Nonostante in Serbia esista un ottimo quadro istituzionale e legislativo a tutela del diritto di accesso alle informazioni di interesse pubblico, alcune questioni cruciali restano irrisolte
(Pubblicato originariamente su Beta, media partner del progetto ECPMF)
Con la svolta democratica avvenuta in Serbia nell’ottobre 2000, la situazione concernente l’accesso alle informazioni di interesse pubblico iniziò a evolversi positivamente, ma, come per molti altri ambiti, non fu un percorso privo di difficoltà. A ciò contribuì innanzitutto l’assenza di volontà politica e la mancata prontezza da parte degli organi statali nell’accettare e comprendere a fondo l’operato delle istituzioni indipendenti, come quella del Commissario per le informazioni di interesse pubblico, nonché nell’intraprendere un’adeguata riforma del settore dei media, creando così le condizioni per un effettivo esercizio della libertà di espressione.
Nel novembre del 2004, a quattro anni dalla caduta del regime di Slobodan Milošević, la Serbia ottenne la prima legge nazionale sull’accesso alle informazioni di interesse pubblico. Un mese più tardi fu istituito l’Ufficio del Commissario per le informazioni di interesse pubblico e per la protezione dei dati personali, un’istituzione indipendente tra i cui compiti rientra la tutela dell’esercizio del diritto di accesso all’informazione pubblica.
La carica di Commissario fu affidata, per la durata di sette anni, a Rodoljub Šabić, che tuttora ricopre questa funzione, essendo stato rieletto nel 2011.
Questa nuova istituzione indipendente si è trovata di fronte al difficile compito di far aumentare la consapevolezza dei cittadini e degli organi statali, nel caso dei primi riguardo al loro diritto di essere al corrente dell’operato delle istituzioni, e nel caso dei secondi riguardo al loro obbligo di garantire l’accesso alle informazioni di rilevanza pubblica.
L’impegno in tale direzione col tempo si è dimostrato di grande importanza anche per il normale funzionamento dei media, in circostanze nelle quali le autorità continuano a mostrarsi piuttosto restie a collaborare e accettare critiche.
Lamentele in costante aumento
In questi 12 anni di attività dell’Ufficio del Commissario per le informazioni di interesse pubblico e per la protezione dei dati personali si è registrato un notevole aumento di ricorsi da parte di cittadini e media relativamente alla mancata soddisfazione delle richieste di accesso alle informazioni di rilevanza pubblica, ossia al cosiddetto “silenzio istituzionale”.
Il numero complessivo di ricorsi riguardanti il diritto di accesso alle informazioni è aumentato da 345 nel 2005 a 3.474 nel 2016, con un picco raggiunto nel 2015, quando il Commissario ha ricevuto ben 3.817 reclami.
Come affermato dall’Ufficio del Commissario, di tutti i ricorsi ricevuti nel 2016, 670 sono stati motivati dalla mancata soddisfazione delle richieste di accesso alle informazioni, evidenziando un aumento di 120 ricorsi, pari al 21,8%, rispetto all’anno precedente. Stando ai dati dell’Ufficio, continuano a moltiplicarsi anche i ricorsi avanzati dai media, il cui numero è passato da 268 nel 2015 a 353 nel 2016, aumentando del 31,7%.
Dall’Ufficio precisano inoltre che a partire del 2005, quando è entrata in vigore la legge sull’accesso alle informazioni di rilevanza pubblica, la prassi di presentare al commissario un rapporto annuale sull’applicazione di questa legge coinvolge sempre più istituzioni, il cui numero è aumentato, stando ai dati ancora parziali, da 310 nel 2005 a oltre 600 nel 2016. Tuttavia, come confermato dall’Ufficio, negli ultimi anni questo trend generale al rialzo è un po’ calato.
Proprio sulla base di questi rapporti, redatti dagli organi statali, il commissario elabora il suo rapporto annuale sulla situazione riguardante l’accesso alle informazioni di rilevanza pubblica e la protezione dei dati personali, per poi presentarlo al parlamento serbo nel marzo dell’anno successivo.
