(foto Andrys)

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La scorsa settimana il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, Nils Muižnieks, ha effettuato una visita in Serbia. Tra i vari punti toccati la preoccupante situazione dei media e le pressioni esercitate dal potere sugli stessi

24/03/2015 -  Dragan Janjić Belgrado

“Sostenere il pluralismo dei media e il dibattito critico è un dovere del governo. In questo senso, il comportamento degli alti funzionari dello stato - i segnali che mandano, la retorica che usano, la scelta degli interlocutori e dei modi di comunicare – è molto importante per creare un'atmosfera generale di superamento delle situazioni conflittuali verificatesi nel passato“, ha ribadito il Commissario del Consiglio d'Europa Nils Muižnieks al termine della recente visita in Serbia (18-20 marzo).

Con questa affermazione, concisa e formulata in toni diplomatici, Muižnieks ha sottolineato uno dei problemi più seri con cui si scontra la scena mediatica serba: il comportamento quotidiano dei rappresentanti del potere nei confronti di giornalisti e media.

Nel valutare la situazione dei media in Serbia, il commissario ha preso in considerazione due documenti – il Rapporto annuale dell'ombudsman e quello del Consiglio anticorruzione relativi al 2014 – nei quali sono state espresse le seguenti considerazioni: forte preoccupazione per la situazione dei media, mancanza di trasparenza negli assetti proprietari, esistenza di vari meccanismi di pressione esercitati sui media dagli ambienti governativi, soppressione delle realtà mediatiche aperte alla pluralità delle opinioni, disinteresse dei principali media nei confronti della ricerca di informazioni, diffusa manipolazione dell'informazione.

Poco prima del termine della visita del commissario, la polizia comunale di Belgrado ha fermato un gruppo di cittadini che diffondevano materiale critico nei confronti del progetto “Belgrado sull'acqua”, una faraonica impresa urbanistica voluta dal governo locale e nazionale nel centro storico della capitale serba. Il materiale informativo è stato sequestrato e, insieme ai promotori dell'iniziativa, è stata fermata anche la giornalista dell'agenzia Beta, che stava realizzando un servizio sull'evento. Ogni tentativo della giornalista di spiegare chi fosse e cosa stesse facendo si è dimostrato inutile.

L'incidente in questione, anche se non è entrato nell'agenda del Commissario, rappresenta un esempio emblematico dei seri problemi seri con cui si scontrano i giornalisti e i media in Serbia, in quanto mette in risalto almeno due comportamenti, che possono essere interpretati come gravi violazioni della libertà di espressione. Il primo, ovviamente, la decisione del governo di porre in stato di fermo persone che diffondono materiale informativo critico verso un progetto governativo. Questo comportamento è sempre deplorevole, anche nel caso in cui gli attivisti mancano di informare in tempo le autorità della loro iniziativa. Secondo, la decisione, del tutto illegittima, di fermare una giornalista mentre faceva il suo lavoro.

La legge

L'esecutivo serbo ha fatto sapere al Commissario Muižnieks, così come ad altri rappresentanti di diverse organizzazioni e istituzioni europee ed internazionali recatisi in visita in Serbia, di aver già adottato un nuovo set di leggi sui media, considerato come un passo importante e positivo sia dalle istituzioni che dalla maggior parte delle associazioni ed organizzazioni dei giornalisti. Nella prassi, tuttavia, la situazione è ancora in stallo, se non in fase di peggioramento.

L'atteggiamento dell'attuale establishment politico, compresi i ministri ed altri funzionari del governo nonché i rappresentanti dei partiti al potere, nei confronti dei giornalisti e dei mezzi di informazione, è sprezzante e caratterizzato da una diffusa propensione a reagire a qualsiasi domanda non gradita con l'accusa rivolta ai giornalisti di essere “traditori“, portavoce dei tycoon, etc.

