Ormai da tre mesi a Belgrado e in altre città della Serbia si svolgono manifestazioni di protesta anti-governative. Dopo l’irruzione della scorsa settimana alla sede della tv pubblica, si è giunti ad un punto di svolta. Ma, come recita uno degli slogan dei manifestanti, “siamo solo all’inizio”
Le manifestazioni di protesta contro il governo serbo, che da alcuni mesi si svolgono a Belgrado e in almeno altre 80 città della Serbia, lo scorso fine settimana per la prima volta sono state caratterizzate da incidenti e scontri con la polizia.
A guidare le proteste di sabato e domenica scorsi sono stati, per la prima volta, i leader dell’opposizione serba, e non gli attori, scrittori, giornalisti e altre persone pubbliche che finora hanno avuto un ruolo chiave nell’organizzazione delle manifestazioni.
Il leader del movimento nazionalista Dveri Boško Obradović ha svolto un ruolo di primo piano nelle manifestazioni dello scorso fine settimana. Obradović ha approfittato della relativa inerzia di altri leader dell’opposizione, dimostrando di essere più determinato di altri e pronto a rischiare.
L’impressione è che i manifestanti che lo scorso sabato hanno fatto irruzione nella sede della Radiotelevisione della Serbia (RTS), tra i quali c’era anche Obradović, fossero in gran parte sostenitori del movimento Dveri.
Il giorno successivo, domenica 17 marzo, Obradović ha guidato la protesta davanti al palazzo della presidenza della Repubblica. I sostenitori dell’opposizione hanno circondato il palazzo dove il presidente Aleksandar Vučić teneva una conferenza stampa, durante la quale ha accusato i leader dell’opposizione di aver trasformato le manifestazioni pacifiche in proteste violente.
È vero che l’irruzione nell’edificio della RTS è stata piuttosto violenta, ma non ci sono stati feriti gravi. Dopo qualche tafferuglio, la polizia ha allontanato i manifestanti dall’edificio, arrestando alcune persone, tra uno studente diciottenne, Pavle Cvejić.
Gli incidenti dello scorso fine settimana hanno suscitato grande attenzione da parte dell’opinione pubblica serba, grazie anche alla veemente campagna mediatica intrapresa dai rappresentanti del potere contro i leader dell’opposizione.
È sempre più diffusa l’opinione che Obradović sia diventato il vero leader dell’opposizione e che “stia prendendo in mano il timone”. A questo ha contribuito anche il fatto che Vučić e gli esponenti del governo da qualche tempo hanno iniziato ad attaccare pubblicamente Obradović, bollandolo come fascista.
La leadership al potere ha intrapreso una campagna contro l’opposizione allo scopo di dimostrare che le proteste sono pura violenza nella quale l’estrema destra gioca un ruolo fondamentale, bollando i leader dell’opposizione come violenti e inclini all’uso di mezzi non democratici.
Tuttavia, già solo il fatto che il leader del movimento Dveri sia diventato bersaglio di una dura campagna mediatica ha contribuito all’aumento della sua popolarità, soprattutto tra i sostenitori dell’opposizione di destra.
I cittadini e gli intellettuali filoeuropei e liberali guardano con sospetto all’“ascesa” di Obradović, temendo che l’estrema destra possa esercitare una significativa influenza sul movimento di protesta.
Molti di loro non vogliono prendere parte alle manifestazioni alle quali partecipa Obradović, e questo è probabilmente il motivo per cui le proteste svoltesi lo scorso fine settimana davanti alla sede della RTS e intorno al palazzo della presidenza sono state meno partecipate rispetto alle manifestazioni che, da quasi quattro mesi, ogni sabato sera si svolgono nel centro di Belgrado.
Se questa tendenza dovesse continuare, i leader dell’opposizione avranno motivo di preoccuparsi.
La destra
Uno dei motivi per cui nelle ultime settimane il movimento Dveri e Boško Obradović sono molto presenti nel dibattito pubblico risiede nel fatto che i politici di destra si sentono a proprio agio nelle situazioni straordinarie, come le proteste di strada.
Obradović è un politico giovane, capace di esprimersi in modo chiaro e convincente, ma nonostante sia diventato “molto visibile” all’interno della coalizione dei partiti di opposizione, è poco probabile che possa assumere un ruolo chiave nel movimento di protesta contro la leadership al potere.
Le altre forze di opposizione, come il Partito democratico (DS) guidato da Zoran Lutovac, il Partito popolare (NS) di Vuk Jeremić e le forze raggruppate intorno a Dragan Đilas, uno dei leader dell’Alleanza per Serbia (coalizione dei partiti di opposizione), hanno più sostenitori e godono di buoni rapporti con le potenze occidentali, per cui potranno tenere a bada Obradović.
I partiti di opposizione sono certamente consapevoli del fatto che tra di loro esistono grandi differenze e che sarà difficile accordarsi su una piattaforma politica comune. Ed è per questo che continuano a insistere sul fatto che il loro obiettivo è quello di costringere il governo ad accettare una riforma della legge elettorale e a consentire agli esponenti dell’opposizione l’accesso ai media mainstream, evitando qualsiasi dibattito su altre questioni di rilevanza politica.
È quasi certo che, se e quando si terranno le elezioni alle condizioni richieste dall’opposizione, le forze di opposizione non si presenteranno con una lista unitaria, ma formeranno alleanze in base alla prossimità ideologica.
