Un quartiere dimenticato dalle autorità, reso vivo e stimolante dai cittadini e ripreso a forza dalle autorità per costruirvi il faraonico progetto di “Belgrado sull’acqua”. Un reportage
Che fine ha fatto Danilo Antić ? Lungo le banchine che accompagnano il corso della Sava alle spalle della stazione di Belgrado, Dane, come lo chiamano nel quartiere, è sparito. Nessuna traccia né della sua rauca risata da fumatore incallito, né del suo chiosco ambulante, sempre colmo di birre fresche e vermi da pesca. Se n’è andato per davvero, dicono, seguendo l’esempio dei pescatori d’acqua dolce che hanno lasciato Savamala dopo l’arrivo delle prime ruspe.
In questo pendio di condomini, mercati rionali e piccoli giardini che si arrampicano dal fiume fino al centro storico, è stato infatti aperto un enorme cantiere. Il governo e il comune hanno dato il via ad un progetto da oltre 3 miliardi di euro che cambierà completamente il profilo di quest’area, per lungo tempo ai margini degli sviluppi belgradesi. Al posto delle facciate scrostate e dei saliscendi di marciapiedi, sorgeranno un grattacielo da 160 metri, un distretto commerciale e una serie di fiammeggianti palazzi residenziali dalle grandi vetrate.
Una nuova “skyline”, come si dice in gergo, in cui la vendita di vermi da pesca a bordo strada non è certo prevista.
Chi bazzica il lungofiume sostiene che Dane si è spostato con ogni probabilità dall’altra parte della Sava, a Novi Beograd, dove si può ancora gettare in acqua una lenza in tutta tranquillità. Ma trovarlo non sarà facile. Il faraonico piano urbanistico noto con il nome di “Beograd na vodi” (Belgrado sull’acqua) sta infatti scuotendo la vita quotidiana del quartiere e, per ritrovare le tracce di questo belgradese atipico, un tempo residente in Germania, sarà necessario ripercorrere le vicende di Savamala ed incontrare alcuni dei suoi protagonisti.
Prima di Belgrado sull’acqua
Prima che le ruspe arrivassero da queste parti e prima che il capo di governo Aleksandar Vučić annunciasse lo sbarco degli investitori arabi a Belgrado, questo triangolo di città, incastonato tra Kalemegdan, la piazza della Repubblica e il punto di arrivo dei binari, era un’area dimenticata dalle autorità ma riscoperta dalla gioventù della capitale. Gli edifici abbandonati - a volte persino privi di tetto, come la “Casa spagnola” - avevano attirato decine di studenti, artisti e militanti, desiderosi di riattivare il dinamismo dell’area e il suo potenziale inespresso.
Nel 2009, era nato il Centro europeo per la cultura e il dibattito, più comunemente detto “KC Grad”, che aveva appunto riadattato un vecchio magazzino dell’area industriale in riva al fiume. Nello stesso anno, prendeva avvio anche il “Mikser Festival”, un evento annuale consacrato alla creatività e all’innovazione (ed ora arrivato alla sua ottava edizione). L’anno dopo, la necessità del Goethe Institut di Belgrado di trovarsi una nuova sistemazione aveva dato il via ad una serie di attività culturali e artistiche nel quartiere, prendendo nel 2011 il nome di “Incubatore urbano”.
Era il periodo in cui Savamala era attraversata da un’energia nuova, cadenzata ogni estate dai vari “Mikser Festival ” che lentamente rianimavano il quartiere, coinvolgendo anche i suoi abitanti. All’edizione del 2013, si presentò persino uno storico residente con un carretto di birre fresche a 100 dinari… “Ne vendetti 107 in una notte!”, racconterà più tardi, ammiccando soddisfatto. In quegli anni, prima che il progetto di “Beograd na vodi” cominciasse nel 2015, un professore di architettura dell’Università di Belgrado si era anche inventato una “Scuola di pratiche urbane”, portando i suoi studenti ad interessarsi alle sorti di Savamala.
