"Abbasso Vučić", immagine delle proteste di un anno fa (© Marko Marcello/Shutterstock)

"Abbasso Vučić", immagine delle proteste di un anno fa (© Marko Marcello/Shutterstock)

A meno di tre mesi dalle elezioni, una parte dell’opposizione sta mostrando i primi dubbi relativamente all'annunciato boicottaggio di amministrative e politiche

19/02/2020 -  Dragan Janjić Belgrado

È ormai fuor di dubbio che il Partito progressista serbo (SNS, il principale partito dell’attuale coalizione di governo), guidato dal presidente Aleksandar Vučić, otterrà una vittoria schiacciante alle prossime elezioni politiche in Serbia, in programma per la fine di aprile, assieme alle amministrative.

Oltre che del sostegno della maggioranza della popolazione, Vučić gode ancora dell’appoggio e delle simpatie di Bruxelles e Washington, mentre l’opposizione serba resta frammentata, incapace di elaborare una solida e ben definita piattaforma politica in grado di attirare l’attenzione delle potenze mondiali e di fornire una risposta convincente agli elettori serbi insoddisfatti dell’attuale governo che si chiedono cosa cambierà nella loro vita se alle prossime elezioni dovesse vincere l’attuale opposizione.

Qualche mese fa, l’opposizione serba, insoddisfatta per la mancanza di condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni democratiche, ha annunciato di voler boicottare le prossime parlamentari, e la lotta per il sostegno a questa idea è diventata l’ossatura della politica dell’Alleanza per la Serbia (SZS, la più grande coalizione dei partiti di opposizione).

L’impressione è che, prima di annunciare il boicottaggio, l’opposizione non abbia elaborato alcuna strategia dettagliata, per cui l’idea del boicottaggio nella prassi si è trasformata in una questione politica su cui le forze di opposizione si dividono e si confrontano.

È ormai diventato chiaro che il boicottaggio – che non è di per sé un concetto politico, bensì uno strumento per mettere in atto una politica – non può contribuire in maniera determinante ad innescare cambiamenti sulla scena politica e nella società serba.

A meno di tre mesi dalle elezioni, una parte dell’opposizione sta mostrando i primi segni di esitazione e sembra voler rinunciare all’intenzione di boicottare le elezioni. È quasi certo che la coalizione guidata dall’attuale sindaco di Šabac – una delle poche città dove l’SNS non è mai riuscito a conquistare il potere – deciderà di partecipare alle prossime elezioni amministrative pur, al contempo, invitando al boicottaggio delle elezioni parlamentari.

Alcuni esponenti dell’opposizione potrebbero decidere di partecipare anche alle elezioni amministrative a Paraćin, un’altra città attualmente nelle mani dell’opposizione.

L’ipotesi di un’eventuale partecipazione di alcune forze di opposizione alle prossime elezioni amministrative ha suscitato una forte condanna da parte di alcuni esponenti dell’Alleanza per la Serbia, e questo scontro interno all’opposizione ha solo aumentato la confusione tra gli elettori, e soprattutto tra i sostenitori dell’opposizione.

Divisioni

Le probabilità che nelle prossime settimane i partiti di opposizione raggiungano un’intesa chiara e unanime sulla questione del boicottaggio sono piuttosto scarse.

Oltre ad essersi dimostrati incapaci di spiegare in modo chiaro all’elettorato serbo e alla comunità internazionale le proprie proposte per risolvere i principali problemi politici ed economici della Serbia, i partiti di opposizione hanno iniziato a scontrarsi sull’unica questione, quella appunto del boicottaggio, su cui avevano raggiunto un accordo unanime.

L’idea del boicottaggio ha contribuito a sviluppare nei cittadini serbi una maggiore consapevolezza delle pressioni a cui sono sottoposti i media indipendenti e delle costanti violazioni dei principi democratici da parte del regime di Vučić, e questo è, almeno per ora, l’unico effetto positivo di questa idea.

Se i disaccordi sulla questione del boicottaggio dovessero indebolire fortemente o persino portare allo scioglimento dell’Alleanza per la Serbia, le differenze tra i partiti che fanno parte di questa coalizione potrebbero emergere con maggiore evidenza.

