In Serbia la libertà dei media e la sicurezza dei giornalisti peggiora di giorno in giorno, continuano gli attacchi e le minacce contro i professionisti dell'informazione. Il ministro della Cultura e dell’Informazione però addossa la responsabilità agli stessi giornalisti
“Ognuno è responsabile di se stesso”, ha dichiarato il segretario di stato presso il ministro della Cultura e dell’Informazione Aleksandar Gajović, commentando l’attacco al giornalista della tv N1 Nikola Radišić, aggredito e insultato in strada all’inizio di febbraio. Questo attacco è avvenuto dopo una lunga serie di critiche nei confronti della politica redazionale di questa emittente televisiva indipendente, che il presidente serbo Aleksandar Vučić definisce “americana”, mentre il ministro dell’Interno Nebojša Stefanović la chiama persino un'emittente della CIA .
In una recente intervista rilasciata a Radio Slobodna Evropa , Gajović ha dichiarato che la questione degli attacchi contro i giornalisti non rientra nella competenza del ministero della Cultura e dell’Informazione, aggiungendo che “i veri giornalisti e le vere redazioni devono ascoltare anche l’altra parte” e che si aspetta delle spiegazioni anche da parte degli aggressori, per ora ignoti. “Mi interessa sapere anche la loro versione, se lo hanno fatto davvero o no. Certo che condanneremo ogni attacco, ma prima voglio vedere che cosa c’è dietro questi attacchi, e se davvero vi si nasconde qualcuno”.
Nel corso della stessa intervista, interpellato sulle minacce di morte rivolte tramite i social network al presidente dell’Associazione indipendente dei giornalisti della Vojvodina (NDNV) Nedim Sejdinović, Gajović ha risposto con una contro-domanda: “Ma siete proprio sicuri che non sia stato lui a organizzare il tutto per presentarsi come vittima?”, concludendo: “Penso che quell’uomo non abbia buone intenzioni”.
Queste dichiarazioni hanno suscitato una forte reazione da parte delle associazioni dei giornalisti serbi, che hanno chiesto la destituzione di Gajović, ma la premier Ana Brnabić evita di esprimersi sulla vicenda , limitandosi a dichiarare che “gli attacchi di qualunque tipo sono inammissibili e non saranno tollerati”.
Intolleranza alla critica
Secondo i dati dell’Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia (NUNS), dall’inizio dell’anno (fino alla stesura di questo articolo) sono stati segnalati 15 casi di attacchi fisici, gravi minacce e pressioni contro i giornalisti.
Il motivo è sempre lo stesso: la critica del potere. A seguito dell’omicidio del leader politico serbo-kosovaro Oliver Ivanović – avvenuto il 16 gennaio scorso a Mitrovica nord e preceduto dalla sua demonizzazione da parte dai media vicini al governo di Belgrado, che lo definivano un traditore – il caporedattore dell’agenzia Beta Dragan Janjić ha scritto sul suo account Twitter che “è iniziata l’eliminazione degli avversari politici”. Lo stesso giorno, nel corso di una conferenza stampa, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha nominato esplicitamente Janjić, per poi affermare: “Nessuno di noi è l’assassino, come qualcuno auspica”.
Nonostante Janjić non abbia accusato le autorità di Belgrado dell’omicidio di Ivanović, né tanto meno abbia fatto il nome di qualcuno in relazione all’accaduto, a seguito della conferenza stampa di cui sopra si è scatenata un’ondata di minacce nei suoi confronti. Su una pagina Facebook è stato pubblicato un post contenente, oltre alle accuse rivolte a Janjić, anche il suo indirizzo di residenza, mentre tra centinaia di commenti denigratori, ve ne erano alcuni che incitavano al linciaggio, come: ”Portarlo a Kalemegdan e sparargli un colpo in fronte” o “Impiccarlo in piazza”.
E come se non bastasse, all’inizio di febbraio la premier Ana Brnabić si è scagliata contro il presidente della NUNS Slaviša Lekić, dichiarando che “è contrario ai valori europei chiamare assassino, come ha fatto il presidente della NUNS, il capo dello stato”, alludendo alla presunta posizione di Lekić in merito all’omicidio di Oliver Ivanović. Reagendo a questa dichiarazione, Lekić ha annunciato che sporgerà denuncia contro la premier che “dovrà rispondere di quella offesa e menzogna davanti al giudice”.