Due visioni della cosa pubblica a confronto
“È un po’ come aggiustare la città pezzo per pezzo”, spiega il professore Ivan Kucina, che oggi insegna all’Università di Dessau in Germania, la città culla del movimento Bauhaus ad inizio Novecento. Passeggiando lungo via Karađorđeva, ammodernata di recente, Kucina ripensa all’evoluzione del quartiere. “Quattro anni fa qui non c’era nessuno, soltanto camion, rumore e inquinamento”, racconta l’architetto, “c’era bisogno di un intervento a Savamala, si doveva fare qualcosa, ma non così, non è questo il metodo”. Arrivato in riva al fiume, Kucina osserva il cantiere e gli spazi transennati e scuote la testa. Davanti a lui, gli operai cercano da giorni di drenare il lotto di terra dove sorgerà il nuovo grattacielo. L’acqua sotterranea non accenna a diminuire e viene riversata nella Sava in un flusso senza fine.
“Come ogni città post-socialista, Belgrado è passata da un periodo in cui la pianificazione urbana si occupava innanzitutto dell’interesse pubblico, ad una nuova fase in cui è l’investitore privato a dettare le decisioni al comune”, afferma il professore mentre i suoi occhi continuano a seguire i lavori. “Costruire una torre lì, ad esempio, non è tecnicamente impossibile, ma è una follia”, s’infervora il fondatore della “Scuola di pratiche urbane”. Il suo esperimento pedagogico, prosegue, intendeva portare nel quartiere gli studenti di architettura al fine di “aiutare i cittadini frustrati a cercare nuove vie per disegnare e costruire i propri spazi comuni”. Si voleva insomma partire dai bisogni e dai desideri degli abitanti per ripensare quei luoghi caduti in disuso. Un approccio partecipativo, diametralmente opposto a quello “top-down” di “Beograd na vodi”.
Può far sorridere l’idea che per scegliere lo sviluppo da dare alla capitale serba, il comune di Belgrado avrebbe dovuto ascoltare il parere di Dane, il venditore ambulante del lungofiume. Eppure, ad essere paradossale è piuttosto il fatto che gli abitanti di Savamala - e di Belgrado in generale - siano stati completamente esclusi da un progetto che li riguarda da vicino. “È un piano urbanistico basato sugli interessi privati più che sui bisogni pubblici - prosegue il professor Kucina - lo dimostra il fatto che meno dell’1% della superficie presa in considerazione è destinata a servizi pubblici come scuole o cliniche”.
Se l’urbanistica diventa politica
Il plastico del mega-progetto, sviluppato dalla compagnia Eagle Hills di Abu Dhabi, è posizionato all’interno del Geozavod, uno degli edifici storici più belli di Belgrado e recentemente ristrutturato. In un salone illuminato da grandi finestre su tre lati, due hostess sono a disposizione dei visitatori per fornire tutte le informazioni sul progetto e chiedere loro di non scattare fotografie con apparecchi professionali. Il riassunto è ripetuto velocemente: 1,8 milioni di metri quadri, 5.700 nuove unità abitative, 2.200 camere d’albergo e uffici per 12.700 persone. Il tutto attorno allo slogan: “Vivi la tua vita come una celebrazione”.
La prima trasposizione concreta dell’immaginario presentato al Geozavod è la passeggiata lungo la Sava, rimodellata nel 2015 con parte del budget destinato al marketing di “Beograd na vodi”. Tappeti di erba verde ai lati dei marciapiedi, corrimano e panchine in legno a bordo fiume, illuminazione pubblica moderna in metallo nero. “È sicuramente più bello di prima, non è questa la questio
ne - commenta Ivan Kucina, proseguendo oltre il nuovo cocktail bar con vista sull’acqua - il problema è che non sembra più uno spazio pubblico, di fatto siamo di fronte ad una privatizzazione mascherata. Il lungo Sava sta diventando un parco tematico”. E il tema del parco, che ricorda le riviste patinate delle compagnie aeree, stride con la realtà. “Gli affitti a Belgrado calano da 10 anni. Ha davvero senso mettere sul mercato migliaia di appartamenti a 3.500 euro al metro quadro?”, si chiede l’architetto.
Dal mancato coinvolgimento degli abitanti, all’opacità dei finanziamenti, passando per le scorciatoie giuridiche intraprese dal governo per far avanzare i lavori (una “lex specialis” è stata approvata dal parlamento per gestire più in fretta gli espropri), il progetto Beograd na vodi ha finito con l’alimentare una vivace opposizione. Il movimento “Ne da(vi)mo Beograd” - ovvero “Non (affon)diamo Belgrado - ha portato la sua gigante papera gialla, simbolo della protesta, in giro per la capitale, mentre la contrarietà al piano urbanistico è diventata il collante tra i diversi gruppi di artisti ed attivisti, altrimenti litigiosi.