Dal canto suo, il ministro della Cultura e dell'Informazione Ivan Tasovac sostiene, come ha riferito anche al commissario Muižnieks, che le preoccupazioni espresse nei rapporti summenzionati si riferiscono a fatti avvenuti nel 2014, mentre nei primi mesi di quest’anno la situazione sarebbe migliorata. Simili osservazioni dei rappresentanti dell'esecutivo non trovano riscontro nella realtà, come evidenziato dall'incidente riguardante l'iniziativa contro il progetto “Belgrado sull'acqua”, e il fermo della giornalista che stava facendo un servizio sull’iniziativa, né vengono condivise dalle associazioni dei giornalisti, che non hanno notato alcun notevole miglioramento della situazione negli ultimi tre mesi.

Ora tutti i riflettori sono puntati sul nuovo set di leggi sui media che dovrebbe creare le condizioni per un reale miglioramento della situazione. In questo contesto, il Commissario ha sottolineato l'importanza cruciale del modo in cui queste leggi verranno messe in atto, esortando le istituzioni a fare il possibile per garantire una loro applicazione coerente ed imparziale. Le leggi di per sé non porteranno alcun miglioramento significativo se coloro da cui dipende l’applicazione, prima di tutti i rappresentanti governativi, non decidono di cambiare il loro atteggiamento nei confronti dei media.

“Non tutte le pressioni vengono esercitate direttamente dal governo, che però, nel caso decidesse di mandare segnali di disapprovazione nei confronti di determinati giornalisti o mezzi di informazione, sarebbe da ritenersi responsabile per eventuali conseguenze”, ha precisato il Commissario, condividendo l'impressione che l'applicazione delle leggi ed altre questioni legate alla libertà dei media siano politicizzate e condizionate da un clima profondamente polarizzato. In poche parole, non vi è nessuna garanzia che le cose possano migliorare nel prossimo futuro.

Manipolazione

I ministri e gli altri funzionari naturalmente saranno sempre propensi a fornire valutazioni positive, ed è per questo che le loro dichiarazioni non possono costituire un valido criterio per determinare e valutare il vero stato dei media, compreso il grado di libertà dell’informazione. A tale riguardo, è cruciale l'opinione degli stessi giornalisti e dei mezzi di informazione, nonché quella di quei segmenti della società civile ancora capaci di percepire in modo critico le libertà raggiunte, e da parte loro non c'è molto ottimismo. Al contrario, si ha l'impressione che la loro preoccupazione e insoddisfazione stiano crescendo.

La principale obiezione delle associazioni dei giornalisti sta nel fatto che la maggior parte dei media (ovvero i loro proprietari e caporedattori) sembra aver ceduto alle pressioni esercitate dagli ambienti governativi, perché invece di riportare notizie relative a problematiche ed eventi di maggiore rilievo, adottano i discorsi imposti dall'establishment politico. A conferma di ciò, i principali media non dedicano molto spazio alla polemica creatasi intorno al progetto “Belgrado sull'acqua”, pur essendo a conoscenza dei pareri negativi degli esperti dell'Accademia delle scienze e della grande disapprovazione da parte dei cittadini, si limitano a riportare qualche osservazione critica di esperti o partiti di opposizione, senza approfondire l'argomento.

D'altro canto, è curioso il modo in cui l'amministrazione locale affronta le critiche. In una trasmissione televisiva, il sindaco di Belgrado ha mostrato tre diverse fotografie rappresentanti la zona interessata dal progetto: una scattata prima dell'inizio dei lavori, l'altra relativa all'attuale stato di cose (con molti edifici già abbattuti), e l'ultima rappresentante il plastico della futura città sull'acqua. Gli esperti, in quell'occasione, hanno espresso precise obiezioni su vari aspetti del progetto, come ad esempio l'organizzazione dei trasporti, il rispetto del contesto urbano ed ambientale della città, i finanziamenti, ecc., ma le risposte del sindaco sono rimaste lacunose.


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