ritirato anche l’invito a partecipare allo Sterijino pozorje, il più importante festival teatrale jugoslavo.
Sul palcoscenico Minja dice di percepire se stessa come “una mosca bianca nello yogurt svenuta per la fame”. Un’affermazione troppo forte per chi prometteva orizzonti luminosi? Minja fu interpretata da Radmila Andrić, Nenad da Voja Mirić e Peđa da Zoran Radmilović. Nel 1962 uscì l’omonimo film, diretto da Jovan Živanović (prodotto dalla Avala film), nel quale il ruolo di Minja fu affidato alla giovane Špela Rozin, secondo molti una delle migliori (e più belle) attrici slovene. Il resto del cast rimase invariato. Fu il primo ruolo cinematografico del mitico Zoran Radmilović. Il film fu incluso tra le opere del Crni talas [Onda nera]. Vale la pena vederlo.
Leggendo le interviste con le giovani scrittrice serbe, ma anche con quelle degli altri paesi della regione post jugoslava (penso soprattutto alle scrittrici che ostentano il loro femminismo) – interviste in cui non mi sono mai imbattuto in affermazioni che ricordano le grandi scrittrici del passato (come Isidora Sekulić, Anica Savić Rebac, Svetlana Velmar Janković) ma anche quelle contemporanee, come Jelena Lengold – spesso mi torna in mente Grozdana Olujić. Allora dico a me stesso: scriveva maledettamente bene! Forse perché sapeva che ogni libro, come ogni essere umano, ha il suo destino?
Il destino di Izlet u nebo? Questo romanzo è sopravvissuto all’epoca in cui è nato e oggi lo possiamo leggere in edizione integrale. Forse anche chiedendoci perché la letteratura sia così fortemente svalutata? Di temi cupi però parleremo un’altra volta. Oggi è l’8 marzo.
Un frammento del romanzo Izlet u nebo
Poi camminavamo per le strade e sceglievamo i mobili per la nostra casa immaginaria, guardavamo fornelli elettrici, frigoriferi, entravamo nei negozi e chiedevamo il prezzo di questa o quella stoffa, sorridevano gentilmente e dicevamo: - Tenetecela da parte, per favore, torneremo più tardi.
Di negozi e vetrine ve n’erano in abbondanza e noi portavamo avanti il nostro gioco.
– Vuoi una casa con balcone o senza? – chiedeva Nenad, e io, apparentemente colta di sorpresa, rispondevo: Con balcone, naturalmente, con balcone.
Poi discutevamo dei vantaggi del centro rispetto alla silenziosa freschezza della periferia, scegliendo però quest’ultima.
– Lì i nostri figli potranno giocare senza avere paura dei tram e dei camion. – disse. – E di figli, sicuramente, ne avremo due.
“Una bimba bionda e taciturna come lui” – pensai – “e un maschietto testardo come me”. Quei bambini, ovviamente, non scopriranno mai cosa vuol dire mangiare solo fagioli e indossare abiti ricavati da una vecchia gonna della madre. Non conosceranno la parola morte.
Per loro gli aerei non somiglieranno alle stelle osservate infilando lo sguardo tra le travi del tetto. Non giocheranno mai alla guerra, perché non sapranno cosa sia la guerra. Quando guarderanno qualcuno negli occhi, non dovranno chiedersi: “Chissà cosa pensa questa persona?”. Quando si innamoreranno, non diranno: perché? I loro sguardi non rifletteranno mai l’insicurezza e la paura. Rideranno molto, portando una manciata di stelle negli occhi. Forse a volte saranno ribelli e testardi e cercheranno un approdo, ogni giovane lo cerca, non dovranno però vagabondare a lungo e quel vagabondaggio non sarà vano.
Davvero? – mi chiedo improvvisamente e nei miei occhi sorge un dubbio, seguito da un sorriso smorzato. Perché inventare simili giochi? Nessuna finzione, nessuna distrazione potrà mai cambiare la nostra infanzia, non potrà alterare il corso dei giochi già fatti né di quelli che devono ancora essere giocati. Eppure: forse esiste una soluzione? Quale soluzione? – alzo la mano in segno di rassegnazione. Un paese con diciassette milioni di persone può avere grandi speranze e tante buone intenzioni, ma affinché un domani il mondo diventi un posto sicuro, è necessaria la fiducia di tutti i suoi abitanti.
1] Ringrazio il professor Aleksandar Lešić, figlio di Grozdana Olujić, per il suo generoso aiuto.
2] Regia: Toma Janić; sceneggiatura: Toma Janić e Josip Lešić; cast: Vukosava Krunić, Slobodanka Marković, Branislav Miladinović, Drago Mitrović, Hermina Pipinić, Boško, Pavle Vuisić; produzione: Bosna film, Sarajevo; durata 94 minuti.
3] A cura di Zorana Opačić, Jelena Panić Maraš, Valentina Hamović, Aleksandar Jovanović, Radivoje Mikić, Marko Nedić, Petar Pijanović, Strahinja Ploić, Milivoje Mlađenović.
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