“Anche se Vučić riuscirà a realizzare questo progetto, sono certa che sarà il suo ultimo atto. Di fatto, ha creato un fronte compatto, ha reso le persone più impegnate e più interessate alla cosa pubblica”, racconta Ana Đorđević-Petrović, tra i realizzatori del video “La nostra Belgrado sull’acqua ” disponibile anche in inglese e diventato in pochi giorni un contenuto virale del web. Al Goethe Institut, il direttore Matthias Müller-Wieferig è più prudente, ma ricorda che “la partecipazione dei cittadini non è più una ‘bella cosa’ che si può avere o meno, ma una necessità, se si vogliono evitare proteste, danni politici e costosi ritardi”.
“'Beograd na vodi' mi ricorda il progetto urbanistico tedesco ‘Stuttgart 21’ che voleva costruire a Stoccarda un nuovo hub ferroviario, con delle migliorie all’infrastruttura dei trasporti e con la costruzione di un nuovo quartiere su iniziativa degli investitori - afferma Müller-Wieferig - ignorando la società civile e il suo criticismo, la classe politica ha dovuto far fronte a diversi anni di proteste di massa e a ritardi nei lavori. E, infine, anche ad una sconfitta politica, quando alle successive elezioni i Verdi hanno battuto il partito conservatore nel Baden-Württemberg, portando ad un referendum sul progetto”.
Che Savamala possa davvero mettere fine all’era Vučić? In realtà, anche se l’opposizione al mega-cantiere cresce e si organizza (con quasi 5mila persone scese in piazza l’11 maggio per chiedere le dimissioni del sindaco Siniša Mali) il progetto va comunque avanti, a volte nella più sorprendente illegalità. A fine aprile, ad esempio, una trentina di persone con bastoni e passamontagna ha fatto irruzione nel quartiere in piena notte , distruggendo con due ruspe una quindicina di baracche tra via Mostar e via Erzegovina. Le abitazioni in questione erano state costruite negli anni senza permessi, ma questo tipo di demolizione è ovviamente altrettanto fuori legge.
La normativa serba, analizza il quotidiano belgradese Politika , prevede infatti il coinvolgimento di un ispettore comunale e, secondo la prassi, anche la presenza di un agente di polizia. Per non parlare del fatto che le demolizioni sono effettuate soltanto di giorno e che un avviso di sfratto deve essere recapitato al proprietario dell’immobile in tempo utile. A Savamala, neanche a dirlo, questo schema di regole sta crollando assieme alle abitazioni. E gli appelli dell’Ombudsman ad aprire un’inchiesta su queste misteriose demolizioni non hanno prodotto per il momento grandi risultati.
Dov’è finito Dane?
Dopo i fatti di fine aprile, per trovare le ultime baracche ancora in piedi lungo la Sava, bisogna camminare contro corrente fino al ponte Gazela, il più importante asse stradale che collega la capitale con il suo sobborgo d’oltre-fiume Novi Beograd. È qui, con le mani sporche di grasso e una sigaretta all’angolo della bocca, che Danilo Antić sta riparando la sua motocicletta in attesa dello sfratto. “Siamo rimasti in due: casa mia e un’altra. La mia sarà l’ultima ad essere demolita”, afferma Dane sedendosi su un muretto in cemento. “Avrei potuto trasferirmi due mesi fa, ma non ho voluto. Mi avevano proposto un appartamento a Autokomanda [un quartiere di Belgrado, ndr.], ma io voglio restare vicino al fiume”.
Tra una sbuffata di fumo e l’altra e risate che si concludono in preoccupanti colpi di tosse, Dane racconta tredici anni passati a mercanteggiare lungo la Sava. L’idea gli è venuta un giorno quando, da pescatore, si è ritrovato senza esche e senza che nessuno gliene volesse prestare. “Così sono andato a cercare dei vermi e, in un angolo del fiume, mi sono accorto che ce n’erano tantissimi, al punto che i pesci si avvicinavano alla riva per mangiarli!”, ricorda Dane divertito. Da allora è stato un business in crescita: alla vendita di esche da pesca, si è aggiunta quella di caffè turco e birre, mentre la bicicletta si trasformava in un piccolo mezzo motorizzato, facendo di Danilo Antić una star di Savamala.
