Secondo il presidente dell'Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia (NUNS) Željko Bodrožić, lo stato d'emergenza non ha fatto che peggiorare la situazione dei media non allineati, spesso soggetti al discredito dei media controllati dal potere
"Lo stato di emergenza ha messo a nudo l’intenzione del governo di mettere a tacere i media che non sono sotto il suo controllo e di impedire ai giornalisti indipendenti di svolgere il loro lavoro, e spero che ora anche quelli che in passato hanno appoggiato – per scopi opportunistici o per chi sa quali motivi – la cosiddetta stabilocrazia [del presidente serbo] Aleksandar Vučić, chiudendo un occhio di fronte a palesi violazioni della libertà dei media motivate da presunti scopi superiori, si siano resi conto che la Serbia, con l’attuale governo, ormai impazzito e fuori controllo, sta sprofondando nell’oscurità e nella follia", afferma Željko Bodrožić, presidente dell’Associazione indipendente dei giornalisti serbi (NUNS).
Anche quest’anno, nonostante lo stato di emergenza, le associazioni dei giornalisti serbi hanno ricordato l’anniversario della morte del giornalista Slavko Ćuruvija, proprietario del quotidiano Telegraf, brutalmente ucciso l’11 aprile 1999. L’omicidio di Ćuruvija, così come molti altri omicidi di giornalisti serbi, a tutt’oggi non ha ancora avuto un epilogo giudiziario definitivo. All’epoca dell’omicidio Ćuruvija in Serbia era in vigore lo stato di guerra, proclamato in risposta all’intervento militare della Nato contro l’allora Repubblica federale di Jugoslavia. Sorge quindi spontaneo un confronto tra quel periodo e l’attuale situazione in Serbia.
È infatti possibile tracciare numerose analogie tra l’attuale situazione e i bui anni Novanta, anche perché molti esponenti del regime di Milošević oggi ricoprono le più alte cariche istituzionali. Ci sono però anche delle differenze. Innanzitutto, in Serbia oggi non esistono leggi draconiane contro i giornalisti, non avvengono irruzioni della polizia nelle redazioni, né arresti di massa, attacchi fisici e omicidi di giornalisti organizzati dallo stato.
Tuttavia, oggi si assiste di nuovo a tutte quelle dinamiche che hanno preceduto la brutale campagna contro i giornalisti condotta dal regime negli ultimi anni Novanta. Così nella Serbia di Vučić i giornalisti indipendenti vengono perseguitati e demonizzati da parte dei media filogovernativi, mentre la maggior parte dei media indipendenti è ormai devastata finanziariamente, perché vengono costantemente esclusi dai concorsi per l’assegnazione di finanziamenti pubblici e ostacolati nel loro tentativo di attirare gli inserzionisti.
Nel corso dell’ultimo mese, più precisamente da quando è stato introdotto lo stato di emergenza, queste dinamiche hanno subito un’accelerazione e siamo stati testimoni del tentativo da parte del governo di introdurre formalmente la censura; una giornalista è stata recentemente arrestata, mentre tutti i giornalisti non allineati vengono apertamente additati come nemici dello stato e del popolo serbo.
Secondo lei, oggi in Serbia esiste la censura? Oppure si tratta di vari meccanismi, a volte molto sofisticati, di pressione sui giornalisti e mezzi di informazione? Sotto quali forme si manifestano le pressioni subite dai giornalisti?
Il regime di Aleksandar Vučić controlla la stragrande maggioranza dei media serbi e lo fa senza scrupoli. Particolarmente problematico è il fatto che le emittenti pubbliche – la Radio televisione della Serbia (RTS) e la Radio televisione della Vojvodina (RTV) – si sono messe completamente al servizio del potere, con l’obiettivo di glorificarlo. I pochi media liberi e indipendenti che svolgono il loro lavoro in modo professionale, perseguendo l’interesse pubblico, sono bersaglio di attacchi orchestrati dalla leadership al potere. Sono ormai anni che i media “scomodi” vengono ostacolati in tutti i modi nel loro lavoro, col risultato che oggi la maggior parte di questi media fatica a sopravvivere. Questo è particolarmente evidente a livello locale. Da quando il Partito progressista serbo (SNS) è salito al potere, il panorama mediatico, a livello locale, è cambiato completamente, perché molti media locali hanno chiuso i battenti, mentre altri si sono adeguati e cercano di non pestare i piedi al potere, pur di sopravvivere.
I giornalisti e il governo serbo collaborano in alcuni ambiti, ad esempio all’interno del Gruppo di lavoro permanente per la protezione dei giornalisti, e hanno collaborato anche nella stesura della nuova strategia per i media. Cosa pensa di questa collaborazione? Pensa che le intenzioni del governo siano sincere?