La divisione tra le forze di opposizione lungo “la linea ideologica” è infatti già iniziata ed è evidente soprattutto nelle critiche, sempre più dure, sul ruolo di Dveri e Obradović nel movimento di protesta.
I partiti di orientamento filoeuropeo che fanno parte dell’Alleanza per la Serbia devono tenere conto di questo fatto se vogliono evitare di perdere ulteriori consensi. Infatti, i partiti di opposizione non intendono rompere la collaborazione in un prossimo futuro, perché ritengono che così facendo diventerebbero un bersaglio ancora più facile, mentre la posizione della coalizione di governo e del presidente Vučić ne uscirebbe rafforzata.
Quindi c’è da aspettarsi che, fino alle prossime elezioni, le forze di opposizione restino sotto “l’ombrello” dell’Alleanza per la Serbia, creata allo scopo di spingere una riforma che avrebbe garantito lo svolgimento di elezioni eque e democratiche.
Inoltre, è impossibile ignorare il fatto che la maggior parte dell’elettorato serbo è di orientamento nazionalista e di destra, e che il partito al governo, il Partito progressista serbo (SNS), continuerà a vincere le elezioni finché un’altra forza politica non comincerà ad attirare a sé una parte del suo elettorato.
Lo potrebbe fare il movimento Dveri, ma anche il Partito popolare di Jeremić, che è una formazione di centro-destra. Anche il Partito democratico, che sta cercando di posizionarsi nell’area di centro-sinistra, vorrebbe conquistare una parte dell’elettorato dell’SNS moderatamente nazionalista.
I partiti e i movimenti di orientamento liberale e filoeuropeo possono mobilitare gli elettori delusi e apatici appartenenti alla classe media e più istruita, ma non possono conquistare l’elettorato dei partiti della coalizione di governo.
Fiacchezza
È chiaro, quindi, che i partiti di opposizione hanno bisogno di intrattenere rapporti di “coesistenza” e che continueranno a farlo ancora per un certo periodo perché, nonostante le grandi differenze ideologiche, sono uniti dallo stesso obiettivo: creare le condizioni per elezioni eque e democratiche e far cadere il regime autocratico che sta cercando di soffocare la libertà di espressione e di cancellare lo stato di diritto nel paese.
I movimenti civici e le organizzazioni non governative che giocano un ruolo importante nelle proteste non sono molto entusiasti della strategia adottata dall’opposizione, per cui ci vorrà molto impegno e molta comprensione da entrambe le parti per mantenere il livello di collaborazione finora raggiunto. Se non dovessero riuscirci, le proteste potrebbero sgonfiarsi velocemente.
Ora la responsabilità principale grava sui leader dell’opposizione che lo scorso fine settimana hanno praticamente preso le redini del movimento di protesta contro il governo. La svolta è avvenuta nel momento in cui le proteste hanno cominciato a perdere slancio.
Ormai da tre mesi, ogni settimana, a Belgrado e in altre città della Serbia si svolgono le manifestazioni di protesta, che hanno cominciato a trasformarsi in una sorta di routine. Ci vogliono nuovi stimoli, una piattaforma politica chiaramente definita e un piano d’azione concreto e realizzabile. “L’assalto” alla sede della RTS e al palazzo della presidenza è un momento nuovo, ma non rappresenta di per sé un piano né una piattaforma politica.
Durante l’ideazione di queste azioni evidentemente non si è riflettuto seriamente sui loro obiettivi e limiti, e le richieste dei loro organizzatori sono state più volte modificate. Lo scopo dell’irruzione nella sede della RTS – come spiegato dagli organizzatori – era quello di bloccare la programmazione finché i rappresentanti del movimento di protesta non avranno ottenuto la possibilità di parlare al telegiornale.
Questa richiesta, come c’era da aspettarsi, è rimasta disattesa. Il palazzo della presidenza è stato circondato con l’intento di costringere Vučić a rassegnare le dimissioni, ma il presidente, come atteso, ha completamente ignorato la richiesta. I manifestanti sono poi andati alla sede della polizia municipale, bloccandone l’ingresso e chiedendo che venissero rilasciati i partecipanti alla protesta arrestati il giorno prima, ma verso sera hanno deciso di interrompere l’azione e di dileguarsi, e le loro richieste non sono state esaudite.
Questi esempi dimostrano che le azioni dell’opposizione e degli organizzatori delle proteste vengono pensate ad hoc. Non c’è alcun piano di azione, e l’impressione è che non si sia ancora costituito un “nocciolo duro” della leadership delle proteste che sarebbe in grado di pianificare più dettagliatamente le azioni, facendo stime più realistiche e fissando obiettivi concreti e realizzabili.
Un’eventuale soddisfazione delle richieste radicali, come le dimissioni del presidente Vučić o la richiesta relativa all’accesso dell’opposizione ai media mainstream, sarebbe una sorta di atto finale della caduta dell’attuale potere, uno scenario al momento poco probabile.
Non esiste la bacchetta magica né una soluzione rapida, per cui lo slogan “Non è finita, abbiamo appena iniziato”, che ha caratterizzato le proteste svoltesi lo scorso fine settimana a Belgrado, illustra bene la situazione attuale.
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