Giornalisti come “nemici” della patria
La giornalista del settimanale Vreme Tamara Skrozza è stata per giorni oggetto di una campagna denigratoria condotta dalla tv filogovernativa Pink, solo per aver partecipato, come membro del Consiglio di amministrazione dell’organizzazione non-governativa CRTA, ad una conferenza stampa sul monitoraggio dei media effettuato alla vigilia dell’avvio della campagna elettorale per le elezioni comunali di Belgrado.
Nonostante all’Organo regolatore dei media elettronici (REM) siano pervenute oltre 300 segnalazioni di giornalisti e cittadini, che hanno denunciato la campagna mediatica contro Skrozza, suddetta istituzione ancora non ha accertato se la tv Pink abbia violato le regole deontologiche, né ha intrapreso alcuna misura prevista dalla legge in casi di questo tipo.
A dare il via alla campagna contro Skrozza sono state alcune dichiarazioni del presidente Vučić che, nel corso di una trasmissione televisiva, aveva associato l’organizzazione CRTA, che si occupa di monitoraggio elettorale, a un’ambasciata straniera (senza precisare quale), concludendo: “L’obiettivo è quello di far perdere l’SNS [partito guidato da Vučić]”.
È ormai diventata una consuetudine da parte dei media controllati dalla leadership al potere, e piegati ai suoi interessi, far seguire alle dichiarazioni di questo tipo, spesso pronunciate dal presidente Vučić e da altri funzionari dello stato, le campagne contro i media e giornalisti indipendenti, bollandoli come traditori al soldo di agenti stranieri che agiscono contro il proprio paese.
Ed è per questo che in pochi sono rimasti stupiti quando, nella notte tra il 5 e il 6 febbraio scorsi, all’ingresso della sede di NUNS sono apparsi, per la seconda volta in pochi giorni, alcuni volantini su cui c’era scritto: “Miserabile associazione dei nemici della Serbia”. In un clima contrassegnato da costanti pressioni e accuse, sono in pochi a credere che la procura porterà davanti alla giustizia non solo i responsabili di quest’ultimo episodio, ma anche tanti altri che, in modo anonimo o apertamente, minacciano i giornalisti, sia sui social network sia per strada, come avvenuto nel caso del giornalista della tv N1.
Le dichiarazioni dei più alti rappresentanti del potere politico incoraggiano comportamenti intimidatori nei confronti dei giornalisti. Nonostante Bruxelles abbia più volte avvertito che il rispetto della libertà dei media è una condizione indispensabile per l’avanzamento della Serbia verso l’Unione europea, e nonostante le principali organizzazioni internazionali dei giornalisti continuino a denunciare – come in un recente comunicato pubblicato da Reporter senza frontiere – pressioni a cui sono sottoposti i giornalisti e media indipendenti in Serbia, l’establishment politico di Belgrado nega qualsiasi responsabilità per l’attuale stato di cose.
In questi giorni è stato pubblicato uno studio condotto dalla Fondazione Slavko Ćuruvija, intitolato "Controllo e libertà dei media: testimonianze dei giornalisti" , dal quale è emerso che il 74% dei giornalisti in Serbia “ritiene che vi siano seri ostacoli all’esercizio della libertà di stampa, o che non ne esistano nemmeno i presupposti”, e che la situazione sia peggiorata negli ultimi cinque anni, mentre quasi due terzi dei giornalisti intervistati ritengono che “i media siano perlopiù controllati dall’establishment politico”.
Secondo i dati di NUNS, in Serbia nel 2017 sono stati registrati 92 casi di attacchi, minacce e pressioni nei confronti di giornalisti e media. Questi ultimi non possono contare nemmeno su un’adeguata tutela giudiziaria, perché la magistratura sembra sempre meno immune alle pressioni esercitate dal partito di governo, il cui leader è l’attuale presidente Aleksandar Vučić. A giudicare da ricorrenza, numero e natura degli attacchi contro i giornalisti verificatisi nel primo mese e mezzo di quest’anno, nonché dalla retorica e dal comportamento dei rappresentanti del potere, sembra che lo stato non abbia alcuna intenzione di impegnarsi per garantire la sicurezza dei giornalisti.
L'ultimo "nemico della patria": il giornalista belga Philippe Bertinchamps
Dopo dieci anni di residenza e di lavoro a Belgrado, il corrispondente di "Le Courrier des Balkans " Philippe Bertinchamps rischia di non poter rinnovare il proprio permesso di soggiorno, a seguito del rifiuto del ministero degli Interni serbo che lo considera "un ostacolo all'ordine pubblico e alla sicurezza nazionale", minacciando di espellerlo dal paese. Leggi la notizia completa .
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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