La Serbia ha una delle migliori leggi al mondo per garantire l'accesso pubblico all'informazione. L'unico problema è che le istituzioni non la rispettano. E in futuro la situazione potrebbe essere peggio dell'attuale

13/02/2017 -  Simon Lenormand

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 3 febbraio 2017. Le Courrier des Balkans è media partner del progetto ECPMF)

La Serbia sarebbe dotata della "seconda migliore legge al mondo" nel disciplinare l'accesso pubblico all'informazione, dopo il Messico. E' quanto emerge dalla classifica redatta dalle ONG spagnola Access Info e da quella statunitense Centre for Law and Democracy. Tra i criteri considerati nella creazione dell'indice vi è il diritto all'accesso, la portata della legge, l'estensione dei ricorsi e delle sanzioni in caso di mancanza di rispetto, o ancora la promozione di questa legge, adottata dal Parlamento serbo nel 2004. La notizia sorprende tenendo conto che in Serbia i giornalisti non smettono di denunciare le difficoltà crescenti che incontrano nell'esercitare la propria professione.

Secondo Stevan Dojčinović, direttore del sito d'inchiesta Krik, il paradosso è subito spiegato: "Il grosso delle leggi in Serbia non ha un grande significato perché lo stato non le rispetta". Il sito d'informazione che egli dirige, specializzato nelle inchieste sulle reti della corruzione, è sostenuto finanziariamente da più ONG. Egli si è ritrovato più volte nel mirino del governo di Aleksandar Vučić, in particolare dopo le sue rivelazione riguardanti il patrimonio nascosto del primo ministro serbo.

"Abbiamo pubblicato un discreto numero di inchieste importanti e si sono resi conto quanto la libera informazione può risultare loro pericolosa", racconta "perciò hanno deciso di chiuderci le porte in faccia". Secondo Stevan Dojčinović, nelle diverse amministrazioni è passata l'istruzione di non cooperare con Krik. "Ormai non possiamo più accedere a documenti che abbiano una minima importanza".

La battaglia quotidiana di Bojana Pavlović, anch'essa giornalista a Krik, è diventata quella di recuperare questi documenti. "Mentre lavoravamo sulle proprietà dei politici, improvvisamente tutte le persone con le quali comunicavamo al dipartimento del catasto sono state sostituite. In seguito, ci dicevano che le informazioni che noi chiedevamo non erano d'interesse pubblico", afferma. La situazione si è ripetuta quando richiedevano ai tribunali informazioni su sentenze o inchieste in corso. "Richiede un'energia pazzesca ottenere delle informazioni che, stando alla legge, dovrebbero esserci fornite senza esitazione", chiosa la Pavlović.

La redazione di Krik lavora dunque ormai essenzialmente grazie all'aiuto di fonti anonime o collaborando con reti internazionali di giornalisti, come l'OCCRP (Organized crime and corruption reporting project). È così che Krik ha potuto svelare l'affare legato alle attività poco chiare di Siniša Mali, sindaco di Belgrado, che durante il proprio mandato ha occupato in parallelo le cariche di direttore di due società immobiliari con sede in Bulgaria. "Queste reti di giornalisti sono molto efficaci. È grazie a loro che abbiamo svolto la metà delle nostre inchieste, adesso che è più facile stanare i segni della corruzione all'estero, proprio là dove i responsabili si curano meno di coprire le proprie tracce", sottolinea il direttore di Krik.

Esiste tuttavia un modo, in Serbia, per ottenere i documenti a cui la legge dà accesso: rivolgersi al Commissariato per l'informazione d'importanza pubblica e la protezione di dati personali, un'istituzione indipendente creata dalla legge del 2004. Le richieste sono però così numerose che il Commissariato impiega diversi mesi per processarle. Può anche ricorrere a un'ingiunzione che dà sette giorni di tempo all'amministrazione coinvolta per mettere in atto la sua decisione. In caso di rifiuto reiterato, il Commissariato può comminare multe che vanno dai 20.000 ai 180.000 dinari (160-1500 euro). "Ma è denaro pubblico, dunque preferiscono pagare le multe", si lamenta la giornalista Bojana Pavlović

Nel 2016 il Commissario per l'informazione Rodoljub Šabić e i suoi 70 collaboratori hanno trattato 5407 casi, di cui il 97% è stato risolto. Nei 146 casi non risolti, sono state emesse delle multe, ma in 61 casi, il Commissario ha dovuto fare appello al suo ultimo strumento, lo stato, per far rispettare la propria decisione. "La nostra istituzione ha compiuto il proprio lavoro in modo efficace", testimonia una fonte interna al Commissariato che preferisce mantenere l'anonimato: "Il principale problema con cui ci siamo confrontati è quando lo stato è dovuto intervenire. E ad oggi non l'ha mai fatto".

Nondimeno, di anno in anno, l'istituzione guadagna notorietà ed efficacia. A tal punto che anche alcuni enti ufficiali vi hanno fatto ricorso per ottenere informazioni pubbliche, seguendo l'esempio del Consiglio governativo anti-corruzione che ha svolto una serie di inchieste su una serie di privatizzazioni controverse.

Vi è tuttavia una forte inquietudine in seno all'ufficio. Il mandato del Commissario attuale, eletto dal Parlamento, scadrà l'anno prossimo. Il suo successore sarà dunque scelto dai deputati dal partito attualmente al governo, il Partito progressista serbo (SNS) del primo ministro Aleksandar Vučić. "Mentirei se dicessi che non mi preoccupa - ammette il funzionario del Commissariato - noi potremmo diventare una tigre di carta, perché potremmo essere costretti a non affrontare i dossier più sensibili per limitarsi alle statistiche di base." I primi segni non sono molto incoraggianti. È infatti da due anni consecutivi che il Parlamento non ha esaminato il rapporto del Commissario durante una seduta pubblica.

Il presidente dell'associazione dei giornalisti indipendenti della Voivodina, Nedim Sejdinović, è ancora più pessimista. Ritiene infatti che “i giornalisti perderanno un sostegno di un certo peso nella lotta contro la corruzione e gli abusi delle istituzioni. Penso che andremo verso un crollo drastico del livello di accesso all’informazione. È la conseguenza logica del rafforzamento costante dell’autoritarismo e delle tendenze anti-democratiche nella nostra società”. Tendenze che non si potranno invertire, secondo lui, senza una pressione maggiore della comunità internazionale, sopratutto dell’Unione Europea, sul governo serbo.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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