“Ehi vicino!”, irrompe un signore in bicicletta, premendo sul freno. “Non ti sei ancora trasferito?”, gli risponde Dane. “Mi buttano fuori domani!”. “E dove andrai?”. “Mi hanno dato dei soldi, ho comprato due appartamenti a Jajinci [un altro quartiere di Belgrado a 10km dal centro, ndr.]”. “E non sei soddisfatto?”, gli chiede Dane, l’aria stupita. “No! L’appartamento è libero solo da agosto, dove andrò nel frattempo?”, controbatte l’altro. “Tornerai a bere una limonata o un caffè con me vicino al fiume?”. “Sicuramente!”. “Chiamami!”. “A presto!”. “Mi conoscono tutti qui sul lungo-Sava, non c’è giorno in cui non incontri qualche viso noto”, si scusa Dane appena il vicino è partito.
Anche a lui il comune ha proposto un’alternativa in cambio del suo terreno a Savamala. Andrà a vivere a Žarkovo, un sobborgo più a sud ma non lontano dal fiume. “Mi hanno trovato un appartamento al piano terra con un piccolo giardino. Ho chiesto se posso parcheggiare lì la mia motocicletta e mi hanno detto di sì”, spiega Dane. Ora che i pescatori hanno abbandonato le vecchie banchine invase dalle ruspe, Dane ha riadattato la sua attività andando a vendere bibite e caffè tra gli stand del mercato di Novi Beograd. Ma i vermi sono comunque al sicuro, “in posti segreti lungo la Sava, a Pančevo o sulla Grande isola della guerra”. Quando la stagione della pesca comincia, anche se ormai fuori dal centro di Belgrado, Dane rispolvera la sua motocicletta e parte a fare il giro dei pescatori.
Di chi è la città?
“Per quello che riguarda gli spazi pubblici, non si deve pensare solo a cementificare, ma piuttosto a dare spazio e parola alla comunità dei cittadini”. Intervistato da “La Lettura” del Corriere della Sera, l’architetto Alejandro Aravena (nonché curatore della Biennale che inizia a Venezia questo 28 maggio) illustra così il rapporto tra urbanistica e abitanti. “Se non cambiano rotta, le città del futuro non saranno più metropoli, ma bassifondi e prigioni esistenziali”, avverte Aravena, vincitore quest’anno del Premio Pritzker. Che cosa significano queste parole riportate al contesto di Savamala? Quale direzione dovrebbe prendere il comune Belgrado riguardo al suo lungo-fiume?
La risposta più pertinente ed informata sarebbe sicuramente quella dei residenti stessi. Cosa succederebbe se il comune applicasse la metodologia usata dalla Scuola di pratiche urbane (SUP) nel quartiere di Savamala? Invece che accettare un progetto chiavi in mano immaginato a 5mila chilometri di distanza, ad Abu Dhabi, si procederebbe ad un’inchiesta sui bisogni, i desideri e le lamentele degli abitanti, per poi costruire una mappa e un modello condiviso. “Sfato un mito: non si tratta di rendere tutti felici. Ma il fatto di trovare un accordo su un progetto comune, rende tutti partecipi. Dal nostro lato, dunque, troviamo più interessante il processo stesso che la costruzione dello spazio che poi segue”, spiega l’architetto Olivera Petrović, attivista della SUP.
Non si tratta ovviamente di trasformare Belgrado in una caotica assemblea di quasi due milioni di persone, ma di incrociare gli spunti provenienti da più parti. Su Savamala, Danilo Antić avrebbe ad esempio suggerito che “una pulizia è necessaria, poiché ci sono bottiglie rotte, barche, rottami ovunque”. Il prof. Kucina, tra il serio e il faceto, avrebbe voluto “una spiaggia” sul lungo fiume, come a Novi Sad. Altri avrebbero messo in evidenza i propri luoghi preferiti del quartiere, dallo storico produttore artigianale di Lokum aperto nel 1936, fino al bar-hotel démodé dove gli orologi si sono fermati Dio solo sa quanto tempo fa. Tenendo conto dei sogni dei propri cittadini, il comune avrebbe non soltanto presentato un progetto migliore, ma anche adempito appieno la propria missione, ovvero quella di tutela dell’interesse pubblico.
Non è un caso se, in tutte le lingue, le parole “città” e “cittadini” hanno la stessa radice in comune. Eppure, troppo spesso, gli amministratori della prima pensano di poter fare a meno del parere dei secondi.
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