Come spiega Predrag Blagojević dall’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia (NUNS), “dopo una lunga fase positiva, durante la quale, a parte qualche eccezione, le cose funzionavano abbastanza bene, negli ultimi anni si è verificato un allarmante moltiplicarsi di gravi problemi”.
“L’indicatore che meglio riassume l’attuale stato di cose è l’enorme aumento del numero di lamentele inoltrate dai cittadini al Commissario per le informazioni di interesse pubblico e motivate dal fatto che i rappresentanti del potere si rifiutano di fornire le informazioni richieste, o semplicemente ignorano istanze di questo tipo. Tuttavia, quello che preoccupa ancora di più è la mancanza di un’adeguata reazione a tali situazioni, ossia il fatto che il governo che, stando alla legge, dovrebbe impiegare la coercizione per far sì che le decisioni del Commissario vengano attuate, non lo fa”, ha precisato Blagojević.
Potere e istituzioni recalcitranti
Con il suo agire coerente, le sue reazioni prive di ambiguità e le sue ripetute denunce di cattive prassi, il Commissario Šabić è riuscito a raggiungere vari risultati, contribuendo al miglioramento della situazione complessiva. Tuttavia, i suoi sforzi hanno spesso incontrato resistenza e ostruzionismo, diventando non di rado oggetto di attacchi provenienti dalle fila dell’esecutivo.
Il Commissario non ha esitato a reagire nemmeno in merito ad un episodio, politicamente piuttosto controverso, avvenuto nella notte tra il 24 e il 25 aprile scorsi, proprio alla vigilia delle elezioni parlamentari, e avente come esito la demolizione di numerosi edifici nel quartiere belgradese di Savamala. A nove mesi dall’accaduto, l’opinione pubblica serba è ancora in attesa di risposte, ma le autorità persistono nel rifiutarsi di fornire informazioni pertinenti.
Dopo aver più volte reagito in merito a questo episodio, l’11 gennaio scorso Šabić ha ripetuto ancora una volta che gli organi competenti sono tenuti, senza aspettare che lui intervenga, a fornire all’opinione pubblica le informazioni pertinenti su quanto avvenuto nel quartiere di Savamala.
“Il Commissario mette in guardia sul fatto, ritenuto negativo, che i cittadini e i giornalisti sempre più spesso si rivolgono al suo ufficio in merito all’accesso alle informazioni riguardanti questo caso”, ha precisato Šabić, sollecitando ancora una volta la procura generale di Belgrado a rendere pubbliche determinate informazioni sullo stato del procedimento relativo a questo episodio.
Nel dicembre 2016 Šabić ha espresso preoccupazione anche per il fatto che il suo rapporto annuale non è stato oggetto di dibattito parlamentare per ben due anni.
“Questo fatto è scoraggiante e, a mio parere, doppiamente dannoso. Da un lato, il parlamento si sta privando di informazioni sulla situazione in due ambiti molto importanti nella tutela dei diritti umani, ossia di stimoli potenzialmente utili per eventuali interventi legislativi in questi ambiti. D’altro lato, è indubbio che, così facendo, invia un pessimo messaggio ad altri organi statali, dal momento che il parlamento, in quanto organo supremo del potere legislativo, dovrebbe essere l’ultimo da cui aspettarsi la mancata ottemperanza agli obblighi previsti dalla legge e dal suo stesso regolamento”, ha precisato Šabić.
Sempre nel dicembre dello scorso anno, il Commissario si è trovato nella situazione di dover replicare all’attacco rivoltogli da Marijan Rističević, deputato della coalizione di governo, che ha accusato lui e l’ombudsman Saša Janković di aver ricevuto dalla “Gran Bretagna 80mila euro ciascuno e chissà come li hanno spesi”, e da quel momento sono diventati “nemici del governo serbo”.
