In attesa di attraversare il confine tra Serbia e Ungheria, la maggior parte dei rifugiati vive in campi informali fatti di tende e rifugi di fortuna nelle cosiddette “giungle” nel cuore della foresta. In migliaia tentano l'attraversamento verso l'UE, in gergo il "game", cercando di sfuggire alla violenza della polizia. Un reportage
(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans , il 19 settembre 2023)
“Ho già tentato dieci volte di entrare in Ungheria, ma non ci sono riuscito”, afferma Arman. “Però non mi arrendo!”. Seduto su un logoro tappeto polveroso, sotto un capanno improvvisato fatto di legno e coperto da un vecchio telone blu, il giovane afghano sui vent’anni, che spera di raggiungere il Regno Unito, sta sgusciando i pistacchi ascoltando musica su una piccola radio portatile. È qui che Arman e i suoi due amici hanno trovato un rifugio temporaneo, tra i binari e un vecchio edificio abbandonato nella stazione ferroviaria di Subotica, nel nord della Serbia, al confine con l’Ungheria. Mentre la mattinata, calda e soleggiata, sta volgendo al termine, Arman e i suoi due compagni di viaggio sembrano sereni. Al calar della sera però sicuramente tenteranno ancora una volta il game.
Il game consiste nel cercare di uscire dalla città di Subotica, aspettare in un bosco vicino al confine, per poi provare a superare “il muro anti-migranti” voluto dal primo ministro ungherese Viktor Orbán: si tratta di una barriera alta più di tre metri, composta da due recinzioni, una delle quali, lunga 175 metri, è sormontata da filo spinato, dotata di telecamere e sensori di movimento e costantemente sorvegliata da diverse pattuglie della polizia ungherese. Questo sistema, costruito alla fine dell’estate del 2015, quando migliaia di rifugiati cercavano di raggiungere l’Europa fuggendo dalla guerra in Siria o da violenze e povertà nei loro paesi di origine, è costato circa 800 milioni di euro.
Il superamento del “muro” non garantisce però la possibilità di proseguire il viaggio verso l’Unione europea. “Quando gli agenti ungheresi ci catturano, prima confiscano o distruggono i nostri cellulari, poi ci rimandano in Serbia”, spiega Arman. “Spesso si dimostrano violenti, soprattutto quando scoprono che siamo afghani”. Queste pratiche di respingimento (o pushback), per le quali l’Ungheria è stata condannata dalla Corte di giustizia dell’UE nel dicembre 2020, ormai non colgono più di sorpresa Maria Marga, program manager dell’organizzazione Collective Aid che fornisce sostegno ai rifugiati a Subotica. Attiva in quest’area dal 2019, la squadra di Collective Aid riceve con regolarità le testimonianze dei rifugiati respinti dalla polizia ungherese che, come sottolinea Maria Marga, spesso ricorre alla violenza “in spregio del diritto internazionale e del principio di non refoulement”.
In attesa di attraversare il confine, la maggior parte dei rifugiati vive in campi informali fatti di tende e rifugi di fortuna nelle cosiddette “giungle” nel cuore della foresta. Nel centro di accoglienza, aperto nel 2015 dalle autorità [serbe] all’ingresso sud della città, con una capienza di 220 posti, attualmente vivono oltre 400 persone. La struttura resta inadeguata ad ospitare tutti i rifugiati bloccati al confine che al momento si stima siano un migliaio.
Nei pressi del campo mi imbatto in Naïm, un ragazzo di quattordici anni che sembra un po’ perso. “Sono qui da tre giorni, non c’è posto nel campo, quindi dormo qui”, dice Naïm indicando una strada sterrata che costeggia il centro. Il ragazzo ha lasciato la città di Deir ez-Zor, nella Siria orientale, sei mesi fa, poi ha attraversato la Turchia e la Bulgaria prima di raggiungere la Serbia settentrionale. Pur avendo solo quattordici anni, trascorrerà la notte all’aperto.
Naïm non è l’unico a dormire fuori dal campo. Alcuni rifugiati si accalcano in vari punti della città, altri invece trovano riparo nel bosco situato ad una decina di chilometri a nord di Subotica. Secondo Maria Marga, “negli ultimi tre mesi gli sgomberi dei campi informali e degli squat, effettuati dalla polizia serba, sono diventati una costante”.
In un suo recente rapporto , Border Violence Monitoring Network, una rete di associazioni di cui fa parte anche Collective Aid, ha rilevato 27 operazioni di sgombero nel solo mese di luglio 2023. Alcune di queste operazioni sono state accompagnate da violenze della polizia, distruzione di tende e furto di beni appartenenti ai rifugiati. “Questi sgomberi aggravano le già precarie condizioni dei rifugiati, che si ritrovano isolati e hanno difficoltà nel procurarsi cibo e acqua”, lamenta Maria Marga.
Il ruolo di Frontex
All’inizio di agosto le autorità serbe hanno mobilitato oltre ottocento agenti di polizia e gendarmi in una vasta operazione finalizzata a smantellare le reti di trafficanti. L’operazione ha portato all’arresto di tredici persone e al sequestro di diverse armi.
Maria Marga sottolinea però che nel comunicato stampa emesso in quell’occasione dalle autorità serbe non vi è alcuna menzione di quei “trecento rifugiati che sono stati fermati [durante l’operazione in questione], per poi essere caricati su autobus e portati in vari campi, tra cui quello di Preševo, a 500 chilometri di distanza, nell’estremo sud della Serbia”. Secondo l’operatrice di Collective Aid, l’obiettivo di tali azioni è tenere i rifugiati lontani dal confine con l’Ungheria. “L’unico scopo di queste espulsioni è quello di far sprofondare i rifugiati in un clima di ostilità e insicurezza”, conclude Marga.
Stando ai dati raccolti dall’agenzia Frontex, nel 2022 nei Balcani occidentali sono stati registrati 145.600 attraversamenti irregolari delle frontiere, segnando un aumento del 136% rispetto al 2021. Per le autorità europee, la rotta balcanica, percorsa da molti rifugiati provenienti dal Medio Oriente, è una priorità. Nell’ottobre dello scorso anno, la Commissione europea ha approvato il rafforzamento del ruolo di Frontex in Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Albania, stanziando 39,2 milioni di euro destinati a “mettere in sicurezza” le frontiere di questi paesi con l’acquisto di sistemi di sorveglianza mobile, droni e dispositivi biometrici.
I primi effetti di questa decisione sono già visibili sul campo, come testimonia Maria Marga constatando “la presenza, dall’inizio dell’anno, di poliziotti italiani, tedeschi e olandesi, tutti in divise nazionali, ma con il distintivo di Frontex al braccio”. Marga si dice preoccupata per questo nuovo ruolo dell’agenzia Frontex, tra l’altro accusata di aver coperto i respingimenti effettuati dalla guardia costiera greca. “Al momento le nuove missioni degli agenti di Frontex non sono chiare: sono qui per sostenere le azioni della polizia serba e pattugliare i confini oppure per raccogliere dati?”.
Mentre il buio cala sulla città di Subotica, Arman, insieme ai suoi due amici, si incammina verso l’Ungheria. Forse stasera il game lo porterà un po’ più vicino al Regno Unito, oppure lo relegherà ulteriormente alla Serbia.
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