Il Gruppo di lavoro permanente per la protezione dei giornalisti ha conseguito alcuni risultati, ma non è in grado di proteggere i giornalisti dagli attacchi da parte del governo. In un paese in cui la procuratrice generale si comporta come se fosse membro della dirigenza del partito al governo, e la polizia funge da fanteria d’assalto dei funzionari dell’SNS, è difficile aspettarsi che i rappresentanti delle istituzioni statali che fanno parte del Gruppo di lavoro trovino il coraggio di sollecitare l’avvio delle indagini che potrebbero, ad esempio, rivelare che la macchina propagandistica del partito al governo è coinvolta in una brutale campagna di stigmatizzazione e criminalizzazione dei giornalisti portata avanti sui social network.
Il governo serbo alla fine ha appoggiato la realizzazione della nuova strategia per i media solo per adempiere alle scadenze legate al processo di adesione all’UE, e di certo non per il desiderio di rispettare la libertà di stampa e di espressione e di rafforzare il pluralismo dei media. Qui nemmeno le leggi contano più nulla, e non abbiamo alcuna garanzia che l’adozione della strategia per i media porterà a un cambiamento nell’atteggiamento del governo nei confronti dei media e dei giornalisti. Anzi, le condizioni in cui lavoriamo sono andate deteriorandosi man mano che procedeva la stesura della strategia. Il governo, se da un lato ha accolto la maggior parte delle proposte per la nuova strategia avanzate dalle associazioni indipendenti [di giornalisti], dall’altro lato ha continuato, con ancora maggiore brutalità, a bollare i media in cui lavorano i membri di quelle associazioni indipendenti come nemici dello stato e del popolo [serbo]. Una situazione diventata ancora più drammatica con l’introduzione dello stato di emergenza.
In quale misura lo stato di emergenza viene sfruttato per esercitare pressioni sui media e sui giornalisti e per bandire ogni voce critica dal dibattito pubblico?
Purtroppo, le nostre speranze riguardo alla possibilità che durante la pandemia, che rappresenta un pericolo per tutti i cittadini, il governo assuma un atteggiamento più responsabile, si sono rivelate vane. Dal momento che l’opposizione, che anche prima dell’introduzione dello stato di emergenza era debole, per volere del governo ora è quasi completamente scomparsa dallo spazio pubblico, il governo prende di mira i giornalisti indipendenti. Perché sono gli unici a sollevare domande scomode, cioè domande su argomenti di interesse pubblico che dovrebbero essere portati all’attenzione dell’opinione pubblica.
Secondo lei, quando e a quali condizioni potrebbe migliorare la situazione dei media in Serbia?
Non vedo come l’attuale governo possa contribuire a migliorare la situazione, è chiaro che non vuole farlo. L’unico obiettivo del governo è quello di mantenere il controllo su tutte le emittenti televisive a copertura nazionale e sulla stragrande maggioranza dei media tradizionali e digitali. Loro vogliono tenere la scena indipendente (cioè i media che sono riusciti a sopravvivere negli ultimi otto anni, da quando Vučić è salito al potere) in uno stato di semivita, per poterla usare come paravento dietro a cui nascondere ciò che non vogliono che il mondo democratico veda, e allo stesso tempo continuare ad attaccarla e intimidirla.
I media indipendenti godono però dell’appoggio dell’UE e di molte organizzazioni internazionali. Allora cos’è che manca?
L’appoggio dell’UE e di altri paesi democratici è evidente; in Serbia molti media indipendenti riescono a sopravvivere in questi tempi difficili proprio grazie ai finanziamenti ottenuti attraverso i bandi dell’UE e di diverse organizzazioni internazionali. Tuttavia, l’intera situazione è in un certo senso schizofrenica, perché l’UE continua ad appoggiare Vučić e solo recentemente ha cominciato a usare toni duri nel criticare lo stato della democrazia e della libertà dei media in Serbia. È come se fossimo una squadra di calcio a cui gli europei hanno generosamente donate le maglie e le scarpe per consentirle di giocare, e ora quegli stessi europei non vogliono vedere che l’arbitro ci sta apertamente derubando. È una situazione illogica e insostenibile a lungo termine.
Pensa che nel settore dei media comincino a dominare le agenzie PR e che il giornalismo professionale e indipendente stia passando in secondo piano?
Purtroppo, la propaganda ha vinto sul giornalismo, e da noi i tabloid hanno ulteriormente degradato la professione, per cui la situazione è ancora più cupa. Tuttavia, non dobbiamo arrenderci e, finché possiamo farlo, dobbiamo servire l’interesse pubblico e sollevare tutti i temi che interessano i cittadini, e soprattutto indagare su come il governo spende i soldi pubblici e vigilare su possibili abusi di potere per interessi privati e di partito. Dicono che l’ora più buia sia quella prima del sorgere del sole, e siccome la situazione in Serbia è piuttosto cupa, spero quel proverbio si riveli vero.
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