Le forze unite nell’Alleanza per la Serbia finora hanno sempre evitato di mettere in evidenza le differenze tra i loro programmi politici, temendo di indebolire l’unità interna alla coalizione.

Se l’idea del boicottaggio – che è stata finora il principale fattore di coesione e unità dei partiti di opposizione – dovesse essere definitivamente abbandonata, le forze di opposizione avranno la possibilità di promuovere con maggiore insistenza le proprie idee.

Tale svolta potrebbe rivelarsi importante per il futuro della Serbia, ma probabilmente non inciderebbe sull’esito delle prossime elezioni parlamentari, perché l’Alleanza per la Serbia non ha ancora elaborato alcuna piattaforma politica né tanto meno ha presentato i propri candidati per il parlamento.

Se è vero che la leadership al potere sta esercitando forti pressioni sull’opposizione e che i media mainstream – attraverso i quali si informa la stragrande maggioranza dei cittadini serbi – ignorano completamente tutte le notizie che non parlano bene del governo e non danno alcuno spazio alle opinioni degli esponenti dell’opposizione, anzi stanno conducendo una dura campagna denigratoria contro di loro, è altrettanto vero che l’opposizione non è mai riuscita a raggiungere ampie fasce della popolazione e ad andare oltre la retorica incentrata sul carattere dittatoriale del regime di Vučić.

Ed è per questo che le proteste – scoppiate più di un anno fa in molte città della Serbia proprio a causa del mancato rispetto dei principi democratici da parte dell’élite al potere – hanno progressivamente perso di intensità, fino a ridursi alle manifestazioni a cui partecipano relativamente poche persone, da alcune centinaia ad alcune migliaia, organizzate una volta alla settimana a Belgrado e in poche altre città serbe.

Kosovo

Bruxelles e Washington hanno dimostrato comprensione per la posizione dei partiti di opposizione secondo cui in Serbia non ci sarebbero le condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni eque e democratiche, ma non vedono nell’opposizione una forza capace di sostituire l’SNS e Vučić alla guida del paese.

Il mancato sostegno di Bruxelles e Washington all’opposizione serba è dovuto innanzitutto al fatto che i partiti di opposizione non hanno mai avanzato apertamente alcuna proposta per risolvere i principali problemi che affliggono i paesi dei Balcani e per rafforzare la posizione internazionale della Serbia.

L’opposizione serba non ha mai assunto una posizione chiara e univoca sulla questione del Kosovo, e dall’Alleanza per la Serbia arrivano affermazioni contrastanti in merito ai rapporti con la Russia.

I partiti che fanno parte dell’Alleanza per la Serbia esitano ad assumere una netta presa di posizione in merito alla crisi kosovara e ai rapporti bilaterali con i paesi della regione e con la Russia perché temono di perdere consensi.

Il movimento Dveri guidato da Boško Obradović, il Partito della libertà e giustizia (SPP) di Dragan Đilas e il Partito popolare (NS) di Vuk Jeremić ritengono – come hanno fatto sapere a più riprese – che la Serbia non debba assumere un atteggiamento remissivo rispetto alle questioni di cui sopra e accusano Vučić di eccessiva cedevolezza, mentre il Partito democratico (DS) guidato da Zoran Lutovac e il partito Insieme per la Serbia (ZZS) guidato all’attuale sindaco di Šabac Nebojša Zelenović si tengono in disparte.

Quindi, ci sono alcuni indizi che suggeriscono una possibile spaccatura dell’opposizione in due blocchi, uno nazionalista e l’altro filoeuropeo, ma questa è per ora solo un’ipotesi.

Se l’idea del boicottaggio dovesse definitivamente tramontare, il divario tra i partiti di opposizione potrebbe aumentare e i programmi dei singoli partiti potrebbero assumere maggiore importanza, ma nemmeno questo scenario potrebbe incidere in modo determinante sui risultati delle imminenti elezioni parlamentari. Inoltre le forze di opposizione non hanno nemmeno iniziato a discutere in modo serio sulla possibilità di formare alleanze sulla base delle proprie idee e convinzioni politiche, per cui eventuali blocchi dei partiti di opposizione potrebbero formarsi solo dopo le elezioni.


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