Con un comunicato emanato in quell’occasione Šabić ha precisato che “le insinuazioni” fatte da Rističević riguardano i mezzi finanziari ricevuti in donazione dalle ambasciate della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi per un progetto di più mesi dal titolo “Zaštita uzbunjivača u Srbiji” (La tutela dei whistleblower in Serbia).
In queste circostanze viene da chiedersi quale direzione prenderanno le cose alla scadenza del mandato dell’attuale commissario nel 2018, e se le autorità dimostreranno di possedere la sensibilità necessaria per eleggere di nuovo a questa carica una persona disposta a criticarle apertamente.
Scarsa applicazione della legge
Con l’approvazione dell’emendamento alla legge sull’accesso alle informazioni, avvenuta nel maggio 2010, al Commissario è stata riconosciuta la possibilità di sanzionare i responsabili del negato accesso alle informazioni con più multe di importo complessivo massimo pari a 200mila dinari (1600 euro circa). Questa modifica legislativa avrebbe dovuto garantire l’attuazione delle raccomandazioni del Commissario, dimostrandosi però poco efficace.
Secondo Predrag Blagojević del NUNS, ciò si spiega con il fatto che non solo le istituzioni dello stato, ma anche le aziende e gli enti pubblici evidentemente trovano più “vantaggioso” pagare ingenti multe in denaro, piuttosto che attuare le decisioni del Commissario e fornire ai cittadini le informazioni richieste.
Al Commissario è inoltre attribuita la facoltà, nel caso le sanzioni da lui inflitte non producessero gli effetti attesi, di rivolgersi al governo che, disponendo di misure coercitive, dovrebbe garantire l’attuazione delle sue ordinanze. Stando a quanto riportato recentemente dal quotidiano belgradese Danas, dal 2010 ad oggi Šabić si è rivolto al governo a tal proposito ben 135 volte.
Blagojević si è detto preoccupato del fatto che il governo non provveda all’attuazione delle decisioni di Šabić, aggiungendo che, stando ai dati ottenuti dall’Ufficio del commissario, a partire dal 2004 nemmeno una delle ordinanze emanate dal commissario è stata messa in atto.
“Una situazione del genere fuoriesce dall’ambito di diritto e rientra nel campo politico”, ha precisato il giornalista.
Sollecitato a esprimersi sulla necessità di modificare o meno la legge sull’accesso alle informazioni di rilevanza pubblica, Blagojević ha detto che, per iniziare, sarebbe sufficiente che il governo iniziasse ad applicare la legge, ovvero a provvedere all’attuazione delle decisioni del commissario, in tal modo inviando un chiaro messaggio che la legge deve essere rispettata da tutti.
“Una delle lacune della normativa vigente consiste nel fatto che, persino per quanto riguarda le multe inflitte dal Commissario, formalmente spetta alle istituzioni, e non agli individui che le guidano, provvedere al pagamento. Quindi, in realtà, risulta che la sanzione comminata per la trasgressione della legge da parte del direttore di un ente pubblico viene pagata dai cittadini, ossia dai contribuenti”.
Blagojević mette in guardia anche sul fatto che sono sempre più numerosi i casi in cui i rappresentanti del potere forniscono ai cittadini dati errati o documenti invecchiati, in quanto ne consegue solo una responsabilità civile, e non anche quella penale, pur trattandosi di una sorta di reato di falso.
“Così si arriva facilmente alla situazione in cui i funzionari pubblici, nell’intenzione di occultare pesanti malversazioni che li vedono coinvolti, intenzionalmente forniscono dati errati a cittadini e giornalisti, essendo consapevoli che, nel caso venissero scoperti, verranno puniti con multe di importo non superiore a qualche migliaia di dinari”, ha affermato Blagojević, aggiungendo infine che sempre più funzionari dello stato sono consapevoli della propria non punibilità, ossia del carattere meramente simbolico delle sanzioni che, invece di svolgere una funzione preventiva, impedendo la trasgressione della legge, in realtà stimolano tale propensione.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!